Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Avviso sacro: l'appuntamento coi campanili veneziani



Giovedì 1 dicembre - ore 18:00

Campo San Tomà - Scoletta dei Calegheri

La Venezia dei campanili e dai campanili
presentazione di immagini veneziane da una prospettiva inusuale

Presenta: Fausto Maroder, Sergio Piovesan


L'Avvento, l'umana attesa



"L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo."

BENEDICTUS PP. XVI
Angelus, 28 novembre 2010

Arte e musica sacra: a Roma qualcosa si muove



di Andrea Tornielli (per Vatican Insider)
Un’equipe per dire basta alle chiese-garage, a quelle ardite architetture che rischiano di snaturare tanti moderni luoghi di culto cattolici. E per promuovere un canto che aiuti davvero la celebrazione della messa. Nelle prossime settimane sarà istituita presso la Congregazione del culto divino la «Commissione per l’arte e la musica sacra per la liturgia». Non un semplice ufficio, ma una vera e propria squadra che avrà il compito di collaborare con le commissioni incaricate di valutare i progetti delle nuove chiese nelle diocesi, come pure di approfondire il tema della musica e del canto che accompagnano la celebrazione.
Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto del culto Divino, in accordo con Benedetto XVI, considera questo lavoro come «molto urgente». La realtà è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi decenni, la chiese sono state sostituite da costruzioni che assomigliano più a saloni multiuso. E troppo spesso gli architetti, anche quelli di grido, nelle loro realizzazioni non sono partiti da ciò che è la liturgia cattolica, finendo per realizzare costruzioni d’avanguardia, che assomigliano a tutto, tranne che a una chiesa. Cubi di cemento, scatole di vetro, forme azzardate, spazi confusi, entrando nei quali si è richiamati a tutto tranne che al senso del sacro e del mistero, dove il tabernacolo risulta seminascosto e talora richiede una vera e propria caccia al tesoro, o dove le immagini sacre sono praticamente bandite. La nuova commissione, il cui regolamento viene redatto in questi giorni, darà indicazioni precise alle diocesi, occupandosi soltanto dell’arte per la liturgia, non dell’arte sacra in generale; come pure della musica e del canto per la liturgia. E agirà i poteri giuridici della Congregazione del culto.

Com’è noto, lo scorso 27 settembre, Benedetto XVI, con il motu proprio Quaerit semper, aveva trasferito alla Rota Romana, che è il tribunale d’appello della Santa Sede, la competenza su due materie fino a questo momento trattate dalla Congregazione per il culto. La prima di queste riguarda la nullità dell’ordinazione sacerdotale che, come accade per il matrimonio, può essere nulla a causa di vizi di materia e di forma, di consenso e di intenzione, sia da parte del vescovo ordinante sia del chierico che viene ordinato prete. La seconda materia è la dispensa nei casi di matrimoni contratti ma non consumati. Pratiche che impegnavano non poco il dicastero guidato da Cañizares.
Nel motu proprio il Papa spiegava: «Nelle presenti circostanze è parso conveniente che la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti si dedichi principalmente a dare nuovo impulso alla promozione della sacra liturgia nella Chiesa, secondo il rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II a partire dalla costituzione Sacrosanctum Concilium». Il dicastero deve dunque dedicarsi «a dare nuovo impulso» alla promozione della liturgia, secondo quella centralità sulla quale Papa Ratzinger insiste, anche e soprattutto con l’esempio. Da questo punto di vista, rispetto ai progetti iniziali, sembra tramontare l’idea di una «riforma della riforma» liturgica (espressione usata dallo stesso Ratzinger quando era cardinale), e prevale invece un progetto di ampio respiro che senza proporsi di introdurre modifiche nella messa, si occupi di favorire l’ars celebrandi, e la fedeltà ai dettami e alle istruzioni del nuovo messale.
Vale la pena infatti di ricordare che gli abusi liturgici, verificatisi negli ultimi decenni e in qualche caso divenuti prassi comune, vengono compiuti non in accordo, ma in contrasto con le norme stabilite dalla riforma liturgica di Paolo VI. Non è quindi la riforma da ritoccare, ma è il senso della liturgia bene celebrata da approfondire e in qualche caso da recuperare. Per questo, la Congregazione del culto intende promuovere un lavoro di formazione dal basso, che coinvolga sacerdoti, religiosi e catechisti. Seguendo l’esempio e il magistero di Benedetto XVI favorisca il recupero del senso del sacro e del mistero nella liturgia.
Alcuni testi liturgici sono da rivedere, perché datati, come nel caso del rituale della penitenza, pubblicato nel 1974: negli anni successivi sono seguite infatti un’istruzione apostolica, un motu proprio, il nuovo Codice di diritto canonico e il nuovo Catechismo. Un aggiornamento e un’attualizzazione, in questo come in qualche altro caso, sarà necessario. L’idea alla quale lavora il cardinale Cañizare è quella di riaffermare il primato della grazia sull’azione umana, della necessità di dare spazio all’azione di Dio nella liturgia rispetto a quello lasciato alla creatività dell’uomo. Le occasioni per riflettere su questi temi saranno molteplici. L’anno prossimo, 2012, ricorrono i cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II e l’anno successivo si celebreranno i cinquant’anni del primo testo conciliare approvato, la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium.

 immagine da Daylife

Ave, salus infirmorum



Vergine gloriosa, salute degli infermi, che scacciasti il pestifero morbo, 
intercedi per Venezia, il Veneto e il mondo intero.




Splendori patavini: il ritorno della Biblioteca di San Francesco Grande



Dopo sedici anni, torna a splendere uno dei gioielli della città patavina e uno dei maggiori centri della cultura ecclesiastica dei tempi della Serenissima. La Biblioteca del Convento di San Francesco Grande, l'enorme complesso francescano quattrocentesco nato per volere di Baldo De'Bonafari e la moglie Sibilla Da Cetto per ospitare il nuovo ospedale cittadino, si lega indissolubilmente alla figura di Padre Michelangelo Carmeli (1705-1766) che riorganizzò in modo moderno la vecchia istituzione del XV secolo. Padre Carmeli, Teologo e insegnante di Lingue Orientali allo Studio Patavino pose la grande biblioteca sotto la giurisdizione dell'Università che durante il periodo delle soppressioni napoleoniche si appropriò di tutto il capitale librario della bibioteca: ventiduemila volumi a stampa e 177 preziosi volumi manoscritti (altri dispersi tra Bologna, Treviso, Chicago e Boston).



Progettata dal veneziano Andrea Camarata nel 1753 e portata a compimento nel 1761, la grande sala fu decorata con tematiche mitologiche dal veronese Giuseppe Gru e ammobiliata dai Frati Andrea da Volta Mantovana, Bernardo da Brescia e Antonio da Sambruson. Gru dipinse al centro della volta il monte Parnaso da cui si diparte il cavallo Pegaso, l'Apollo con la cetra, attorniato da geni volanti. Nelle quattro lunette agli angoli proseguì con allegorie in sembianza di putti: l'Architettura, la Pittura, la Musica, la Scultura. Negli altri medaglioni la Rettorica, la Filosofia, l'Amor di Virtù, lo Studio, la Matematica, la Teologia. E ancora la Grammatica, la Poesia, l'Intelletto, l'Ingegno, l'Istoria e l'Etica.

La biblioteca prima dei lavori di restauro
Chiusa e confiscata nel 1811 con decreto del regno italico, la biblioteca fu svuotata e utilizzata per altri scopi, e dagli anni'80 dello scorso secolo, come aula magna dell'Istituto Statale Duca d'Aosta. La ribattezzata "Sala Carmeli" subì un duro colpo il 10 giugno 1995 quando durante un temporale un fulmine colpì la copertura scatenando un incendio che danneggiò volta e ballatoio.

La volta risanata
Dopo i restauri, lo stabile, che avrà un ingresso autonomo rispetto all'istituto Duca d'Aosta di via del Santo, non riaprirà però come biblioteca (la normativa antincendio lo vieta), ma come spazio per riunioni (può ospitare fino a 200 persone) e per concerti. Probabilmente l'Orchestra di Padova e del Veneto potrà utilizzarlo per alcune prove. La Sala Carmeli potrebbe, pertanto, essere dotata di un book-shop ed entrare a pieno titolo nel circuito turistico della città.  Il restauro conservativo è costato 1 milione 700 mila euro: 1 milione è stato stanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo; 175 mila arrivano dalla Provincia e 325 mila dal Comune. Un ulteriore contributo di 250 mila euro è stato concesso dalla Regione.
 
Noi speriamo torni parte integrante del complesso francescano di San Francesco Grande, tutt'ora in restauro e futuro museo della medicina.




Info e testi da Il Mattino, Duca d'Aosta, La Difesa del Popolo
Immagini de google im.

Autunno a Castello

Splendori veneziani: un Gloria per la Ducal Cappella



Alle fastose Messe Solenni di un tempo il canto del Gloria, il grande inno di lode, proseguiva molto spesso sino a soverchiare completamente il canto dell'Epistola, se non del Vangelo, dando la possibilità ai compositori di proporre composizioni complesse ed imponenti, come la bella pagina sacra di Baldassarre Galuppi "il Buranello" che oggi vi invitiamo a scoprire.


Profumi d'Austria, all'insegna della varietà stilistica, tradizione e correnti d'oltralpe: un Gloria datato 1779, composto per la Ducal Cappella di San Marco, in cui il Buranello ricopriva il prestigioso incarico di Magister Capellae. L'inno, per coro, soli, trombe, corni, oboe, flauti, archi e basso continuo che alterna gli interventi corali a quelli solistici su un tema dominante (a differenza, ad esempio, del più famoso Gloria vivaldiano), è uno splendido esempio di quel gusto stilisticamente eclettico e formale che si stava via via imponendo nelle vecchie cantorie veneziane e venete verso la seconda metà del secolo. Contrariamente a quanto riportato nell'incisione di seguito proposta (de i Ghislieri Choir & Consort, guidati dal bravo Giulio Prandi, con le eccezionali interpretazioni della venetissima Sara Mingardo e della straordinaria Romina Basso) la Cappella Marciana, come la maggior parte delle Cappelle Musicali dell'epoca, era completamente composta da voci maschili.



Veneti episcopi: Pietro La Fontaine



Pietro Cardinal La Fontaine, Patriarca di Venezia, già Vicario dell'Arciprete della Basilica lateranense e segretario della Congregazione dei Riti.

Sanctus Martinus Turonensis

Venezia, Chiesa di San Martino di Tours, particolare


"Ancora giovane soldato, incontrò per la strada un povero intirizzito e tremante per il freddo. Prese allora il proprio mantello e, tagliatolo in due con la spada, ne diede metà a quell’uomo. La notte gli apparve in sogno Gesù, sorridente, avvolto in quello stesso mantello"
"il gesto caritatevole di san Martino si iscrive nella stessa logica che spinse Gesù a moltiplicare i pani per le folle affamate, ma soprattutto a lasciare se stesso in cibo all’umanità nell’Eucaristia, Segno supremo dell’amore di Dio, Sacramentum caritatis" 

BENEDICTUS PP. XVI
Angelus, 11 novembre 2007

La pedana-gestatoria: un po' di chiarezza



"L'ho indossato una sola volta. Avevo semplicemente molto freddo e la testa è per me un punto molto sensibile. E mi sono detto: 'Visto che c'è mettiamo questo camauro'. Ma è stato veramente solo il tentativo di difendermi dal freddo. Da allora non l'ho più indossato. Perchè non nascessero altre, superflue interpretazioni."
Benedetto XVI in Luce del mondo

di Andrea Tornielli (per Vatican Insider)
Benedetto XVI soffre di una leggera artrosi, un problema che colpisce il  cinquanta per cento delle persone che hanno superato i 60 anni. Nei lunghi tragitti avverte un fastidio all’anca destra, ed è stato lui stesso a chiedere di riesumare la pedana mobile che fu del predecessore Karol Wojtyla e che viene sospinta lungo la navata centrale della basilica di San Pietro. Ma quando i collaboratori più stretti gli hanno proposto rimettere in auge la vecchia sedia gestatoria, cioè l’antico trono mobile portato a spalle, Ratzinger ha risposto senza tentennamenti: «No, grazie».
Lo scorso sabato 15 ottobre, a sorpresa, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, comunicava, in una sala stampa quasi deserta che il giorno dopo il Papa «nel corso della processione d’ingresso dalla sagrestia» avrebbe fatto uso «della pedana mobile», già utilizzata dal predecessore. Lombardi aggiungeva che «lo scopo è esclusivamente di alleviare l’impegno del Santo Padre, analogamente a quanto già avviene con l’uso del papamobile» negli ambienti esterni e in piazza San Pietro.
Rispondendo a una domanda, Lombardi aveva aggiunto che non vi erano prescrizioni mediche, e che la pedana mobile avrebbe anche permesso ai fedeli di vedere meglio il Pontefice.
Qualche giorno dopo, il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone enfatizzava proprio questo aspetto, come riportato da L’Osservatore Romano: «Lo avete visto usare la pedana mobile, ma si tratta semplicemente di un modo per renderlo più visibile. Si tratta dunque di un aiuto per lui ma anche per i fedeli».
Non c’è dubbio però che il riapparire della pedana abbia preoccupato: tutti infatti l’associano all’immagine di Papa Wojtyla vecchio e malato, che iniziò a servirsene nel 2000, quando già aveva seri problemi di deambulazione, a motivo del Parkinson e di un intervento all’anca non riuscito. Fino a qualche giorno fa nulla era trapelato riguardo a problemi motori di Ratzinger, anche se nelle immagini trasmesse dalla Tv spagnola durante la Giornata mondiale della Gioventù dello scorso agosto una volta il Pontefice aveva fatto capolino all’ingresso della nunziatura di Madrid appoggiandosi a un bastone bianco. Bastone che in più di un’occasione usa anche all’interno dell’appartamento pontificio.
«Benedetto XVI come si può ben vedere – confida a Vatican Insider uno stretto collaboratore del Pontefice – è in grado di camminare, di salire e scendere le scale». Ma, continua, «talvolta nei tragitti lunghi avverte un fastido all'anca destra per un disturbo legato a una leggera artrosi. La decisione di usare la pedana mobile è stata soltanto sua: così si sente più sicuro e può calibrare meglio le sue forze».
Non appena Ratzinger ha chiesto la pedana, una sorta di carrello spinto a braccio dai «sediari pontifici», i collaboratori gli hanno fatto una controproposta: «Santità, c’è la sedia gestatoria, che permette al Papa di essere visto a grande distanza… Si potrebbe riutilizzare quella!». Ma l’interessato ha subito declinato l’offerta con un gentile «No, grazie», preferendo rimanere con i piedi per terra. La sedia gestatoria era stata usata l’ultima volta da Papa Luciani nel settembre 1978. Paolo VI, che aveva continuato a utilizzarla anche dopo aver abolito l’annesso corteo di guardie nobili e il contorno dei flabelli, spiegò all’amico Jean Guitton il perché di questa decisione: «Ho constatato che l’incomoda sedia, che dà l’impressione del mare e dei flutti, mi permette proprio di essere più vicino a tutti. Si è elevati di sopra a tutti, per essere meglio visti da ognuno, senza disuguaglianze o precedenze».
Ratzinger, invece, non se l’è sentita di riesumarla, quasi presentendo le polemiche. Che comunque non sono mancate, anche soltanto per il riapparire della pedana: il vaticanista del Tg1, Aldo Maria Valli, in un commento sul sito vinonuovo.it, ha definito la decisione come «un gesto che stona e che ha una valenza profondamente anti-conciliare. Ha il gusto di un ritorno al papa re che domina sulla folla e che si distacca dal resto dell’umanità», facendolo assomigliare a «una divinità pagana».
Ma Benedetto XVI non appare affatto preoccupato della sua immagine mediatica: «Mi accorgo che le forze vanno diminuendo – aveva confidato un anno fa a Peter Seewald nel libro-intervista Luce del mondoSono quel che sono. Non cerco di essere un altro. Quel che posso dare do, e quel che non posso non cerco nemmeno di dare… Faccio quello che posso».

La corsa alla Cattedra marciana: un "patto piemontese"?



Fantasia: come può un monsignore come Giordano celebrare l'Avvento da Patriarca? In meno di venti giorni la candidatara ufficiale, la pubblicazione della nomina, l'ordinazione episcopale e la presa di possesso?

da Corriere del Veneto
La complessa e travagliata vicenda della successione al cardinale Scola (ormai dallo scorso giugno arcivescovo di Milano) potrebbe essere vicina a un giro di boa. Papa Ratzinger sembra aver espresso il desiderio che il nuovo patriarca celebri l’Avvento in Laguna, di conseguenza i giochi hanno subito un’accelerazione. Il più attivo, in questa direzione, sembra essere il segretario di Stato Tarcisio Bertone, al punto che il documentato sito web Vatican Insider, in un articolo di Marco Tosatti, parla in maniera esplicita di «blitz imminente». Ma che cosa sta succedendo? Bertone, da tempo, cerca di promuovere monsignor Aldo Giordano, osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa, già Segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, (Ccee), l’organismo che collega e coordina le varie organizzazioni di vescovi.
A suo tempo il segretario di Stato ha «sponsorizzato » Giordano (piemontese come lo stesso Bertone) per la cattedra di Torino, poi andata come sappiamo a monsignor Cesare Nosiglia, vescovo emerito di Vicenza. Fallita l’operazione Torino, il nome di Giordano è ritornato, sempre su pressione del braccio destro di Benedetto XVI, per la successione al cardinale Dionigi Tettamanzi sulla cattedra ambrosiana: manovra fallita per la seconda volta, dal momento che il Papa ha preferito Scola. Ora Bertone sembra essersi impuntato e, quasi sfidando tutti, torna alla carica con il suo favorito. Una strategia che ha già creato qualche malumore, tanto più che «è strano che un prelato, che non è neanche vescovo, si trovi a giostrare sempre per diocesi cardinalizie, anche se nel frattempo si sono liberate altre diocesi, che probabilmente sarebbero più adeguate a chi come lui non ha esperienza pastorale al vertice di una curia episcopale», scrive Vatican Insider. Altro problema è la caratterizzazione di Giordano, focolarino, una scelta ecclesiale che potrebbe incrinare i delicati equilibri in patriarcato tra i diversi movimenti, dove la presenza dei neocatecumenali è sempre più diffusa.
A contrastare il «blitz» di Bertone ci sarebbe la Conferenza Episcopale italiana, che auspicherebbe una decisione più «partecipata», soprattutto trattandosi di una nomina importantissima come quella del patriarcato di Venezia, diocesi che, ricordiamo, nel XX secolo ha dato tre Papi alla cristianità. In una discussione più aperta, in cui fosse coinvolta sia la Cei che la Congregazione dei Vescovi, il nome di Giordano non avrebbe quasi nessuna possibilità di passare. Allora salirebbero, per esempio, le quotazioni di Francesco Moraglia, vescovo di La Spezia. Moraglia, appoggiato dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e dallo stesso Scola, potrebbe continuare, senza incognite, il lavoro avviato dal porporato lombardo a Venezia sul fronte Marcianum e Oasi, per esempio. Ma non è finita. Si deve tener conto del «federalismo ecclesiale » da tempo proposto dai vescovi del Triveneto riuniti nella Cet. Molti dei presuli nordestini preferirebbero un patriarca espressione del territorio e non un candidato «paracadutato» da Roma. In questo caso avanzerebbe allora la candidatura di Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine, personalità equilibrata in grado di accontentare tutti. O quasi.

immagine Corbis

Liturgie papali: ai signori cardinali, una mitria "damascena"


La mitra, scrive il p. Bonarmi, sebbene sia un distintivo proprio della dignità vescovile, si usa anche dai cardinali per privilegio loro conceduto in un colla porpora nel concilio I di Lione da Innocenzo IV, innalzato al sommo pontificato nell'1243. 

Il Garampi stima che i cardinali godano l'uso della mitra fino da s.Leone IX creato nell'1049, esprimendosi con queste parole nel concederla agli arcivescovi di Treveri: "Romana mitra caput vestrum insignimus, qua et vos et successores vestri in ecclesiasticis officiis more romano semper utamini, semperque vos esse romanae sedis discipulos reminiscamini".


I cardinali vescovi e preti usano della mitra preziosa e di lama d'oro nelle messe pontificali nei loro titoli; nelle messe poi cantate dai medesimi nelle cappelle papali in luogo dell' aurifrigiata usano quella di damasco bianco, che ora descriveremo. In altre funzioni, fuori la cappella papale, usano la mitra o preziosa, o aurifrigiata, o semplice, a seconda della qualità delle funzioni stesse. Della semplice, la quale è di damasco bianco, come accennammo, con frangia di seta rossa nelle vitte, avente un tessuto speciale nel drappo, che da'tappezzieri e ricamatori chiamasi la pigna, coprono il capo negli offici che celebrarci pei defonti, ed allorchè assistono ai pontificali del papa, in luogo della berretta. 
L'Incoronazione di Carlo Magno, 1516-1517, Raffaelo Sanzio e bottega, Stanza dell'Incendio di Borgo, Stanze Vaticane. Il Pontefice (ritratto di Papa Leone X) è circondato da cardinali e vescovi. I primi si riconoscono grazie alla particolare damascatura della mitria.
Nè fu già questo distintivo per i soli cardinali dell' ordine vescovile e presbiterale, ma fu anche comune ai cardinali dell' ordine dei diaconi. Celestino III creando cardinale circa il 1192 s. Alberto che fu vescovo di Liegi, dell' ordine diaconale, gl'impose la mitra [...]. Più chiara testimonianza di tal prerogativa se ne ha in due sigilli di cardinali diaconi dell' 1214 e 1290 colla mitra in capo [...].


E perchè i cardinali diaconi, ancorchè insigniti del carattere vescovile, come si è qualche volta verificato, non vestono mai gli abiti pontificali nelle loro diaconie, così non hanno neppure l'uso della mitra preziosa, e di quella di lama d'oro. É a questi però comune il distintivo della mitra damascena, quando assistono coi cardinali vescovi e preti alle funzioni che si fanno dal papa.


Coteste funzioni papali, nelle quali in un cogli abiti sacri del colore conveniente usano della mitra damascena gli eminentissimi padri, sono attualmente i pontificali che si fanno nel corso dell' anno dal supremo gerarca, le distribuzioni delle candele nel giorno della purificazione della [...] Vergine, delle ceneri, degli Agnus Dei nel sabato in albis, e delle Palme nella domenica di questa appellazione.
Riferisce il Rinaldi all'anno 1464, che la mitra di seta bianca a lavoro di damasco fu agli eminentissimi porporati per la prima volta conceduta in luogo della berretta da Paolo II a distinzione degli altri prelati. Quindi bene a ragione di questa mitra devono scoprirsi il capo nella messa che solennemente pontifica il sommo pontefice nell' anniversaria solennità del natale del divino Redentore, restando col capo scoperto in ginocchio per tutto il tempo che dura il canto del versetto - Et incarnatus est -, mentre il papa, come viene prescritto dal cerimoniale de' vescovi, genuflette col capo coperto di mitra: "Episcopus cum mitra apud sedem suam, et ceteri in propriis locis genuflectere debent usque ad terram hac nocte, et die sequenti in missa maiori, prout etiara in die annunciationis".


   [...] la mitra, sia che si consideri come ornamentum, sia che si consideri come operimentum del capo, deve dai cardinali, come senato del pontefice, e da quanti ne hanno l'uso, togliersi dal capo nell'inginocchiare, allorchè cantasi dai cappellani cantori - Et incarnatus est - nella messa pontificata dal papa nell'anniversaria solennità della nascita di N. S. G., e perchè non può dirsi che essi pontifichino, il che sarebbe assurdo, in un col papa, e perchè non può dirsi che la mitra in quella sacra cerimonia, tenendosi in luogo della berretta, sia un compimento degli abiti pontificali che non adoperano. In questo mio sentimento mi sono sempre più conconfermato dopo letto il cerimoniale di Paride Grassi. Questo chiarissimo scrittore nel titolo - De missa maiore, papa celebrante - ci fa sapere che cum cantatur a choro Et incarnatus est, papa cum mitra caput versus altare humiliter inclinat. Cardinales autem et alii omnes genuflectunt sine mitris, quousque cantatum sit et homo factus est. Quo cantato omnes surgunt a genibus et sedent.
   I cadaveri dei cardinali vescovi, preti, e diaconi si espongono colla mitra damascena, e con questa si seppelliscono.
Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti (pp. 177, 178, 179, 180, 181)
(tomo CLXXII) Marzo Aprile e Maggio 1861 


immagini Corbis, Daylife, wik.commons, g.immage

Padova perduta: il presbiterio della Cattedrale



Due fotografie, la Basilica di Santa Maria Assunta nella Cattedrale, a Padova, prima e dopo gli adeguamenti luturgici del 1997.

Il presbiterio prima del prolungamento di Giuliano Vangi. L'altare settecentesco consacrato dal Vescovo Carlo Rezzonico è voltato e dislocato dalla posizione originaria, frutto di un primo adeguamento a seguito della riforma liturgica, negli anni 60'. Sotto gli organi battenti è presente, all'epistola lo scanno dell'arciprete, al vangelo lo spazio originariamente occupato dalla cattedra. Sul fondo, il coro (1693) di Filippo Parodi, con le due cantorie. 

Il presbiterio con l'avancorpo del Vangi. Il nuovo altare, con l'ambone e la cattedra predominano sul vecchio spazio. L'altare del Rezzonico è stato ricollocato nella posizione originale, sono state demolite (?) le cantorie del Parodi ed eliminato lo scanno dell'arciprete e l'allocamento della cattedra antica. Le balaustre settecentesche, accorciate, segnalano lo spazio vecchio e nuovo. E' stato eliminato il cancello bronzeo con le raffigurazioni dei dottori della Chiesa. Nella fotografia è assente, dietro alla nuova cattedra il grande crocifisso in oro, argento e nichel, sempre opera di Vangi.

Papa Benedetto e Curia romana: a chi tocca il Sant'Uffizio?



di Marco Tosatti (per Vatican Insider)


Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale statunitense William Levada, parla apertamente di lasciare il suo posto subito dopo la conclusione delle feste natalizie, nel gennaio del 2012 (come scritto da Vatican Insider). Levada è nato il 15 giugno del 1936; ha compiuto 75 anni nel giugno di quest’anno, e quindi si avvia al primo anno di “prorogatio” nel ruolo che fu di Joseph Ratzinger fino all’elezione dell’aprile 2005. Potrebbe restare certamente, ma sembra che all’origine della sua decisione vi siano problemi di salute fisica, legati sia allo stato dei polmoni che alla schiena. Non si sa che cosa farà dopo aver lasciato, se resterà a Roma o deciderà di tornare negli Stati Uniti.

Se la decisione di lasciare verrà confermata, Benedetto XVI si troverà di fronte a un’altra scelta non semplice. La Congregazione per la Dottrina della Fede, “la Suprema”, come veniva chiamata una volta, è certamente il dicastero di maggior rilievo, prestigio e importanza nel panorama della Curia romana. Anche se il fatto che il Pontefice sia un teologo di professione, e l’abbia guidata per venticinque anni certamente riduce, in una certa misura, il ruolo e la figura del Prefetto. Ma resta comunque un incarico di grande delicatezza; tanto più adesso, che lo scandalo degli abusi sessuali ha fatto sì che la Congregazione debba occuparsene quasi in prima battuta in maniera molto più approfondita che in passato.

Il nome del candidato più probabile (come già anticipato da Vatican Insider) è quello di  Gerhard Ludwig Müller, della diocesi di Ratisbona. E’ ben conosciuto dal Pontefice, e secondo quanto si dice in Vaticano non sarebbe contrario a sopportare l’onore e l’onere di Prefetto della Fede, e non perde occasione per manifestare questa sua volenterosa disponibilità a Benedetto XVI. Che, come è noto, a causa della sua mitezza di carattere può essere benissimo che non riesca a dire di no. Sembra che di recente Müller abbia preso un breve periodo sabbatico per dedicarsi allo studio della lingua italiana; e non solo, forse, per amore dell’idioma di Dante. Un nome che sarebbe ben valutato è quello del cardinale ungherese Peter Erdo. Ed è un nome che è già emerso, nel recente passato, quando qualcuno l’ha proposto al Papa come candidato di posti importanti a Roma. Sembra che dall’Appartamento sia giunta una risposta del genere: “E’ un buon suggerimento, ma se lo portiamo a Roma, nell’Europa dell’est chi resta?”. Il che, se fosse vero, darebbe un’idea non consolante dello stato di leadership della Chiesa a oriente di Vienna.

E infine c’è chi pensa a un vescovo latino-americano: Héctor Rubén Aguer, vescovo di La Plata, in Argentina. E’ vescovo di La Plata dal 2000, ha 68 anni – un’età che potrebbe essere considerata adeguata – ed è un protagonista della battaglia “pro-life” in corso nel Paese. Il problema dell’età è importante. E’ certo che alcuni cardinali, come Carlo Caffarra, o Rouco Varela, sono molto stimati da Benedetto XVI; ma si avvicinano alla soglia dei 75 anni. E d’altronde un pontefice di 84 anni non può nominare Segretario di Stato, o Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede qualcuno di troppo giovane, per non correre il rischio di lasciare sulle braccia di un eventuale successore (ad multos annos, naturalmente) il problema di come e dove ricollocare qualcuno che è già praticamente al vertice della gerarchia della Chiesa, e che però è troppo giovane per andare in pensione.

Un problema analogo si presenterà a breve per il Prefetto della Casa pontificia, lo statunitense James Michel Harvey, nato a Milwaukee nel 1949, e quindi  di 66 anni. Non sembra che apprezzi la possibilità di tornare in una diocesi americana, dopo 23 anni di onorato servizio alla Casa Pontificia (Giovanni Paolo II lo ha nominato nel 1998), e probabilmente preferirebbe restare a Roma, con un incarico cardinalizio. Forse a Santa Maria Maggiore, come arciprete, un posto che un altro americano, il cardinale Bernard Francis Law, arcivescovo emerito di Boston, sta per lasciare. Ma per la “madre di tutte le chiese” ci sono altri nomi che girano; fra cui quello del card. Giovanni Lajolo, che ha appena lasciato all’ex nunzio in Italia, Giuseppe Bertello, la carica di presidente della Pontificia Commissione per la Città del Vaticano, l’ente che guida e amministra la piccola città-Stato, musei vaticani compresi.

immagine da Daylife

In commemoratione omnium Fidelium Defunctorum


 
Animábus,
quaésumus, Dómine, famulórum,
famularúmque tuárum orátio
profíciat supplicántium: ut eas et a
peccátis ómnibus éxuas, et tuae
redemptiónis facis esse partícipes


In Festo Omnium Sanctorum


Beáti mundo corde, quóniam ipsi Deum
vidébunt: beáti pacífici, quóniam
fílii Dei vocabúntur: beáti qui
persecutiónem patiúntur propter
iustítiam, quóniam ipsórum est
regnum coelórum.

Proprium de Sanctis, Communio (Matth. 5, 8-10)
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