Da Roma a Trieste e ritorno, passando però per Venezia. La tappa, per
così dire, della “consacrazione”. Chissà non possa essere questa la
“parabola” fulminea di monsignor Giampaolo Crepaldi, il vescovo di
Trieste, il quotato teologo nato nel 1947 a Villadose (cinquemila anime
in provincia di Rovigo) che due anni or sono lasciò il Vaticano, per
guidare la diocesi “periferica” di Trieste, con la mai smentita intima
speranza di tornarci, un giorno non precisato, da cardinale. “Ambizione”
legittima - si narra negli ambienti di fede - per uno che in Vaticano,
per fare un’esperienza pastorale, la prima, che lo potesse arricchire e
“qualificare” nel suo percorso, all’epoca aveva mollato nientemeno che
la segreteria del Pontificio consiglio della giustizia e della pace,
cioè l’organo che aveva appena lavorato con Benedetto XVI sull’enciclica
“Caritas in veritate”. Come “incentivo” ad personam - riconoscimento
del suo spessore - aveva ricevuto la nomina ad arcivescovo. Trieste,
insomma, tappa di vita. Di certo non capolinea.
Ora però che Papa Ratzinger ha fatto del Patriarca di Venezia
Angelo Scola il nuovo arcivescovo di Milano - aprendone l’iter di
successione, che passa per una terna tra cui scegliere a partire dall’8
settembre, quando Scola entrerà in Milano - monsignor Crepaldi potrebbe
bruciarle, quelle tappe. Già, perché patriarca vuol dire anche
presidente triveneto della Conferenza episcopale e soprattutto - sebbene
non automaticamente ma per le vie brevi comunque sì... - cardinale. Un
“avente diritto” al voto più trascendente di questo mondo: il conclave.
Dopo i rumors già raccolti dalle nostre parti lo scorso mese,
di recente infatti tra le righe di un articolo di “Repubblica” da Città
del Vaticano il nominativo del vescovo di Trieste è associato ad altri
quattro nel toto-successore di Scola. C’è Pietro Parolin, il nunzio
apostolico in Venezuela, dato in vantaggio su tutti. Eppoi ecco
Crepaldi, sullo stesso piano del “collega” di Rimini, Francesco
Lambiasi, del presidente del Pontificio consiglio della Cultura, il
cardinale Gianfranco Ravasi, e dell’arcivescovo di Chieti Bruno Forte.
«Monsignor Crepaldi, i numeri, li ha tutti. Il suo bagaglio lo
mette in pole-position, ma al tempo stesso la sua presenza a Trieste è
molto importante», mette le mani avanti don Ettore Malnati, vicario
episcopale per la cultura e il laicato, di fatto un “braccio destro” del
vescovo, il quale ricorda come per succedere al cardinale Scola, per
inciso ciellino e “motore” della Facoltà teologica del veneto, serva
«una visione internazionale, una conoscenza della dottrina sociale che
monsignor Crepaldi ha».
L’attuale vescovo di Trieste, tuttavia, ha dimostrato in questi
due anni anche altre caratteristiche, che - secondo certi rumors
triestini rimbalzanti fin nella capitale - contribuirebbero invece a
trattenerlo ancora a San Giusto, e a tempo indeterminato. Una di queste
caratteristiche è la grande schiettezza, ai confini della diplomazia, in
certe uscite pubbliche, il che tra Vaticano e Cei non è scivolato
sempre via come una minerale non gassata. Un episodio ad esempio riporta
alla dialettica epistolare, per così dire, con Claudio Magris a
proposito della rubrica delle lettere “soppressa” su Vita Nuova. Un
altro episodio, molto più fresco, è la sua presa di posizione in merito
al referendum sull’acqua: una «strumentalizzazione» nella quale la gente
ci sarebbe caduta, secondo il nostro vescovo. «L’acqua rimanga
pubblica», aveva ammonito prima del voto, invece, monsignor Mariano
Crociata, segretario generale della Cei. E non è che la Cei, nelle
designazioni episcopali, non metta bocca.
Piero Rauber (il Piccolo)