Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Vetri muranesi per la Messa a Parco San Giuliano



 I mastri vetrai di Murano, sotto l'egida del Consorzio Promovetro Murano, hanno realizzato 60 calici, 60 patene, due piattini, una brocca, un piatto e due ampolle, tutti in vetro soffiato e in foglia d'oro che verranno utilizzati per la Messa che Benedetto XVI presiederà domenica 8 maggio nel Parco San Giuliano di Mestre. E' la prima volta che l'arte muranese entra a far parte di una celebrazione di tale pregio, alla presenza del Papa, comportando la trasformazione di oggetti liturgici che di norma sono in metallo, in opere d'arte in vetro artistico. "Questo omaggio, frutto di mesi di intenso lavoro e di rapporti del Consorzio Promovetro Murano con la curia patriarcale di Venezia, è un'occasione straordinaria che - spiega Gianfranco Albertini, Presidente del Consorzio Promovetro - ha portato al coinvolgimento di tutta l'isola, dalle istituzioni, alle associazioni e alle maestranze tutte; un'occasione per essere presenti con un nostro prestigioso contributo ad un evento di importanza magistrale per Venlezia". "La visita del Santo Padre - conclude - ci riempie di orgoglio e abbiamo voluto con tutte le nostre forze, assieme a Confartigianato e Confindustria Venezia, che il marchio Vetro Artistico Murano fosse presente con gli oggetti della celebrazione eucaristica". La produzione vetraria dell'isola, caratterizzata dal Marchio regionale Vetro Artistico Murano, unica tutela legalmente riconosciuta che identifica la produzione d'eccellenza muranese, rappresenta una delle più importanti realtà produttive del Made in Italy. 

Da Ansa via La Vigna del Signore.
immagine da g.immage.

Il Papa in arrivo: i dettagli della Celebrazione a Mestre


Sono iniziati a metà aprile e risultano, ormai, in buona fase di avanzamento i lavori per allestire i luoghi liturgici della celebrazione eucaristica che sarà presieduta dal Papa la mattina di domenica 8 maggio nel Parco di S. Giuliano (Mestre): l’altare papale, l’ambone, la sede e l’area per i vescovi, i presbiteri, i diaconi e le altre persone che svolgeranno un servizio liturgico. Il progetto è opera dell’architetto Stefano Bianchi di Padova ed è realizzato dalla ditta milanese Newtonlab diretta da Lucio Furlani. Vescovi, sacerdoti e diaconi, seminaristi e chierichetti presenti per la celebrazione. I numeri per la distribuzione della Comunione. Il Santo Padre concelebrerà, in base ai dati oggi disponibili, con oltre 30 vescovi e 600 sacerdoti; assisteranno il Santo Padre 4 diaconi e 14 seminaristi delle diocesi del Triveneto che presteranno servizio come accoliti. Per la Comunione interverranno, per l’assistenza ai sacerdoti concelebranti, 25 diaconi (dei 36 presenti in totale), alunni dei Seminari Maggiori. Per distribuire la Comunione a tutti i fedeli si prevede l’impiego di circa 600 ministri: 200 sacerdoti concelebranti, 239 seminaristi maggiori, 86 diaconi permanenti più gli altri 11 diaconi dei Seminari maggiori ed un piccolo numero di religiosi non concelebranti. A proposito di seminaristi, tra quelli del maggiore e del minore più le comunità vocazionali, saranno presenti in 500. E saranno circa 1.000 i chierichetti in arrivo dalle diocesi del Triveneto.
Un mosaico di presenze e di lingue nei servizi liturgici (dai lettori alle preghiere dei fedeli e all’offertorio). Il variegato mosaico di provenienze, del Nordest “allargato”, si rifletterà e sarà ben visibile anche in tutti gli altri servizi liturgici della messa con il Papa. I due lettori - una donna e un uomo - arrivano da Padova (Comunità S. Egidio) e dalla diocesi di Vicenza; il salmista verrà dalla diocesi di Treviso mentre il diacono impegnato per il canto del Vangelo è di Verona (congregazione degli Oratoriani). Le intenzioni della preghiera dei fedeli saranno in italiano (un’esponente di Comunione e Liberazione di Padova e un membro dell’Azione cattolica diocesana di Belluno-Feltre), tedesco (diocesi di Bolzano), sloveno (Nova Gorica), ungherese (Comunità neocatecumenali) e croato. Pluriforme sarà anche la decina di persone che si occuperà della presentazione dei doni: in questo gruppo troviamo, tra gli altri, un paio di scout di Chioggia, una famiglia di Belluno (marito, moglie e 4 figli), una religiosa di Adria - Rovigo e una coppia di neosposi di Vicenza.

Musica e canto per la liturgia eucaristica: 1066 impegnati nel grande coro. Il canto liturgico sarà
diretto dal Maestro Alessio Randon della diocesi di Padova. Il Coro si compone di 1066 cantori di cui circa 600 (coro polifonico) sulla gradinata amplificata ed i restanti dentro l’assemblea (coro guida monodico). Ad essi si aggiungerà l’Ensemble professionale dei Polifonici Vicentini (50 cantori professionisti diretti dal Maestro Pierluigi Comparin) che presteranno il loro servizio per alcune alternanze polifoniche più “ardite” con l’assemblea e, soprattutto, per il mottetto dell’Offertorio e quello alla Comunione. Alcune parti solistiche di canto gregoriano verranno eseguite da un gruppetto di 12 gregorianisti professionisti. L’organo è affidato al Maestro Attilio Campesato della Diocesi di Vicenza; sarà presente, inoltre, un Ensemble di 22 ottoni diretti dal Maestro Vincenzo Montemitro. L’assemblea, infine, sarà guidata nel canto da don Matteo Gatto (sacerdote della diocesi di Treviso). Tutti presteranno il loro servizio in modo totalmente gratuito. Quanti saranno impegnati nell’ambito del canto e della musica sono mobilitati già da parecchie settimane: le prove sono cominciate all’inizio di febbraio, ogni martedì sera (presenti alcune centinaia di cantori) e due volte al mese la domenica pomeriggio (con tutti i cori delle varie diocesi) a Padova. La prova antigenerale si terrà poi all’Opsa di Padova domenica 1 maggio alle 18.00 e quella generale direttamente al Parco di S. Giuliano venerdì 6 maggio alle ore 17. Il libretto per la liturgia già on line sul sito. Testi e canti (con relative melodie) della celebrazione eucaristica dell’8 maggio - terza domenica di Pasqua - potranno essere seguiti dai fedeli attraverso il libretto liturgico che verrà distribuito a tutti e che riporta in copertina una riproduzione del mosaico dell’ “Anàstasis” presente nella basilica di S. Marco a Venezia. Da alcuni giorni il libretto è già disponibile (e quindi scaricabile) sul sito www.ilpapaanordest.it .
  


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I segni visibili dell'offerta spirituale


Anche noi diffondiamo questo interessante articolo di Uwe Michael Lang, C.O. apparso su ZENIT.

I gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione della Santa Messa appartengono a quegli aspetti materiali del culto divino che non si possono trascurare. San Tommaso d’Aquino è molto chiaro nell’osservare che dobbiamo rendere onore a Dio non solo in spirito. Siccome gli uomini sono creature corporee, i sensi esterni sono sempre coinvolti. Nella sacra liturgia è necessario «servirsi di cose materiali come di segni, mediante i quali l’anima umana venga eccitata alle azioni spirituali che la uniscono a Dio» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7).
Abbiamo quindi bisogno di segni sensibili per purificare il nostro cuore e nutrire il nostro desiderio di unione con il Dio invisibile. L’Aquinate riconosce che il fine della liturgia è l’offerta spirituale compiuta da coloro che partecipano ad essa. Ma la costituzione umana è tale, che l’espressione interna dell’anima cerca allo stesso tempo una manifestazione corporea. D’altro canto la vita interna è sostenuta dagli atti esterni. Per provvidenziale volontà di Dio, siamo chiamati ad offrirgli i segni visibili della nostra offerta spirituale, perché, in quanto creature corporee, comunichiamo con segni esterni. Il Doctor communis osserva: «Queste cose esterne non vengono offerte a Dio, come se Egli ne avesse bisogno […], ma come segni degli atti interni spirituali» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7 ad 2).
In questa prospettiva, si mette in luce anche l’importanza dei gesti ed atteggiamenti nella liturgia. Tali consuetudini fanno parte della tradizione viva del popolo di Dio e sono trasmesse da una generazione all’altra insieme ai contenuti della fede. Dal canto suo, la Chiesa, come Madre e Maestra, interviene a volte, dando indicazioni più precise per educare i fedeli allo spirito della liturgia.
La normativa per la forma ordinaria della Santa Messa di Rito Romano si trova nell’attuale Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43, dove viene spiegato che il giusto atteggiamento dei fedeli nelle varie parti della Celebrazione eucaristica è segno di unità e favorisce la partecipazione all’azione liturgica:
I fedeli stiano in piedi dall’inizio della Messa fino alla conclusione dell’orazione colletta, durante l’Alleluia, la proclamazione del Vangelo, il Credo e la preghiera universale; si alzino all’invito Orate, fratres prima dell’orazione sulle offerte e rimangano in piedi fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
I fedeli stiano seduti per le letture prima del Vangelo e il salmo responsoriale, all’omelia e durante l’offertorio; possono stare seduti anche durante il sacro silenzio dopo la Sacra Comunione, se viene osservato.
I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus, si conservi lodevolmente tale uso.
Secondo l’Ordinamento Generale, spetta alle Conferenze dei Vescovi, con la recognitio della Sede Apostolica, adattare queste norme secondo le sensibilità delle culture e tradizioni locali. Tuttavia, bisogna stare attenti che i gesti corrispondano sempre al vero senso di ciascuna parte della liturgia.
Un gesto da rivalutare in non poche celebrazioni liturgiche odierne è l’inginocchiarsi. L’adorazione inizia dal riconoscimento di Dio e della sua sacra presenza, che sollecita l’uomo ad una risposta di riverenza e devozione. Nell’ambito biblico, il gesto più caratteristico dell’adorazione è quello di prostrarsi o di mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Dio (cf., ad esempio, 1Re 8,54-55; Lc 5,8; 8,41; 22,41; Gv 11,32; Atti 7,60; Ap 5,8 e 14; 19,4; 22,8). I primi cristiani hanno recepito questa prassi, come attestano Tertulliano e Origene nel terzo secolo.
La ben nota prescrizione del canone ventesimo del primo Concilio di Nicea (325), di stare in piedi per la preghiera liturgica, ad imitazione del Risorto, si riferisce specificamente alle domeniche e al tempo pasquale, mentre nei giorni di digiuno e nei giorni stazionali si pregava in ginocchio, così come attestato riguardo alla preghiera personale quotidiana. D’altronde, già in una lettera scritta nel 400, sant’Agostino dichiarava di non sapere se la prescrizione di Nicea fosse una consuetudine propria a tutta la Chiesa (cf. Ep. 55 ad Ianuarium, XVII, 32).
Durante i secoli, la Chiesa ha sempre ricercato espressioni rituali il più adeguate possibile, dando così una testimonianza visibile della sua fede e del suo amore verso il culto divino e in particolare l’Eucaristia. Così si è sviluppata in Occidente la consuetudine che i fedeli si inginocchino per il Canone della Messa, o almeno nelle sue parti centrali: la consacrazione. In tal modo, si è anche diffusa la prassi di ricevere la Sacra Comunione in ginocchio. Per fornire un esempio a tutta la Chiesa, il Santo Padre Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, ha cominciato a distribuire la Sacra Comunione direttamente sulla lingua ai fedeli che la ricevono inginocchiati.
In risposta ad alcune difficoltà che sono emerse nella vita liturgica, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ribadisce che «la pratica di inginocchiarsi per la Sacra Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (Lettera This Congregation, 1 luglio 2002: trad. it. Enchiridion Vaticanum vol. XXI, p. 471 n. 666). Il Dicastero chiarisce che non è lecito rifiutare la Sacra Comunione per la semplice ragione che i comunicandi scelgono di riceverla in ginocchio (cf. Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 91).
 testo da Zenit
immagine da Corbis

Caso Treviso: un nostro lettore scrive al Vescovo

Messa nella Forma Extraordinaria nella Basilica di Sant'Antonio a Padova
 
 
Dopo il caso, reso noto anche dal vaticanista Tornielli, della Messa more antiquo annullata a causa dei chiacchiericci contrari provenienti dall'Episcopio di Treviso, un nostro lettore "extra regionale" che qui preferisce restare anonimo, scrive al Vescovo e al Vicario...

Eccellenza Reverendissima e M.to Rev.do Mons. Vicario della Diocesi di Treviso,
 
mi chiamo G. S. ed abito a Ferrara. Sono sposato da quasi 21 anni ed ho due figlie rispettivamente di 18 e 17 anni, sono laureato in matematica e lavoro da più di vent'anni in una SW factory Hi-Tech.
 
Da quando Sua Santità il Papa felicemente regnante Benedetto XVI ha pubblicato nel luglio 2007 la lettera apostolica Motu Prorio data "Summorum Pontificum" nella quale si riconosce la mai avvenuta abrogazione del rito cattolico di sempre e si rende libera facoltà a ciascun sacerdote di celebrare nella forma che egli ritiene più opportuna SENZA ALCUNA INTROMISSIONE INDEBITA da parte dell'ordinario del luogo e tantomeno del suo vicario, che non ha alcuna autorità su tale decisione, la mia famiglia ed io, che pure non siamo affatto avversi alla messa riformata di Paolo VI che infatti frequentiamo quotidianamente nei giorni feriali, abbiamo avuto, a partire dal dicembre 2008, la grande grazia da parte del nostro amato arcivescovo S.E. Rev.ma Mons. Paolo Rabitti della collaborazione piena e e della disponibilità di 20 (venti) sacerdoti diocesani che si turnano per la celebrazione della S.Messa festiva nel rito nella cosiddetta "forma straoirdinaria", volgarmente detto S. Messa di s. Pio V.
 
E così possiamo felicemente e finalmente assolvere al precetto festivo con quella celebrazione che ci riempie il cuore di gioia e di riconoscenza verso il Redentore e la Sua Gerarchia, immergendoci nella Tradizione ininterrotta di Santa Madre Chiesa, in piena comunione con il successore Pietro e con il nostro Arcivescovo.
 
Leggo con estrema tristezza  e con sgomento, ed anche con profondo dissenso, nell'articolo di Andrea Tornielli, che allego in calce a quest e-mail, della vicenda legata al parroco di Vetrego, don Pietro Mozzato, al quale è stato impedito - in evidente contrasto col volere di Pietro e con l'autorità Petrina dal Papa stesso rivestita in qualità di Vicario di Cristo - al quale è stato impedito di celebrare l'anniversario della sua ordinazione sacerdotale nel rito che fu, è e sarà il rito di sempre della Chiesa, senza per quetso rinnegare la forma ordinaria uscita dal post-concilio ed approvata da Papa Paolo VI.
 
Mentre esprimo, con la mia famiglia, la mia totale solidarietà a don Pietro Mozzato, mi si lasci altresì dire che è veramente scandaloso, cioè che dà veramentre scandalo, nel senso che le scritture attribuiscono a tale espressione, che un successore degli Apostoli, invece di inchinarsi al Magistero di Pietro, che è vincolante in materia di fede, costumi e quindi di liturgia, proibisca ciò che è bene e lecito in sè.
 
Nell'augurare Buona Pasqua di Resurrezione a S.E. e ed a Mons. Vicario, auspico un loro rapido ripensamento, a giovamento delle anime loro e per l'unità della Chiesa, divisa da questi interventi di chiara matrice antipapale e che espirmono disobbedienza e disprezzo verso la massima autorità esistente su questa terra, quell'autorità che viene da Dio e sulla quale la Chiesa del Signore è stata fondata dallo stesso Redentore.
  Con l'occasione, auguro a Don Pietro Mozzato una felice Santa Pasqua di Risurrezione, esprimendogli la solidarietà dell'intero Nuovo Movimento Liturgico Benedettiano, che non sarà certo fermato da queste azioni indegne di un successore degli apostoli e del Suo Vicario.   Caro Don Pietro, quando e se vorrà venire a celebrare a Ferrara la Santa Messa nella forma straordinaria del rito romano, sappia di poter contare su molti amici, anche se non li conosce ancora personalmente, nell'Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio. Presto sarà pubblicata l'Istruzione applicativa sul Motu Proprio: non ci illudiamo che questo possa sanare tutte le insopportabili angherie commesse nei confronti degli amanti della liturgia antica, ma certamente le notizie per questi signori non saranno belle. Con grande fiducia nella Vergine Santissima!   A tutti, in comunione con Pietro e con tutta la santa Chiesa, auguro una Santa Pasqua di Risurrezione.  
In Jesu et Maria
Cum Petro et Sub Petro
G. S. 

Festeggiare Marco, aspettando Pietro

Roma, Santa Maria del Popolo, San Marco. Pinturicchio
 
"Pax tibi Marce Evangelista meus" 


Proponiamo qualche frammento dell'omelia pronunziata quest'oggi dal Patriarca di Venezia, il Cardinal Scola, nel Pontificale celerato nella Solennità del Santo patrono della città e delle terre venete, Marco Evangelista.

1. La Seconda Lettura tratta dalla Prima Lettera di Pietro, posta sotto l’autorità del principe degli Apostoli, rivolgendosi ai fratelli delle comunità cristiane dell’Asia minore fa riferimento esplicito a Marco: «Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio» 1Pt 5,13. San Marco infatti accompagnò San Pietro nei suoi viaggi missionari in Oriente e a Roma. Marco ebbe anche una significativa comunità di vita con l’apostolo Paolo.
In ogni caso quello tra Pietro e Marco è un legame a noi particolarmente caro, in forza della veneranda tradizione che narra dell’azione ecclesiale di Marco nelle nostre terre venete.
Tra pochi giorni il successore di Pietro sarà tra noi per confermare la nostra fede. Ebbene, la Seconda Lettura illumina in pienezza cosa significhi che Benedetto XVI verrà a confermar la nostra fede. Essa dice infatti: «… il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso… vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta» (1Pt 5,10).
Questi quattro verbi mostrano come la fede sia veramente il dono più potente e straordinario che l’uomo possa ricevere. Infatti, in società oggi assai fluide come quelle europee, di cosa ha bisogno l’uomo se non di taluni punti fermi su cui poggiare?
Ma proprio perché la fede mette in gioco tutto l’umano, la venuta del Papa è dono per tutti gli uomini e le donne che vivono nel Nordest, anche per quelli che non credono o che credono di non credere.

5. Per quanto riguarda le nostre terre venete, poste sotto la protezione di San Marco, la festa di oggi segnata dal dono della visita del Papa, ci chiede di recuperare con determinazione la nostra storia, per conoscerla ma soprattutto per rilanciarla nel presente e nel futuro.

6. «… il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20b). Agli apostoli viene promessa, come conferma che essi predicando obbediscono allo Spirito Santo, una speciale protezione ed anche una speciale autorità. Dovranno pertanto attribuire i loro eventuali successi missionari non a se stessi ma al Signore che li manda. E la stessa cosa vale per quelli che per essi verranno alla fede. Cioè per noi.
Questa solenne celebrazione in onore del Santo Patrono di Venezia e delle terre venete diventa allora sprone per quella “risurrezione” personale e sociale di cui tanto sentiamo il bisogno. «Pax tibi Marce, Evangelista meus». Questa pace piena e realistica sia per noi dono e compito. Amen



RESURREXIT SICUT DIXIT! ALLELUIA!

Auguri di buona Pasqua!



Paolo Veronese, Resurrezione di Cristo


Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.


Padova, Chiesa di Santa Maria dei Servi, Pietà.

Non vi è la Chiesa senza l'Eucaristia


Marzo 1997, Missa "In Coena Domini". L'Omelia di Sua Santità Giovanni Paolo II.

"Siamo, dunque, convocati per esprimere di nuovo la vivente memoria del più grande comandamento, il comandamento dell'amore: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 13). Il gesto di Cristo lo rappresenta al vivo sotto gli occhi degli Apostoli: "Era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre"; l'ora del sommo amore: "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1).
2. Tutto questo culmina nell'Ultima Cena, nel Cenacolo di Gerusalemme. Siamo convocati per rivivere questo evento, l'istituzione del mirabile Sacramento, di cui la Chiesa vive incessantemente, del Sacramento che, sul piano della realtà più autentica e profonda, costituisce la Chiesa. Non vi è l'Eucaristia senza la Chiesa, ma, prima ancora non vi è la Chiesa senza l'Eucaristia.
Eucaristia vuol dire rendimento di grazie. Perciò abbiamo pregato col Salmo responsoriale: "Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?" (cfr Sal 115, 12). Presentiamo sull'altare l'offerta del pane e del vino, come incessante azione di grazie per ogni bene che riceviamo da Dio, per i beni della creazione e della redenzione. La Redenzione si è operata per mezzo del Sacrificio di Cristo. La Chiesa, che annunzia la redenzione e vive della redenzione, deve continuare a rendere presente sacramentalmente questo Sacrificio, da esso deve attingere le forze per essere se stessa. [...]"


immagini Cordis, Daylife

Uncti ex Uncto


Con il Giovedì Santo si pone fine al Tempo di Quaresima e si dà inizio al Triduo Pasquale, il punto focale di tutta la vita annuale del cristiano. Il Giovedì Santo, nella Messa in Coena Domini, celebriamo l'istituzione dell'Eucarestia da parte di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Ultima Cena, e faremo memoria del gesto della lavanda dei piedi, che Gesù Cristo ha compiuto dopo l'Ultima Cena, lasciando agli Undici il comandamento: "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri". Il Giovedì Santo, però, si celebra anche un altro aspetto molto importante: durante l'Ultima Cena, infatti, il Signore, anticipando l'offerta sacrificale di se stesso sulla Croce, diede ordine ai suoi discepoli di continuare a perpetuare il suo sacrificio sull'altare tutti i giorni: ha istituito quindi il sacerdozio ministeriale, quello dei diaconi, dei preti e dei vescovi, che in virtù del Sacramento dell'Ordine si occupano della cura delle anime del popolo di Dio. Il Venerdì Santo, nell'Azione Liturgica pomeridiana, celebriamo la Morte del Signore in Croce, leggendo la Passione secondo san Giovanni e procedendo con l'Adorazione della Santa Croce e la Santa Comunione. Il Sabato Santo, nella Solenne Veglia Pasquale, e la Domenica celebriamo la Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, il compimento della vera Pasqua, la liberazione dal peccato e dalla morte di tutti i credenti in Cristo Gesù.
Quest'oggi, come preludio al Triduo Pasquale, ha luogo la Messa del Crisma, che si celebra in tutte le cattedrali del mondo, e vede il popolo e soprattutto i sacerdoti uniti attorno al proprio vescovo, chiamati a rinnovare le loro promesse sacerdotali; durante questa Santa Messa vengono inoltre consacrati gli Olii santi per il Battesimo, la Cresima e l'Unzione degli Infermi: l'Olio dei Catecumeni, l'Olio del Crisma e l'Olio degli Infermi.
Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha anch'egli celebrato la Santa Messa del Crisma, insieme ai cardinali e vescovi di Curia e i presbiteri e diaconi della diocesi di Roma. Durante la sua omelia ha approfondito in particolare il significato che hanno per i cristiani questi Olii santi. Nei sacramenti, ha detto il papa, il Signore ci tocca per mezzo degli elementi della Creazione: l'unità tra Creazione e Redenzione si rende visibile. Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro dell'uomo: il Signore li ha scelti come portatori della sua presenza; anche nell'olio questo accade, infatti la parola Cristo significa "unto". Ciò che nel sacerdote dell'antica alleanza era avvenuto in modo simbolico con l'unzione con l'olio, avviene propriamente in Cristo, dove l'umanità è penetrata dalla divinità. Noi stessi ci chiamiamo cristiani, unti, persone che partecipano a Cristo. “Non voglio soltanto chiamarmi cristiano ma voglio anche esserlo” ha detto citando sant'Ignazio di Antiochia, ed ha esortato ad pregare il Signore perché sempre più non solo ci chiamiamo cristiani ma anche lo siamo nella vita.
E' passato poi a spiegare più da vicino il significato dei tre Olii: tramite essi si esprimono tre dimensioni essenziali dell'esistenza cristiana. L'Olio dei Catecumeni, ha detto Benedetto XVI, è un tocco interiore col quale il Signore attira le persone vicino a sé, un primo tocco; mediante questo tocco, che avviene ancora prima del Battesimo, guardiamo alle persone che sono alla ricerca della Fede, alla ricerca di Dio. L'olio dei Catecumeni ci dice che non solo l'uomo cerca Dio: Dio stesso si è messo alla ricerca di noi. Il fatto che Egli si sia fatto uomo ci fa vedere quanto Dio ami l'uomo: “Cercandomi ti sedesti stanco: che tanto sforzo non sia vano”, ha ricordato nel Dies Irae. Dio ama gli uomini: Egli viene incontro all'inquietudine del nostro cuore con l'inquietudine del suo stesso cuore che lo induce a compiere l'atto estremo per noi. In questo senso dovremmo sempre rimanere catecumeni: “Ricercate sempre il suo volto” e “Dio è tanto grande da superare sempre infinitamente tutta la nostra conoscenza e tutto il nostro essere”, ha detto citando il salmo 105 e sant'Agostino. L'uomo è inquieto perché tutto ciò che è temporale è troppo poco; ma siamo veramente inquieti verso di Lui? Non ci siamo forse rassegnati alla sua assenza? Non permettiamo questa riduzione, ha esortato il pontefice: rimaniamo sempre inquieti.
Guardando all'Olio dell'Unzione degli Infermi il papa ha posto davanti a noi la schiera dei sofferenti (affamati, assetati, vittime di violenza, gli ammalati, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto). Nel primo invio dei discepoli da parte di Gesù, san Luca ci narra che li mandò ad annunciare il Vangelo e a guarire gli infermi. Certo il compito principale della Chiesa, sottolinea Benedetto XVI, è l'annuncio del Regno di Dio, ma proprio questo annuncio deve essere un processo di guarigione: “Fasciare le piaghe dei cuori spezzati”. L'annuncio del Regno di Dio deve innanzitutto guarire il cuore ferito degli uomini. L'uomo è per sua stessa essenza un essere in relazione: se però è turbata la relazione fondamentale, quella con Dio, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell'anima. Per questo la prima e fondamentale guarigione avviene nell'incontro con Cristo, che ci riconcilia con Dio e sana il nostro cuore affranto. Ma anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza, nota il Santo Padre, è ruolo della Chiesa, visibile nell'Olio per l'Unzione degli Infermi. E' questa anche l'occasione per ringraziare le sorelle e i fratelli che portano sollievo agli uomini sofferenti, senza guardare la loro confessione. Attraverso il mondo una scia luminosa di persone ha origine dall'amore di Gesù per i sofferenti e i malati. Per questo ringraziamo in quest'ora il Signore, per questi fratelli che danno testimonianza della bontà di Dio. L'olio degli Infermi è segno tangibile della bontà del cuore: senza parlare di Cristo costoro lo manifestano.
Infine il papa si è soffermato sull'Olio del Crisma, mistura di olio di oliva e profumi. E' l'olio dell'unzione sacerdotale e di quella regale, che si allaccia alle unzioni dell'Antica Alleanza. Nella Chiesa si usa per la Confermazione e per le ordinazioni sacre. Con questo, ha detto il pontefice, si vuole dare compimento alle parole del profeta Isaia, con le quali riprende le parole di promessa di Dio verso il suo popolo presso il Sinai: voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Israele doveva esercitare una funzione sacerdotale per il mondo, aprire il mondo a Dio. San Pietro proclama, aprendo a tutto il popolo dei battezzati: "Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa. Voi un tempo eravate non popolo; ora siete popolo di Dio". L'unzione nel Battesimo e nella Confermazione introduce in questo ministero sacerdotale per l'umanità. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarlo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo comune incarico, in quanto battezzati, non dobbiamo farne un vanto, ammonisce il papa, ma ciò è una cosa che ci dà gioia e ci inquieta: siamo davvero santuario di Dio per il mondo? Diamo testimonianza di Dio o lo nascondiamo? Non siamo forse diventati popolo dell'incredulità? Non è vero forse che l'occidente è stanco della sua fede? Benedetto XVI ci invita con forza a gridare in quest'ora a Dio: “Non permettere che diventiamo non popolo; fa' che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio”. Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, dice il Santo Padre, non dobbiamo dimenticarci dei grandi esempi della fede. Ricorda, il pontefice, il 1° maggio, data in cui verrà beatificato Giovanni Paolo II; allora penseremo a lui come esempio per il nostro tempo, ed insieme a tutti coloro che egli ha beatificato e canonizzato.
Al termine della sua omelia, il papa si rivolge ai sacerdoti: "Il giovedì è particolarmente il nostro giorno: nell'Ultima Cena il Signore ha istituito il sacerdozio neo-testamentario: “consacrali nella verità” ha pregato il Padre. Con umiltà per tutte le nostre insufficienze rinnoviamo il nostro Sì al Signore Gesù". 

da http://caorleduomo.blogspot.com

immagine da Corbis

Curiali ciàcole trevigiane e la Messa della discordia



Le resistenze al motu proprio Summorum Pontificum, con il quale nel 2007 Benedetto XVI volle liberalizzare la messa antica, concedendo ai parroci di celebrarla in presenza di un gruppo stabile di fedeli, senza il bisogno di una speciale autorizzazione del vescovo, raggiungono livelli di guardia. L’ultimo caso è accaduto in quel di Vetrego, paese vicino a Mirano in provincia di Venezia ma in diocesi di Treviso. Qui, con l’accordo del parroco e del consiglio parrocchiale, che non è affatto composto da tradizionalisti, era stato stabilito di celebrare il 1° maggio – domenica in Albis e festa della Divina Misericordia – una messa antica (solo per una volta, solo in quella speciale occasione), per festeggiare il sessantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale e il quarantesimo anniversario di permanenza dello stesso parroco, don Pietro Mozzato. Che avrebbe dunque rivissuto la messa della sua ordinazione sacerdotale. Nessuna nostalgia borbonica, nessun inno al Papa re (sentimenti peraltro difficilmente riscontrabili in Veneto, che non fece mai parte dello Stato Pontificio), nessuna finalità “politica”, nessuna polemica contro il Concilio Vaticano II… Solo una messa secondo il rito antico, con il messale del 1962, quello promulgato dal beato Giovanni XXIII, quello liberalizzato dal suo successore Papa Ratzinger.
A celebrare la messa in onore di don Pietro sarebbe stato padre Konrad Zu Loewenstein, della Fraternità San Pietro, cappellano di San Simon Piccolo a Venezia, che celebra more antiquo nel capoluogo lagunare in accordo con il cardinale patriarca Angelo Scola. I manifestini per invitare i fedeli erano già pronti. Ma… il parroco di un paese vicino, Spinea, vedendoli, ha pensato bene di dire al collega di Vetrego che quell’iniziativa avrebbe urtato la curia di Treviso. Così, nonostante la decisione presa in accordo con il consiglio pastorale (quando serve, s’invoca sempre l’importanza di questi organismi, quando non serve la si dimentica; quando fa comodo i laici e le loro inziative scompaiono, in barba allo stesso Concilio) e nonostante si ricadesse in tutto e per tutto nelle facoltà concesse da un motu proprio papale che è legge universale nella Chiesa, il parroco di Vetrego è stato vivamente sconsigliato di procedere. E’ stato infatti avvertito il vicario generale del vescovo Gianfranco Agostino Gardin, monsignor Giuseppe Rizzo, il quale ha fatto sapere (per interposto sacerdote) che la curia era contraria e la messa non s’aveva da fare.
Così don Pietro, che avrebbe potuto tranquillamente procedere come previsto e annunciato, si è sentito sotto pressione e ha pensato di annullare tutto, in barba ai manifesti già stampati e alle norme sancite dal Pontefice. I fedeli di Vetrego che avevano sostenuto l’iniziativa – ricordiamolo, celebrazione straordinaria una tantum per un giubileo sacerdotale della messa liberalizzata da Benedetto XVI – hanno provato invano a contattare vicario e vescovo, che, come spesso purtroppo accade in questi casi, han pensato bene di non rispondere. Sui laici faranno molte omelie, convegni, progetti pastorali. Ma non si sentono in dovere di dar loro risposte, perché facendolo dovrebbero spiegare in base a che cosa proibiscono ciò il Papa ha liberalizzato.
Qualcosa del genere era già accaduto nei mesi scorsi a Mirano, sempre in diocesi di Treviso. Inutile dire che questo zelo e questa volontà di stabilire norme ad personam viene applicato a senso unico, in un’unica direzione. Fingendo di non vedere ciò che accade in tante altre parrocchie (mi riferisco a certe liturgie, per così dire, ”disinvolte”, di cui non mancano esempi).
Chi segue questo blog sa come negli ultimi mesi il sottoscritto sia stato piuttosto severo nei suoi giudizi verso certi atteggiamenti del mondo tradizionalista. Ma ciò che sta accadendo, con pastori che pretendono di far valere la loro autorità al di sopra di quella del Papa, dimenticando le leggi della Chiesa e non degnando neppure di una risposta i fedeli laici “colpevoli” di aver proposto per una volta soltanto la celebrazione della messa antica, è davvero grave. La diocesi di Treviso, che ha dato i natali a san Pio X, non risulta – almeno per il momento – dispensata dalla comunione con il vescovo di Roma, né risulta seguire il rito ambrosiano o mozarabico. Celebra il rito romano. E dal 2007 di quel rito romano, accanto alla forma ordinaria, esiste, pienamente legittima e legittimata, la forma straordinaria. Anche nella curia trevigiana dovrebbero farsene una ragione.


testo da 2.andreatornielli.it, immagini da g.image.

In Dominica Palmarum



Egrediamur igitur, charissimi, obviam Domini Bethphage, compuncti timore pœnæ et spe cœlestis vitæ firmati, confitendo peccata humiliter, et simpliciter ambulando, substratis vestibus nostræ carnalitatis, ut in nobis dignetur sedere Dominus, et nos secum in cœlestem Hierusalem introducere. Amen. (San Pier Damiani, Sermo VII, Homilia in Dominica Palmarum, PL 144, 545)
Usciamo perciò, carissimi, sulla via del Signore al monte degli Ulivi, compunti per il timore della pena e per la speranza della vita celeste, confessando umilmente i peccati e camminando con semplicità, stese le vesti della nostra concupiscenza, affinché il Signore si degni di sedere su di noi, e noi assieme a Lui veniamo introdotti nella celeste Gerusalemme. Amen.

Opportune utique processioni passio coniuncta est, ut discamus in nulla lætia huius sæculi habere fiduciam, scientes quoniam extrema gaudii luctus occupat. (San Bernardo di Chiaravalle, Sermo II, De passione et processione et quatuor ordinibus processionis, PL 183, 256)

Certo, in maniera opportuna alla processione è congiunto il passio, affinché apprendiamo a non avere fiducia, in nulla, tramite la letizia di questo secolo, comprendendo che il lutto si impadronisce dell'estrema gioia.


 

Hosanna filio David (Matt. XXI, 9). Vox exsultationis et salutis, vox gaudii et pietatis, vox fidei et amoris, adgratulans adventui Redemptoris, atque prophetico protestans gaudio desideratæ laetitiam redemptionis. Hosanna filio David, ait hæc familia David; salus est illi qui factus est ex semen David, ut salvet eos qui sunt ex fide David. Laudate, laudate, pueri, Dominum, laudate nomen Domin (Psal. XII, 1, 2); dicite: Sit nomen Domini benedictum (Job 1, 21), sit benedictus, qui venit in nomine Domini. (Beato Guerrico d'Igny, Sermo IV, Qualiter Christus benedicendus, PL 185, 137-138)

Osanna al Figlio di Davide (Mt 21, 9). Voce d'esultanza e di salvezza, voce di gaudio e di pietà, voce di fede e d'amore, che accoglie l'avvento del Redentore, ed esprime con profetico gaudio la letizia della desiderata redenzione. Osanna al Figlio di Davide, afferma questa discendenza di Davide; è la loro salvezza, Colui che è della stirpe di Davide, affinché Egli salvi loro, che hanno stessa fede di Davide. Lodate, lodate il Signore, o fanciulli, lodate il nome del Signore (Sal 12, 1, 2); dite: sia benedetto il nome del Signore (Gb 1, 21), sia benedetto, Colui che viene nel nome del Signore.
 
"Attraverso le note della Santa Liturgia, intanto, è sempre Gesù che passando sulla terra si accosta alle dimore degli uomini. I bambini innocenti lo hanno subito scorto, i primi, al suo incedere sopra l'umile giumento, super pullum asinae. Essi agitano rami di fresco olivo intorno a Lui, e gli cantano Osanna, osanna; mentre gli adolescenti e gli uomini maturi stendono i loro mantelli sul suo passaggio, anch'essi salutandolo con le note del canto antico. In questo episodio di mitezza, di gaudio interiore e di pace dolce e serena, come non vedere la espressione della Santa Chiesa di Gesù su tutti i punti della terra, della Chiesa acclamante al suo Salvatore, al suo Maestro divino, sorgente della sua vita e sicurezza della sua felicità eterna? Dice bene Sant'Agostino : Rami palmarum laudes sunt significantes victoriam. I ramoscelli di olivo sono inni cantanti vittoria." (Beato Giovanni XXIII, Omelia del 10 aprile 1960)


"Come si connettono le due memorie, le due cerimonie [Le Palme e la Passione]? La prima, festante, riconosce in Gesù il trionfatore della storia, il centro del genere umano, Colui che segna le ore del tempo e dei secoli; la seconda parte sembra, al contrario, tutta negativa, luttuosa, funebre, parlandoci, essa, del processo a Gesù, della sua condanna, riprovazione e crocifissione; degli scherni da Lui subiti; del suo annientamento sino alla morte. Come perciò si congiungono i due ricordi? Il modo c’è: benché si tratti di una lezione difficile, che Gesù stesso volle già spiegare ai suoi discepoli, senza che, allora, questi la comprendessero. Quel Cristo che la speranza del popolo attendeva quale condottiero trionfante, dispensatore di glorie e potenza, di ricchezza e felicità, quel Cristo, invece, doveva venire nel dolore, nella umiliazione, nella morte. E la misteriosa contraddizione si rinnova e si perpetua. Infatti, ogniqualvolta noi aspettiamo una eredità di elevazione e di prestigio da Cristo, Egli ci lascia delusi e ci si mostra ancora con le sue braccia distese, le mani inchiodate e il capo chino del morente e del morto. Che cosa vuol dire ciò? Qui deve concentrarsi il nostro pensiero, se vuole comprendere il senso della Grande Settimana, delle odierne cerimonie e delle altre che seguiranno. Vuol dire che dobbiamo collocare i nostri aneliti, la nostra sorte, i nostri veri bisogni, la nostra speranza non nel mondo presente, bensì nell’altro, in quello eterno; non nella supremazia temporale e materiale, esteriore, ma in assai diverso trionfo, quello conseguito da Gesù con la sua morte di croce; portando, cioè, a noi un sacrificio." (Paolo VI, Omelia dell'11 aprile 1965)


foto da Daylife

Niente Giuliodori, a Vicenza arriva Pizziol


Vicenza ha un nuovo vescovo. E' monsignor Beniamino Pizziol, vescovo ausiliare del patriarcato di Venezia. L'annuncio ufficiale è stato dato al Palazzo delle Opere Sociali. E' stato così scritto l'ultimo capitolo dell’intricata (e piuttosto lunga) vicenda della successione a monsignor Cesare Nosiglia, diventato arcivescovo di Torino ben sei mesi fa. Il nome di Pizziol sarebbe stato preferito a quello di Claudio Giuliodori, 53enne vescovo di Macerata, e di Franco Giulio Brambilla, proveniente dall’arcidiocesi di Milano. I due presuli facevano parte della terna sottoposta al vaglio di papa Benedetto XVI. Pizziol, classe 1947, è nato a Treporti, diocesi di Venezia. Dal 1987 al 2002 è stato parroco nella parrocchia di San Trovaso in Venezia. In questo anno riceve la nomina di vicario generale del patriarcato e canonico onorario di San Marco. Il 5 gennaio 2008 papa Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare di Venezia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Cittanova e il 24 febbraio 2008 è stato consacrato vescovo. Il motto scelto nel suo stemma vescovile è «Deus caritas est». La scelta di Scola in questi nove anni si è rivelata azzeccata. Il suo vicario proviene da un background che si può definire approssimativamente «progressista», con un’attenzione particolare alle questioni dell’ecumenismo. Ma questo non gli ha impedito di dialogare in maniera intelligente e fruttuosa con tutte le componenti e movimenti della diocesi. Di sapersi muovere agilmente nella complessa realtà veneziana senza preconcetti ideologici, come è nella miglior tradizione della diocesi lagunare.
Da parte dei vescovi veneti ci sarebbe stata una alzata di scudi: da quello che è trapelato i nostri presuli avrebbero chiesto un vescovo veneto per il capoluogo berico, in una sorta di federalismo pastorale. Giuliodori sta facendo bene, nella sua diocesi: in questi giorni ha trionfalmente riaperto la Basilica Concattedrale San Flaviano Martire di Recanati. Nato a Osimo, in provincia di Ancona, nel 1958, Giuliodori vanta un curriculum degno di nota, come abbiamo rilevato in passato. Vicino al cardinale Camillo Ruini, nel 1998 è stato nominato Direttore dell’ufficio nazionale per le comunicazioni della Conferenza episcopale italiana. Nell’ottobre 2006 è stato nominato dal Papa consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; dal 2002 è direttore responsabile della rivista delle Giornate mondiali della gioventù edita dal Pontificio Consiglio per i laici. È stato anche professore al Laterano quando la pontificia università era guidata da Angelo Scola, attuale patriarca di Venezia. Ma il curriculum di Giuliodori non è mai stato messo in discussione. Anzi, il suo nome fino a qualche giorno fa era in testa per la guida della diocesi berica. Ma la volontà dei vescovi veneti è stata invece quella di esprimere un vescovo del territorio.

Lo Stemma di Mons. Beniamino Pizziol

RINUNCE E NOMINE
 NOMINA DEL VESCOVO DI VICENZA (ITALIA) 
Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo di Vicenza (Italia) S.E. Mons. Beniamino Pizziol, finora Vescovo titolare di Cittanova e Ausiliare di Venezia.
 S.E. Mons. Beniamino Pizziol

S.E. Mons. Beniamino Pizziol è nato a Ca’ Vio-Treporti, patriarcato e provincia di Venezia, il 15 giugno 1947.
Ha percorso l’itinerario formativo nel Seminario Minore e Maggiore di Venezia fino all’ordinazione sacerdotale, ricevuta il 3 dicembre 1972 dall’allora Patriarca di Venezia, il Cardinale Albino Luciani.
Da giovane chierico, ha ottenuto dal Cardinale Patriarca il permesso di svolgere un’attività lavorativa per breve periodo.
Ha frequentato i corsi di Liturgia Pastorale presso l’Istituto Santa Giustina di Padova.
Dal 1972 al 1987, è stato Vicario Parrocchiale. Dal 1987 al 2002, è stato Parroco di San Trovaso in Venezia e Incaricato della Pastorale Universitaria. Dal 1996 al 2002, è stato Assistente dell’AIMC e della FUCI. Dal 1997 al 2002, ha svolto l’incarico di Pro Vicario Foraneo. Dal 1999 al 2002, è stato Membro del Collegio dei Consultori.
Dal 2002, è Vicario Generale di Venezia e Canonico Onorario di San Marco e dal 2007 Moderatore della curia patriarcale.
Eletto alla Chiesa titolare di Cittanova e nominato Ausiliare di Venezia il 15 gennaio 2008, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 24 febbraio successivo.
[00562-01.01]
[B0221-XX.01]
da corrieredelveneto.corriere.it, bollettino vaticano

Auguri Santità!

 
Oremus pro Pontifice nostro Benedicto
Dominus conservet eum et vivificet eum et
beatum faciat eum in terra et non tradat eum in animam inimicorum eius.

immagine da Corbis

Padova, Chiesa di S. Croce, Crocifisso.


Ad genua

Salve Jesu, rex sanctorum,
spes votiva peccatorum,
crucis ligno tamquam reus,
pendens homo verus deus,
caducis nutans genibus.

Quid sum tibi responsurus,
actu vilis corde durus?
Quid rependam amatori,
qui elegit pro me mori,
ne dupla morte morerer

Ut te quaeram mente pura,
sit haec mea prima cura,
non est labor et gravabor,
sed sanabor et mundabor,
cum te complexus fuero

***

Alle ginocchia
 
Salve, Gesù, re dei santi,,
speranza invocata dai peccatori,
appeso al legno della croce come reo,
vero uomo e vero Dio,
vacillante sulle fragili ginocchia.

Che ti risponderò,
io, essere vile, cuore duro?
Che renderà all’amante,
che scelse di morire per me,
perché non morissi di doppia morte?

Che io ti cerchi con mente pura,
questa sia il mio primo pensiero,
non c’è più fatica,
sarà sanato e purificato,
quando ti abbraccerò

  
da "Salve mundi salutare" o "Rhythmica oratio" di Arnolfo di Louvain (sec. XIII)

La croce pettorale di Paolo VI? Su eBay!



Sempre in America: li si son comprati il Triregno e altri tesori, messi in vendita per volere di Paolo VI, e adesso si cerca di rivenderli. Insomma, non è cosa di tutti i giorni ritrovare i gioielli del Papa in vendita su eBay. Croce pettorale, composta da 12 diamanti principali in un letto di smeraldi e diamanti a taglio più piccolo, l'anello con diamante di carati 12,75, appartenuti al Papa Montini, sono ora depositati in una gioielleria del North Carolina in attesa che l'acquirente passi a ritirare il tutto. Paolo VI donò Croce e anello nel 1965 perché fossero subito messi all'asta per recuperare denaro da destinare ad opere caritative. Acquistò il  tesoro (nel '67) Harry Levinson, un noto gioielliere di Chicago, per 64 mila dollari, poi divisi tra quattro agenzie delle Nazioni Unite. I gioielli, passati di mano in mano fino a quelle di una vedova, che ha deciso di venderli con i nuovi moderni metodi. Intanto il proprietario della gioielleria che ha in custodia i due preziosi pezzi, sta organizzando un'esposizione in occasione della Settimana Santa. 




 immagini da theratzingerforum.yuku.com

Ancora Bux: rimettere in discussione le norme


L'interessante intervista di Andrea Zambrano de La Bussola Quotidiana a Mons.Nicola Bux.

Ringraziamo R. B. per la segnalazione
«Rivediamo le norme sull'adeguamento liturgico delle chiese». L'appello, fatto in forma di invito al dibattito, è rivolto alla Cei da don Nicola Bux, consultore dell'Ufficio delle celebrazioni del Sommo Pontefice e della Congregazione per la Dottrina della fede.
Il sacerdote barese ha fatto la sua provocazione giovedì sera nel corso di un dibattito a Reggio Emilia davanti ad una platea di oltre 200 persone. Quali e quanti sono stati gli abusi che hanno portato tanti fedeli a ricercare la forma liturgica more antiquo? Quanto ha inciso in questo processo di allontanamento dalla messa l'aver voluto privilegiare l'aspetto della parola rispetto a quello del sacrificio?
Sono alcune delle domande che don Bux ha posto al pubblico per suscitare una discussione che deve essere franca, pur nella carità, ma che, soprattutto, ha spiegato anche alla “Bussola quotidiana” che lo ha intervistato, “devono farci riflettere su quello che ha voluto dirci il Papa con il Motu Proprio e con la prossima pubblicazione dell'istruzione con il quale applicarlo”.

Don Bux, andiamo con ordine. Si incomincia con i dibattiti e poi non si sa dove si va a finire... 
Ma non possiamo pretendere di dialogare con gli altri se non sappiamo farlo tra di noi. Sono stato invitato a Reggio nel contesto della vivace discussione che si è innestata in città a seguito dell'adeguamento liturgico della Cattedrale. E ho trovato tanta gente che chiede e desidera di sapere e dire la sua. Ecco, credo che nessun vescovo dovrebbe fare nulla senza aver ascoltato prima il popolo di Dio. Insomma, un dibattito è più che mai necessario.

Proviamo a orientarci. Siamo in un contesto dove gli abusi liturgici ormai sono la prassi. Che si fa? 
Riconosciamo che in parte sono stati responsabili dell'allontanamento dalla fede di tanti.

Dopo di che? 
Credo che si debba partire da un aspetto ormai tralasciato della messa: quello sacrificale. Nell'ultimo libro del Papa leggiamo che dalla trafittura del costato escono sangue e acqua. Questo ci richiama che Gesù è venuto non solo con l'acqua, ma anche col sangue. Benedetto XVI allude a una corrente di pensiero che attribuiva valore soltanto al battesimo, ma accantonava la croce e considerava solo la parola, la dottrina, il messaggio e non la carne.

Ebbene? 
Quanti confratelli conosco oggi che dicono che basta solo la parola, che la parola è centrale! Tutto questo tende a creare un cristianesimo del pensiero e delle idee che vuole togliere la realtà della carne e il sacrificio.

Che cosa c'entra tutto questo con la liturgia? 
C'entra perchè oggi si celebra la messa intendendola come banchetto, come cena e viene assolutamente trascurato il solo pensiero che la messa possa essere il sacrificio di Cristo.

È un tema ormai annoso, ma oggi qual è l'urgenza? 
La liturgia non è più solo quella post conciliare. Il Santo Padre ha ripristinato anche quella pre conciliare. Significa che non si può pensare ad un adeguamento delle chiese che non tenga conto anche della liturgia ripristinata, la quale prevede che la celebrazione della messa si possa fare rivolti ad Dominum e non di spalle, come maliziosamente si è cercato di far passare.

Un momento. Prima gli adeguamenti e adesso i contro-adeguamenti?
Questo aspetto può essere compreso solo all'interno del grande simbolismo, che l'edifico sacro cristiano possiede. La Chiesa è simbolo del cosmo ed è composta di elementi indefinibili e sensibili, allo stesso modo la chiesa, in senso di edificio, è simbolo dell'uomo composto di un corpo rappresentato dalla navata, da un'anima, il presbiterio e da uno spirito, l'altare, secondo la simbologia dei padri orientali.

Ma questi sono elementi che, più o meno, sono rispettati dappertutto...
Non ne sarei così convinto. Da circa 40 anni, dopo il congresso di Bologna promosso nel '68 dal cardinal Lercaro, è andata avanti una forma di chiesa a teatro, dove tutti coloro che prendono posto si guardano tra loro. Che non siano rivolti più, insomma, verso un punto comune. Lentamente questa impostazione ha preso piede e ha portato alla perdita di orientamento della celebrazione che, lo ripetiamo, non ha come suo centro il popolo né, tantomeno, il sacerdote, ma il Signore, rappresentato dall'Oriente e successivamente dal Crocifisso.

Che piano piano ha perso la sua centralità... 
Di più. Non ha più un punto fermo, è in movimento continuo, è una suppellettile secondaria. Alcuni confratelli sostengono che la croce è inutile per celebrare. Il fatto è che tutto ciò che spostiamo dal nostro centro visivo, dal punto di vista psicologico perde di importanza e se perde d'importanza la croce avviene lo stesso anche per l'altare, che diventa un podio da conferenza.

Che fare allora? 
Ripartiamo dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana sulle due ermeneutiche del Concilio Vaticano II. Va applicato anche alla liturgia e all'arte.

Lei sceglierebbe quella della continuità? Però il suo, sembra essere un discorso di rottura con quanto avvenuto negli ultimi 40 anni. 
Partiamo anzitutto dal fatto che la Costituzione Sacrosantum Concilium dice: “Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera ed accertata utilità, con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche modo, da quelle già esistenti (n° 23)”. E' la dimostrazione che il Concilio non ha avuto un'azione così dirompente. Eppure abbiamo affidato le nostre chiese alle archistar, senza preoccuparci se sono credenti e dunque interpreti della fede che si vuole esprimere nell'opera.

Aiuto. Pioveranno critiche... 
(Ride) Ho posto il quesito in occasione del seminario con sua eminenza il cardinal Gianfranco Ravasi nel luglio scorso in un seminario. Gli ho detto: “Ma come? Chiediamo ai genitori dei bimbi che fanno i sacramenti di scegliere padrini credenti e poi per l'edificio sacro che viene consacrato con un ritto simile a quello dell’iniziazione, con l’unzione del crisma, quasi fosse una persona, ci permettiamo di affidarne la progettazione a chi spesso non sa neanche che cosa sia la fede cattolica?”.

Com'è andata?
Sua eminenza è stato molto attento. Ho proposto che certe opere andassero nel “Cortile dei gentili”!

Intanto però, là, in chiesa il problema rimane...

Il richiamo all'arte sacra ci deve far capire l'urgenza di riscoprire i canoni dell'arte anche perché il popolo per sua natura rigetta ciò che gli è estraneo. Prenda la croce di Pomodoro in San Giovanni Rotondo. E' già stata rimossa e sostituita con un crocifisso tradizionale. O anche a quello che sta succedendo a Reggio. Si vuole portare una scultura di un artista giapponese che sostituisca il crocifisso: una barca sormontata da un albero. Non credo che avrà molto seguito della devozione del popolo, che tra l'altro, spesso paga e fa sacrifici per sostenere certe spese.

Che cosa propone?

Dovremmo rimettere in discussione le norme di adeguamento degli edifici di culto promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana nel '96. Soprattuto adesso, in presenza del motu proprio "Summorum Pontificum" e dell'istruzione applicativa di imminente pubblicazione, ritengo che sarà necessario rivederle. In merito, c’è già uno studio di un professore dell’Istituto di Scienze religiose della Diocesi di San Severo, don Matteo De Meo, che meriterebbe di essere conosciuto dall’ufficio competente della Cei.

La accuseranno di eccessivo tradizionalismo...

Ma le norme ecclesiastiche rivedibili e andrebbero riprese ed esaminate per dare ai sacerdoti e ai fedeli, alla luce dell'evoluzione del Magistero, la possibilità di sentirsi a casa propria.

Un modo allora per porre un limite agli abusi liturgici?

Mi è piaciuta una domanda fatta da un sacerdote l'altra sera: “Tutti questi cambiamenti hanno fatto avvicinare la gente alla fede o no?”. Le statistiche dicono di no. Ecco, penso che mai come in questi decenni siamo stati interessati da documenti del Magistero, da Paolo VI ad oggi, che puntano a limitare gli abusi. Eppure siamo di fronte a messe show, alla scomparsa degli inginocchiatoi, che tra l'altro, costringe il fedele a venir meno al primo compito della messa, quello dell'adorazione. E ancora: ai sacerdoti che si vestono secondo il loro gusto personale, come se i paramenti non fossero l'oggettività del rito che viene affidato ad un ministro, anche se indegno. In questo modo la messa è puro intrattenimento e la chiesa un auditorium. 

Perché allora non cambiare le norme dall'alto?
Le faccio questa similitudine. La liturgia cambia nei secoli, come il paesaggio. Anno dopo anno, secolo dopo secolo, quell'albero, quel prato, quella spiaggia, mutano impercettibilmente il loro aspetto. Che però cambia. E quando introduciamo degli ecomostri, che deturpano questo aspetto, ci scandalizziamo. Allo stesso modo è la liturgia. Quando il cambiamento è stato fatto a forza di decreti sono scoppiati i tafferugli ed è successo che, dopo 40 anni, quello che si pensava sotterrato come Giona nel ventre della balena, sta tornando fuori.

immagine (nuovo Presbiterio della Cattedrale di Verona) da Flickr
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