Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

La corsa alla Cattedra marciana: Moraglia avanza, Parolin resiste

 
Monsignor Francesco Moraglia tra i candidati per la carica di Patriarca di Venezia. C’è anche il nome del vescovo della diocesi della Spezia, Sarzana e Brugnato nella ristretta lista di prelati dalla quale Papa Benedetto XVI nominerà fra pochi giorni il successore del Patriarca uscente Angelo Scola, destinato a sostituire il cardinale Dionigi Tettamanzi alla guida della Cattedra di Ambrogio a Milano. Un’ipotesi, quella che vedrebbe il 58enne vescovo genovese a capo della sede cardinalizia della Serenissima, che negli ultimi giorni ha preso sempre più consistenza negli ambienti vaticani.

L’apprezzata collaborazione di monsignor Moraglia da parte del Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone (col quale Moraglia ha collaborato in passato, quando Bertone era ancora arcivescovo di Genova) e il governo della chiesa spezzina in sintonia con l’attuale presidente della Conferenza Episcopale italiana Angelo Bagnasco, fanno del vescovo spezzino un outsider più che accreditato nella ‘corsa’ al patriarcato veneziano. La candidatura del vescovo della diocesi spezzina si affianca a quella di altri cardinali di ‘peso’, come il teologo arcivescovo di Chieti Bruno Forte, il giurista Francesco Coccopalmerio ma anche l’arciprete di San Pietro, il cardinale Angelo Comastri, mentre nei mesi passati si era parlato anche dell’attuale nunzio in Venezuela, l’arcivescovo veneto Pietro Parolin, e del vescovo di San Marino Luigi Negri.

Non si dovrà attendere molto tempo per la nomina del successore di monsignor Scola, dato che il Vaticano non avrebbe nessuna intenzione di lasciare scoperta a lungo una sede cardinalizia assai ambita e di grande prestigio, una diocesi che fu guidata anche da Papa Luciani e da Giovanni XXIII, entrambi Patriarchi prima di essere eletti in conclave.
Francesco moraglia, ordinato sacerdote il 29 giugno 1977 a Genova dall’allora arcivescovo Giuseppe Siri, è Vescovo della diocesi spezzina dal 6 dicembre del 2007, quando fu nominato dal Papa in sostituzione del Vescovo emerito Bassano Staffieri. Consultore della Congregazione per il Clero, dall’anno scorso è anche Presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Comunicazione e cultura’ della Conferenza Episcopale Italiana.

Matteo Marcello per La Nazione

I Gabrieli per la "Messa dell'Incoronazion del Dose"

Il Doge Marino Grimani




Il trionfo della musica policorale e l'apoteosi della Repubblica di Venezia nel più caratteristico e celebrativo rito dello Stato Veneto. Ne avevamo già discusso qualche tempo fa, ma torniamo volentieri all'argomento, cogliendo al balzo la comparsa su Youtube dell'intera incisione filologica (1990) delle musiche della "Messa d'Incoronazione" del Doge Marino Grimani. I Gabrieli Consort e Player, diretti da un magico Paul Mc Creesh ci regalano pure i suoni delle campane, del turibolo e del canto dell'Epistola e del Vangelo intonatati nella mattina del 27 aprile 1595, in una Basilica marciana addobbata a festa per le celebrare il novello Serenissimo Principe. La fantastiche musiche di Andrea e Giovanni Gabrieli, zio e nipote, si susseguono tra gregoriano e intermezzi strumentali di Cesare Bendinelli, plasmando un vero tripudio sonoro, fragmentum di uno splendor liturgiae che merita l'ascolto completo.




La Liturgia si apre con musiche di Giovanni Gabrieli: l'Intonazione ottavo tono, la Canzona [13] à 12. Dopo l'Introito, la Sonata 333 di Cesare Bendinelli. Segue la toccata e l'Intonazione al primo tono di Andrea Gabrieli, Kyrie à 5, Christe à 8, Kyrie à 12 e Gloria à 16 dello stesso autore. Alla conclusione della Colletta l'Intonazione a terzo e quarto tono di Giovanni Gabrieli, sua pure la Canzona [16] à 15 che precede il Vangelo. Il Credo è soverchitato dall'Intonazione al settimo tono dell'Andrea, seguito dal grandioso mottetto Deus qui beatum Marcum à 10 del nipote Giovanni. Dopo il Prefazio, Sanctus e Benedictus à 12. Prima e dopo il Pater Noster, si alternano sonate, intonazioni e fanfare, tra cui la celebre Pian e Forte à 8. L'Agnus Dei è omesso Strepitosa composizione, l'O sacrum convivium à 5 corona i riti di comunione precedendo il Benedictus Dominus Deus sabaoth dello stesso Andrea Gabrieli. La Messa si conclude col monumentale Omnes gentes à 16 di Giovanni.

Quella che può essere definita la “scuola veneziana” vantava perciò caratteri del tutto all'avanguardia e moderni per l'Europa musicale del primo '600 e presentava una varietà melodica, armonica e di generi del tutto unica: ciò si deve al carattere “misto” della sede di San Marco, ove venivano celebrate non solo funzioni sacre ma anche tutti gli eventi politici, militari e di rappresentanza che coinvolgevano la Repubblica



Cerimonia in Piazzetta San Marco, incisione di Giacomo Franco

Adieu Scola: «gratitudine al Signore per questo decennio»

 

Non è mancata la «gratitudine al Signore per questo decennio». Né la richiesta di «perdono, a coloro che volontariamente o involontariamente avessi potuto offendere in questo cammino. Se ho peccato contro questa Chiesa ho soprattutto peccato di omissione». Né poteva mancare la rilettura di quanto sta avvenendo a questa Chiesa – e a lui, chiamato ad essere il nuovo arcivescovo di Milano – secondo il filtro della Parola di Dio: «Perché Cristo è la nostra vita siamo qui questa sera. Perché Cristo è la nostra vita noi ci disponiamo a seguire un disegno che ci supera». E ancora: «Ogni prova, compreso il distacco, è per un di più, è per il nostro bene».
«Questa Venezia è un messaggio all'umanità». Ma l'ultima omelia del card. Angelo Scola, pronunciata mercoledì sera dal pulpito della Cattedrale di San Marco, è stata anche l'occasione per rilanciare ancora una volta la missione affidata a questa città dell'umanità, alla «Serenissima nostra città che tanta luce ha avuto dalla nostra Chiesa e che tanta ancora se ne aspetta». Colpito, quasi stregato dal «prorompere della bellezza della nostra Venezia, assolutamente indicibile, indescrivibile», assaporata durante il viaggio nella “disdotona” offertogli poco prima dalle remiere, il card. Scola sottolinea: «Questa Venezia è un messaggio all'umanità, perché il suo popolo la vive in modo tale da renderla un messaggio per l'umanità. E' una responsabiltà per la Chiesa, una responsabiltà per tutti gli abitanti della società civile plurale, un compito per l'umanità in un tempo di grande travaglio».
La lode ai presbiteri. Ha lodato ancora, il card. Scola, il «presbiterio solido, ricco, pluriforme ma unito. Questa è, assieme all'apporto dei religiosi e delle religiose, la grande eredità, la ricchezza della Chiesa di Venezia che il Patriarca Angelo lascia al suo successore. Per la potenza di Cristo questa Chiesa ha un grande futuro, come ce l'ha la città serenissima».
«Che bella Chiesa locale è la Chiesa di Venezia. Realmente è un luogo di pluriformità nell'unità», ha aggiunto. «Una Chiesa ben radicata in Marco, nei suoi successori, in san Lorenzo Giustiniani, nei grandi papi santi e beati, nei patriarchi che ci hanno preceduto, nei tanti santi che hanno vissuto nella nostra terra e hanno seminato i carismi del rinnovamento della vita». Si incrina la voce quando cita anche «i nostri cari che ci hanno già preceduto all'altra riva».
«Nessun distacco è propriamente un distacco», ha rimarcato. «Nessuna partenza è una partenza per chi è incamminato verso un'unica meta: Cristo nostra vita, Cristo tutto in tutti».

Paolo Fusco
Tratto da GENTE VENETA, n.35/2011


 


immagini Flickr

Scola Arcivescovo di Milano: l'ultimo atto veneziano


Angelo Scola, Amministratore apostolico del Patriarcato, in citta'. Nel pomeriggio - alle ore 15.30 e con inizio presso la Basilica della Salute - il card. Scola e il rettore mons. Lucio Cilia hanno invitato tutti i sacerdoti e i diaconi della diocesi per un incontro a loro riservato di congedo e saluto. A margine dell'incontro, che vedra' la partecipazione anche di numerosi vescovi della Conferenza Episcopale Triveneto, sara' presentata la sede del Seminario Patriarcale giunta quasi al termine dei lavori di restauro. Alle ore 17.15 il card. Scola sara' accolto, davanti alla basilica della Salute, da una rappresentanza del Coordinamento delle Remiere cittadine che, in questa straordinaria occasione, mettera' in acqua la ''disdotona'', suggestiva e speciale gondola da parata con 18 vogatori, per accompagnare il card. Scola nell'ultimo giro sul Canal Grande: dalla Salute raggiungera' Ca' Foscari per poi imboccare il Rio Novo; giunto a Piazzale Roma, risalira' tutto il Canale Grande fino al Molo di S. Marco (arrivo previsto intorno alle ore 18.00). Il card. Scola verra' qui accolto dai gondolieri e dal sindaco di Venezia Orsoni per essere, infine, accompagnato dai canonici nella basilica di S. Marco attraverso l'ingresso centrale. Entrato in cattedrale sostera' brevemente in preghiera davanti alla Nicopeia e alla Pala d'Oro poco prima dell'inizio - fissato alle ore 18.30 - della solenne concelebrazione eucaristica di congedo che e' aperta alla partecipazione di tutti (l'ingresso, infatti, e' libero fino a disponibilita' di posti). Il momento culminante di saluto da parte della Chiesa veneziana verra' ripreso e trasmesso in diretta da Bluradio Veneto (fm 88.70 - 94.60) e da Telechiara (canale 14 del digitale terrestre) che si colleghera' con la cattedrale marciana gia' a partire dalle ore 18.00. Al termine della messa sono previsti, in particolare, i saluti al card. Scola da parte del Patriarca emerito card. Marco Ce', di un sacerdote (mons. Orlando Barbaro) e di due laici (un adulto, Giampaolo Rossi, e un giovane, Filippo Toso); subito dopo il neoarcivescovo di Milano avra' modo anche di salutare informalmente, in Piazzetta dei Leoncini, tutti coloro che lo desidereranno. Il card. Scola ha esplicitamente chiesto che tutti coloro che avessero l'intenzione di fargli un regalo devolvano l'offerta al fondo destinato a sostenere un'opera di carita' decisa dal Patriarcato in occasione della chiusura della visita pastorale e della visita di Benedetto XVI dello scorso maggio.
fdm/gc (Asca)

In chiesa niente Verbo fatto carne, ma chiacchiere di carta

Venezia, Chiesa di San Giovanni e Paolo "San Zanipolo", Cappella di San Domenico, particolare

di Antonio Socci
Un giorno, conversando con amici, Ratzinger (ancora cardinale) se ne uscì con una battuta: “Per me una conferma della divinità della fede viene dal fatto che sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.
Se ne sentono infatti di tutti i colori. Non c’è solo il prete che – è notizia di ieri – in una basilica della Brianza diffonde una preghiera islamica in cui si inneggia ad Allah. Ci sono quelli che consigliano la lettura di Mancuso o Augias… E si trovano “installazioni” di arte contemporanea nelle cattedrali che fanno accapponare la pelle. D’altra parte pure i cardinali di Milano hanno dato sfogo alla “creatività”. Leggo dal sito di Sandro Magister: “Nel 2005, l’11 maggio, per introdurre un ciclo dedicato al libro di Giobbe è stato chiamato a parlare in Duomo il professor Massimo Cacciari: oltre che sindaco di Venezia, filosofo ‘non credente’ come altri che in anni precedenti avevano preso parte a incontri promossi dal cardinale Martini col titolo, appunto, di ‘Cattedra dei non credenti’. Cacciari ha tessuto l’elogio del vivere senza fede e senza certezze”. Insomma nelle chiese si può trovare di tutto. Tranne la centralità di Gesù Cristo.
Infatti – nella disattenzione generale – i vescovi italiani hanno estromesso dalle chiese (o almeno vistosamente allontanato dall’altare centrale e accantonato in qualche angolo) proprio Colui che ne sarebbe il legittimo “proprietario”, cioè il Figlio di Dio, presente nel Santissimo Sacramento.
Non sembri una banale battuta. Al Congresso eucaristico nazionale che si sta aprendo ad Ancona dovrebbero considerare gli effetti devastanti prodotti dall’incredibile documento della Commissione Episcopale per la liturgia del 1996 che è il vademecum in base al quale sono state progettate le nuove chiese italiane e i relativi tabernacoli, o sono state “ripensate” le chiese più antiche.
Non si capisce quale sia lo statuto teologico di cui gode una Commissione della Cei (a mio avviso nessuno). Ma la cosa singolare è questa: che nell’ambiente ecclesiastico – a partire da seminari e facoltà teologiche – trovi legioni di teologi pronti (senza alcuna ragione seria) a mettere in discussione i Vangeli (nella loro attendibilità storica) e le parole del Papa, ma se si tratta di testi partoriti dalle loro sapienti meningi, e firmati da qualche commissione episcopale, ti dicono che quelli devono essere considerati sacri e intoccabili.
Dunque in quel testo del 1996, fra le altre cose discutibili, si “consiglia vivamente” di collocare il tabernacolo non solo lontano dall’altare su cui si celebra, ma pure dalla cosiddetta area presbiterale. Relegandolo “in un luogo a parte”. Le motivazioni – come sempre – sono apparentemente “devote”. Si dice infatti che il tabernacolo potrebbe distrarre dalla celebrazione eucaristica.
Motivazione ridicola e – nella sua enfasi sull’evento celebrativo a discapito della presenza nel tabernacolo – anche pericolosamente somigliante alle tesi di Lutero.
L’effetto inaudito di queste norme è il seguente: nelle chiese si assiste da qualche anno a un accantonamento progressivo del tabernacolo, cioè del luogo più importante della chiesa, quello in cui è presente il Signore. Prima lo si è collocato in un posto defilato (una colonna o un altare laterale), quindi in una cappella, parzialmente visibile. Alla fine probabilmente sarà del tutto estromesso dalle chiese. Come risulta essere nell’incredibile edificio di San Giovanni Rotondo in cui è stato portato il corpo di san Pio. L’edificio, progettato da Renzo Piano, non ha inginocchiatoi e la figura centrale e incombente è l’enorme e spaventoso drago rosso dell’apocalisse rappresentato trionfante nell’immensa vetrata: ebbene il tabernacolo lì non c’è.
Non so a chi sia venuto in mente questo progressivo occultamento dei tabernacoli nelle chiese (che avrebbe fatto inorridire padre Pio). Esso non corrisponde affatto all’insegnamento del Concilio Vaticano II, visto che l’istruzione post-conciliare “Inter Oecumenici” del 1964 affermava che il luogo ordinario del tabernacolo deve essere l’altare maggiore.
E non piace nemmeno al Papa come si vede nell’Esortazione post sinodale “Sacramentum Caritatis” dove egli sottolinea il legame strettissimo che deve esserci fra celebrazione eucaristica e adorazione. Sottolineatura emersa dall’XI Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005 che ha richiesto la centralità ed eminenza del tabernacolo.
Basterà per tornare sulla retta via? Nient’affatto. Come dimostra il comportamento – a volte di aperta contestazione al Papa – tenuto da certi vescovi quando il suo famoso “Motu proprio” ha restaurato la libertà di celebrare anche con l’antico messale. Purtroppo le idee sbagliate dei liturgisti “creativi” continueranno a prevalere sul papa, sul Concilio e sul Sinodo (forse faranno strada anche altre balordaggini come la “prima comunione” a 13 anni). Fa da corollario a questa estromissione di Gesù eucaristico dalle chiese, la stupefacente pratica del biglietto di ingresso istituito perfino per alcune Cattedrali. Degradate così a musei.
La protestantizzazione o la museizzazione delle chiese è un fenomeno dagli effetti spaventosi per la Chiesa Cattolica. Si dovrebbero prendere subito provvedimenti.
Per capire cosa era – e cosa dovrebbe essere – una chiesa cattolica voglio ricordare la storia di due persone significative. La prima è Edith Stein, una donna straordinaria, filosofa agnostica, di famiglia ebrea, che divenne cattolica, si fece suora carmelitana ed è morta nel lager nazista di Auschwitz. E’ stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1998 e nell’anno successivo compatrona d’Europa. La Stein ha raccontato che un primo episodio che la portò verso la conversione accadde nel 1917 quando lei, giovinetta, vide una popolana, con la cesta della spesa, entrare nel Duomo di Francoforte e fermarsi per una preghiera: “Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto”.
Lì infatti c’era Gesù eucaristico. Un altro caso riguarda il famoso intellettuale francese André Frossard. Era il figlio del segretario del Partito comunista francese. Era ateo, aveva vent’anni e quel giorno aveva un appuntamento con una ragazza. L’amico con cui stava camminando, essendo cattolico, gli chiese di aspettarlo qualche istante mentre entrava in una chiesa. Dopo alcuni minuti Frossard decise di andare a chiamarlo perché aveva fretta di incontrare “la nuova fiamma”. Lo scrittore sottolinea che lui non aveva proprio nessuno dei tormenti religiosi che hanno tanti altri. Per loro, giovani comunisti, la religione era un vecchio rottame della storia e Dio un problema “risolto in senso negativo da due o tre secoli”.
Eppure quando entrò in quella chiesa era in corso un’adorazione eucaristica e, racconta, “è allora che è accaduto l’imprevedibile”. Dice: “il ragazzo che ero allora non ha dimenticato lo stupore che si impadronì di lui quando, dal fondo di quella cappella, priva di particolare bellezza, vide sorgere all’improvviso davanti a sé un mondo, un altro mondo di splendore insopportabile, di densità pazzesca, la cui luce rivelava e nascondeva a un tempo la presenza di Dio, di quel Dio, di cui, un istante prima, avrebbe giurato che mai era esistito se non nell’immaginazione degli uomini; nello stesso tempo era sommerso da un’onda, da cui dilagavano insieme gioia e dolcezza, un flutto la cui potenza spezzava il cuore e di cui mai ha perso il ricordo”.
La sua vita ne fu capovolta. “Insisto. Fu un’esperienza oggettiva, fu quasi un esperimento di fisica”, ha scritto. Frossard è diventato il più celebre giornalista cattolico. In una chiesa di oggi non avrebbe incontrato il Verbo fatto carne, ma le chiacchiere di carta.
Copyright Libero - 3 settembre 2011

testo via Fides et Forma, immagine Flickr

Veneti episcopi: Antonio Mistrorigo



Mons. Antonio Mistrorigo, Assistente al Sacro Soglio, Vescovo emerito di Treviso. 


Arte e bellezza: la presenza della verità di Dio

Padova, Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta, Cappella di San Gregorio Barbarigo, particolare

Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che "parla", capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni.

L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto.

Ma ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza… O quando entriamo in una chiesa romanica: siamo invitati in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera. Percepiamo che in questi splendidi edifici è come racchiusa la fede di generazioni. Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio. Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein.

Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c'era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: "Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio.

Ma quante volte quadri o affreschi, frutto della fede dell’artista, nelle loro forme, nei loro colori, nella loro luce, ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza. Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia. Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o anche la conversione del cuore! Paul Claudel, famoso poeta, drammaturgo e diplomatico francese, nella Basilica di Notre Dame a Parigi, nel 1886, proprio ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale, avvertì la presenza di Dio. Non era entrato in chiesa per motivi di fede, era entrato proprio per cercare argomenti contro i cristiani, e invece la grazia di Dio operò nel suo cuore.

Cari amici, vi invito a riscoprire l’importanza di questa via anche per la preghiera, per la nostra relazione viva con Dio. Le città e i paesi in tutto il mondo racchiudono tesori d’arte che esprimono la fede e ci richiamano al rapporto con Dio. La visita ai luoghi d’arte, allora, non sia solo occasione di arricchimento culturale - anche questo - ma soprattutto possa diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare - nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda che esprime - il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci "ferisce" nell’intimo e ci invita a salire verso Dio. Finisco con una preghiera di un Salmo, il Salmo 27: "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario" (v. 4). Speriamo che il Signore ci aiuti a contemplare la sua bellezza, sia nella natura che nelle opere d'arte, così da essere toccati dalla luce del suo volto, perché anche noi possiamo essere luci per il nostro prossimo.

Papa Benedetto XVI, discorso all'udienza generale del mercoledì.
31 agosto 2011, Castel Gandolfo.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...