Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Il Papa, gli ex allievi e la Liturgia: Mons. Koch racconta...




Rubiamo questo interessantissimo articolo dell'Osservatore al bel blog Maranatha:
Il relatore monsignor Koch racconta l'esperienza dell'incontro a Castel Gandolfo

Un dibattito vivace e ricco di interventi 
"Fedeltà alla tradizione, apertura al futuro: è l'interpretazione più corretta del concilio Vaticano II, che resta la magna charta della Chiesa anche nel terzo millennio". È quanto è emerso nel cosiddetto Ratzinger Schülerkreis secondo l'arcivescovo Kurt Koch, relatore principale all'incontro del Papa con i suoi ex allievi svoltosi dal 27 al 30 agosto a Castel Gandolfo. Al nostro giornale il nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani parla di "un'esperienza concreta, vivace, positiva" e riassume i contenuti delle due relazioni tenute sabato 28 agosto.

"Nella prima - dice - ho proposto una riflessione su come leggere e interpretare il concilio Vaticano II, indicando la priorità di una ermeneutica di riforma". Una "questione che ho ripreso e sviluppato nella seconda relazione, approfondendo in particolare la Costituzione Sacrosanctum concilium sulla liturgia, proprio per mostrare in concreto come si possa realizzare un'ermeneutica di riforma". Alle due relazioni, spiega, "è seguito un dibattito di oltre un'ora, molto interessante e ricco di contributi significativi". Secondo monsignor Koch "si è potuto cogliere come sia fondamentale la dimensione spirituale della vita cristiana, in ogni aspetto. E questo vale, dal mio punto di vista, anche nel dialogo ecumenico che costituisce il campo di lavoro più diretto davanti a me". Proprio "la concretezza ha reso il dibattito molto utile per il lavoro di ciascuno". A confermarlo le parole di incoraggiamento che gli ha rivolto personalmente Benedetto XVI nell'udienza privata del 30 agosto. "Abbiamo parlato - dice l'arcivescovo - di questa mia nuova sfida ecumenica perché il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani non è una realtà a se stante ma ha un mandato del Papa per vedere come il dialogo possa svilupparsi in futuro".

Entrando nel dettaglio delle sue due relazioni, monsignor Koch spiega che la prima, centrata sul "concilio Vaticano II tra tradizione e innovazione", è stata articolata in sette punti: "una storia di ricezione e non ricezione; ermeneutica di riforma in una continuità fondamentale; rottura della tradizione del concilio?; ritorno alle fonti e aggiornamento; criteri di una ermeneutica della riforma (interpretazione integrale dei testi conciliari, unità di dogmatica e pastorale, nessuna divisione fra spirito e lettera); ampiezza e pienezza cattoliche; l'eredità del concilio nelle sfide attuali; riforma ecclesiale come compito spirituale". Per la seconda relazione, sulla "riforma postconciliare della liturgia tra continuità e discontinuità", monsignor Koch ha seguito uno schema di otto tematiche. "Sono partito - spiega - dalla constatazione che la liturgia è il punto cruciale dell'ermeneutica conciliare, per poi trattare la fenomenologia e la teologia della liturgia; la liturgia nel suo sviluppo organico (con il principio della partecipazione attiva di tutti i fedeli alla liturgia e il principio di una più facile comprensibilità e semplicità dei riti); luci e ombre nella liturgia post-conciliare; la tutela del grande patrimonio della liturgia; la necessaria riforma della riforma, basata sul primato cristologico, l'unità di culto neotestamentario e la liturgia neotestamentaria, la liturgia cristiana e le religioni dell'umanità, la dimensione cosmica della liturgia. Infine, la rivitalizzazione del mistero pasquale è stata l'ultima tematica presentata prima delle conclusioni".

(©L'Osservatore Romano - 1 settembre 2010)

 immagine da theratzingerforum.yuku.com

La Messa Solenne di Padre Berg a San Simeon

Grande affluenza di gioventù a San Simeon Piccolo in Venezia per la Messa Celebrata del Reverendo John Berg, Superiore della Fraternità Sacerdotale San Pietro. Il Rito, con un fuori programma, sì e svolto nella forma Solenne, "in Terzo". 
Ecco qualche prima immagine in anteprima:
 





Nei prossimi giorni, sul Blog della Cappellania, compariranno altri scatti della bella Celebrazione.

Papa Pio VII a Padova (parte I)

Dopo l'approfondimento dedicato a Pio VI ed al suo viaggio a Venezia, oggi vi proponiamo l'antica cronaca della visita di Papa Pio VII in Padova, tratta dal bel libro di Don Felice Giacometti "Pio VII a Padova". Naturalmente suddivideremo la cronaca in tre parti, per aggevolare il lettore. 
Di seguito, la prima parte:





MEMORIE COMPENDIOSE
sull'arrivo, soggiorno e partenza
dalla città di Padova
della Santità del Sommo Pontefice

PIO VII
felicemente regnante


Padova 1800

nel Seminario

con lic.

a spese di Paolo Faccio


A consolazione del Mondo Cattolico, eletto nell'isola di San Giorgio Maggiore della Città di Venezia in Sommo Pontefice Gregorio Barnaba Chiaramonti di Cesena, Monaco Cassinense, Vescovo di Tivoli, poi d'Imola, Cardinale di San Callisto, pubblicato il 14 marzo 1800, che prese il nome di Pio VII e in venerazione della santa memoria dell'immortale suo Antecessore, e perchè da esso creato Cardinale; la Città di Padova fino da quel momento ebbe una qualche piacevole lusinga di essere onorata della sua sacra presenza, appoggiata sull'esimia pietà di tanto Pontefice, che non avrebbe forse tralasciato di portarsi a venerare le ceneri del Taumaturgo Sant'Antonio, e nel tempo stesso a riconoscere l'insigne Abbazia di Santa Giustina, che lo accolse per qualche tempo nell'età sua giovanile. 
Né furono vane tali concepite speranze; mentre tutta inondata di gioia ella si fu, quando assicurata ne venne, che prima di trasferirsi all'antica Romana Sua Sede, erasi già determinato dal Santo Padre di passare a questa Città,e così render compiuti i voti di questi divoti abitanti non solo, ma de' R.R. Monaci ancora, che tanto anelavano d'essere onorati d'un Ospite, figlio anch'egli un giorno dello stesso Santo loro Istitutore, ed ora Capo visibile di tutta la Chiesa Cattolica.
La giornata adunque dei 25 di maggio fu la destinata del Santo Padre per trasferisrsi a questa nostra Città.
Precorso poco prima il lieto annunzio col mezzo di una ben concepita, e tenera Pastorale del meritissimo Vicario Gener. Capitolare Mons. Illustrissimo, e Reverendissimo Francesco Sciopione Marchese Dondi dall'Orologio Protonotario Apostolico, e Canonico di questa insigne Cattedrale, che in volto d'ognuno traspirar videsi il sacro entusiasmo per la venuta di un tanto Pontefice; ben ricordevole ancora questa Città, quanto stato fosse prezioso per essa da diciot'anni il passaggio del suo Antecessore Pio VI, di sempre santa memoria.
Nella domenica appunto, 25, del detto mese, molto prima dell'arrivo del Santo Padre, accorere videsi ogni ordine di persone o alle Porte del Portello per cui dovea fare il suo ingresso, o a quelle strade per le quali dovea egli passare, attendendo con divota impazienza il primo momento di poter contemplare la Sacra Persona.
Poco dopo il mezzogiorno arrivò finalmente la Santità Sua alla Porta del Portello. Alcune carrozze da gala con livree dell'Abbazia di Santa Giustina l'attendevano a quella volta, onde a suo piacimento poterne far uso, offerte dai Monaci deputati del Monastero, che al primo apparire della Santità Sua smontarono per inchinarsi alla medesima.
Il Santo Padre però, ringraziati qué R.R. Monaci, volle rimanere in quelle da truppa di Cavalleria, e festeggiato dal suono giulivo di tutte le campane non che delle acclamazioni del folto popolo, nel cui volto dipinta vedeasi la gioia, e la venerazione verso l'Augusta Persona del Supremo Vicario di Cristo. Molte carrozze di questa Nobiltà conquelle dé R.R. Monaci gli furono di seguito. Dovunque passò, i portici, e le finestre erano adorne di tappezzerie.
Giunta la Santità Sua per la ben lunga strada alla Chiesa di Santa Giustina, fu ricevuto dagli Eminentissimi Cardinali Livizzani, della Somaglia, e Braschi Onesti, da molti Vescovi, e Prelati, non che dal Reverendissimo P. Procurator Generale della Congregazione Cassinense, dal Reverendissimo P. Abbate, e da tutta la Religiosa Comunità.
Appena smontato di carrozza entrò nella Chiesa, donde, fatta prima una divota e fervorosissima adorazione all'Altare del Santissimo Sacramento, passò al destinatogli appartamento, ove ammise al bacio del piede quella festosa ed esultante Comunità Religiosa. Dopo di ciò diede udienza a diversi distinti personaggi, che vi si erano portati per complimentarlo del di lui suo felice arrivo.
E' ben nota la vasta fabbrica del Monastero di Santa Giustina in due piani oltre il pian-terreno. Nel superiore fu alloggiato il Sommo Pontefice. Imponente al certo ad ognuno che la ravvisa è quella parte, dove è costruita la Libreria. Salita tutta la scala si pone in un luogo, e capace corridore, che porta ad una grande antisala pure ritrovasi, e a linea retta una lunga fila di camere, dove è solito risiedere il Reverendissimo P. Abbate.
Questo adunque fu l'appartemento alla Santita Sua destinato. Tanto pel corridore, che nelle antisale, Libreriae Camere erano dall'alto pendenti de' grandi lampadarj di cristallo, o vogliansi dir chiocche con cere, per accenderle sull'imbrunir della notte. Le pareti delle camere per Sua Santità, parte erano di scelti quadri fornite ad uso di galleria, e parte di preziose tappezzerie, spezialmente la Camera del Trono di soprarizzo d'oro addobbata.
Se di giorno era maestoso un tale appartamento vieppiù nella notte dava ad esso risalto la quantità de' lumi accesi; e dalla prima antisala da lungi osservata, riusciva ad ognuno d'ammirazione, e stupore.
Brevemente descitto l'appartamento del Santo Padre, nel dopo pranzo del giorno stesso del suo arrivo, si portò a visitarlo S.A.R. l'Arciduchessa Maria Anna Ferdinanda d'Austria Sorella dell'Augustissimo Nostro Sovrano, ed Abbadessa del Nobile Capitolo di San Giorgio in Praga, che da qualche tempo onora questa Città nel Collegio, ossia Ritiro delle Nobili Dimesse. Si trattenne la prelodata Principessa in lungo discreto colloquio con Sua Santità, ed undi introdotte alcune Dame del suo seguito, non che parecchi Cavalieri, furono tutti ammessi al bacio del piede, e della mano.
Partita l'Arciduchessa, Sua Santità volle appagare l'immensa folla di persone di ogni ordine, impartendo loro l'Apostolica sua Benedizione da una Loggia appositamente eretta nel Monastero e riguardante il Prato della Valle, vagamente apparata; dopo di ché si recò consolare colla sua presenza le Religiose del vivino Monastero della Misericordia, che furono benignamente ammesse al bacio del piede, e rimasero piene di spirituale contento per la di lui affettuosa degnazione.
Nel suo ritorno, acclamato dappertutto e venerato da un immenso numero di persone si compiacque di fare un giro intorno alla gran Piazza del Prato della Valle, ove passando impartì l'Apostolica sua Benedizione al divoto popolo in prodigioso numero concorsovi, e che tutto ingombrava quell'ampio, e spazioso recinto, formando il più bello, e commovente spettacolo.
Restituitosi finalmente il Santo Padre a Santa Giustina, all'entrare nel suo appartamento trovò nell'anticamera molti distinti Personaggi, fra i quali Sua Eccellenza il Sig. Tenente Maresciallo Baron di Monfrault, e Sua Eccellenza il Sig. Marchese Ghisilieri. In detta sera, stante la ristrettezza del tempo, che non permise di apprestare tutto l'occorrente, non potè effetturasi la divisata illuminazione della gran facciata della Chiesa di Santa Giustina; bensì fu illuminato a cera l'interno del Monastero e segnatamente il vasto appartamento di Sua Santità; come fu similmente praticato in ciascheduna sera, finchè si trattenne la medesima ad onorare il Monastero suddetto.


"E' ben nota la vasta fabbrica del Monastero di Santa Giustina in due piani oltre il pian-terreno. Nel superiore fu alloggiato il Sommo Pontefice."

Appunti storici: il Rito Patrirchino




Il Rito Aquileiese, o Patriarchino, fu rito in uso nelle chiese dell'area altoadriatica, suffraganee del Patriarcato di Aquileia. Passato poi nel Veneto, ma soprattutto in Venezia dove si celebrò, nella Basilica Marciana, sino al 1807. Possiamo dividere la millenaria storia di questo rito in tre periodi: Il primo che definiremo: "Antico Aquileiese", dalle origini fino al tempo del Patriarca S. Paolino di Aquileia (750-802) è il più interessante ma anche purtroppo il meno conosciuto. In questo periodo nasce e si sviluppa il rito aquileiese, in cui elementi occidentali si fondono con forti influssi orientali, soprattutto alessandrini e dall'Asia minore. 
Dalle testimonianze di San Cromazio si rilevano tre precisi influssi orientali nella liturgia aquileiese: il rito pre-battesimale della Lavanda dei piedi (mentre a Milano, secondo il Rito Ambrosiano, era post-battesimale) poi divenuto il rito del Giovedì Santo; la Pasqua era identificata con il medesimo ideale di Passione e di dolore riportato dall'Omelia Pasquale di San Melitone di Sardi; seguendo l'antica tradizione greca di Smirne, conosciuta tramite sant'Ireneo di Lione, Cromazio modifica il simbolismo animale dei Vangeli, identificando San Giovanni con il leone invece di San Marco Evangelista, e quest'ultimo con l'aquila. San Girolamo in seguito ristabilirà il leone per Marco. Questo particolare rito era dunque già da lungo tempo in uso nell'Arcidiocesi di Aquileia e nelle sue numerose suffraganee quando, nel 568, questa chiesa si rese autocefala elevandosi a Patriarcato. Lo scisma interno che caratterizzò il VII secolo, con le due sedi contrapposte di Aquileia e Grado, e la definitiva scissione del nuovo Patriarcato di Grado (nel 717), trasmisero semplicemente l'uso del patriarchino alle due chiese sorelle. Non solo, ma lo diffusero anche alle diocesi della Dalmazia, sottomesse a Grado. A quest'epoca risale il documento liturgico più antico e interessante che ci testimonia direttamente il rito patriarchino. a questo periodo dobbiamo tra l'altro l'adozione del Canone di matrice alessandrina che in seguito verrà esportato a Roma diventando il Canone Romano che conosciamo al giorno d'oggi, e una notevole produzione di canto sacro diverso dal gregoriano e con forti richiami orientali, che costituirà la base su cui verrà successivamente composto il canto ambrosiano. Il secondo periodo, che definiremo invece: "Nuovo aquileiese" arriva fino all'immediato periodo postconciliare tridentino: sotto il patriarcato di San Paolino, citato in precedenza, viene attuata la riforma voluta da Carlo Magno, tesa ad uniformare le liturgie latine sul modello romano. In questo periodo il venerabile Rito Patriarchino continua a sussistere, ma vengono inseriti sempre maggiori elementi romani. Viene altre sì cancellato l'antico monachesimo aquileiese, che si rifaceva ai modelli di S.Martino di Tours, soppiantato dalla regola benedettina. Tra i più importanti elementi che ancora caratterizzano questa fase del rito sono: 1 - l'utilizzo di colori liturgici diversi dal rito romano quali: il bianco per gli Evangelisti e le Vergini Martiri (rosso nella liturgia Romana), il verde per le Sante non vergini (bianco nella liturgia romana), il giallo per i Dottori e gli Abati (bianco per la Liturgia Romana). 2 - un gran numero di sequenze, ben settantadue nell'ultima versione del missale aquileiese stampata nel 1517. 3 - il perdurare del canto detto "patriarchino" di cui si è accennato sopra. L'ultimo periodo, che si può chiamare "Veneziano" dura dal 1597 al 19 ottobre del 1807: dopo il Concilio di Trento, pur avendo le carte in regola per essere completamente tutelato, il Rito Patriachino fu rapidamente abbandonato a favore di quello Romano come nella Diocesi di Trieste (1586) o nel Patriarcato di Aquileia (1596). La diocesi di Como rivendicò con insistenza il diritto di continuare ad usare il Rito Patriarchino, ma nel 1597 Clemente VIII impose di abbandonarlo. Solo nella Basilica di San Marco di Venezia, costituendo essa una Diocesi nullius retta da un proprio Primicerio, alle dipendenze del Doge, si continuò a Celebrare secondo l'antico Rito, sino al 19 ottobre 1807, quando venne incorporata nel Patriarcato di Venezia, divenendone Chiesa Cattedrale. in questo ultimo lasso di tempo, ciò che rimase degli antichi riti aquileiesi non fu che qualche sparuta tradizione patriarchina impalmata al Rito Romano. Nelle aree del Triveneto comunque, pur Celebrando secondo il Rito Romano, continuarono a sussistere alcune usanze interessanti, soprattutto da punto di vista musicale: una vastissima diffusione di melodie di tradizione orale che riprendevano gli antichi schemi del canto liturgico aquileiese. Purtroppo, la quasi totalità di questi repertori tradizionali, essendo affidati alla memoria dei cantori, non sopravvisse alle riforme di S.Pio X volte a valorizzare il gregoriano e soprattutto al terremoto culturale in seguito al Concilio Vaticano II. Nel campo delle cerimonie, gli ultimi frammenti degli antichi costumi sopravvissuti fino ad oggi è il rito della benedizione dell'acqua e della frutta la vigilia dell'Epifania e la messa detta "dello spadone" che si celebra a Cividale del Friuli.

Ricordiamo Don Francesco Cassol...


Si è conclusa con la confessione di un bracconiere la tragica vicenda di Don Francesco Cassol, sacerdote della Diocesi di Belluno-Feltre che ha perso la vita nella notte tra il il 21 e il 22 agosto, nalla brulla campagna di Altamura dove si trovava a guida di un ritiro spirituale. La sagoma del reverendo, disteso entro un sacco a pelo, ha ingannato un bracconiere di cinghiali, che ha aperto il fuoco.

Ricordiamo nella preghiera questo sacerdote e affidiamo la sua anima al Signore.

L'uso del campanello d'Altare nelle Forme del R.R.






Da sempre nei riti Cristiani si usa suonare un campanello per sottolineare i momenti di maggiore importanza durante la Messa. In molte parrocchie, con il diradarsi dei chierichetti, si sta perdendo l'uso di questo semplice strumento, che irrompe nel silenzio e richiama il fedele, partecipe al Sacrificio.

Vediamo secondo le due forme del Rito Romano, come si regola l'uso del campanello...


nella Forma Ordinaria del Rito Romano il suo uso è limitato al momento della Consacrazione, infatti leggiamo nel Messale Romano:
150. Poco prima della consacrazione, il ministro, se è opportuno, avverte i fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alla presentazione al popolo dell'ostia consacrata e del calice secondo le consuetudini locali.
Da ciò si deduce che il campanello serva per avvertire i fedeli dell'imminenza della consacrazione. In questo caso, il modo più corretto di agire è dare un segnale con il campanello una volta appena finito il "Santo" e quindi subito prima della preghiera di Consacrazione, in modo che i fedeli sentendolo abbiano modo di inginocchiarsi. Successivamente si suonerà tre volte all'elevazione dell'Ostia e tre volte all'elevazione del Calice. Anche se non esplicitamente previsto, è buona norma dare un ultimo segnale con il campanello al "Mistero della Fede" o dove sia la lodevole consuetudine di rimanere inginocchiati fino alla fine del Canone, alla fine del "Per Cristo".

Nella Forma Extraordinaria del Rito Romano invece, il campanello ha un uso molto più articolato, volto a sottolineare i momenti salienti dela Celebrazione:
  • innanzitutto vengono dati tre segnali di campanello al Sanctus, uno per ogni volta che viene recitata la suddetta parola, ed è segnale perchè i fedeli si inginocchino.
  • durante il Canone viene dato un segnale all'inizio delle formule di Consacrazione, quando il Sacerdote stende le mani sul Calice alla preghiera dell'Hanc Igitur
  • alla consacrazione si da un segnale quando il Sacerdote si inginocchia prima e dopo le elevazioni, oltre ai tre segnali durante le elevazioni stesse.
  • un altro segnale si da alla piccola elevazione delle Specie Eucaristiche, subito dopo il Per Ipsum
  • infine si danno tre segnali prima della Comunione del Celebrante, ogni volta che questi dice: Domine non sum Dignus...


Avviso Sacro: il Superiore della FSSP a San Simeon






Domenica prossima, Padre John Berg, Superiore della Fraterinità Sacerdotale San Pietro sarà a San Simeon Piccolo in Venezia per Celebrare la consueta Messa delle ore 11:00. La Celebrazione sarà accompagnata dalla Cappella Musicale "San Simeon". Il Reverendo, a Messa conclusa, sarà a disposizione per scambiare qualche parola con i fedeli.



Domenica 29 Agosto
ore 11:00
Chiesa di San Simeon Piccolo

Messa cantata

Celebra P. John Berg, Superiore della FSSP

La Festa di San Rocco in Venezia: qualche scatto

La Festa di San Rocco vista da Canaletto

Tra la rosa delle solenni feste veneziane, non possiamo dimenticare la bella Festa di San Rocco, che si compie ogni 16 agosto tra le splendide architetture della Scuola Grande di San Rocco e della Chiesa che coserva le reliquie del Santo di Montpellier. Al vertice delle iniziative, il grande Pontificale all'Altare (coram Deo) ove è esposto il corpo di San Rocco, alla quale un tempo, partecipava anche il Doge e l'intero Senato della Repubblica.


Di seguito riportiamo qualche immagine della solenne Celebrazione di quest'anno, presieduta da Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo emerito di Trieste e affiancato dall'Arciprete e dall'Arcidiacono della Basilica di San Marco, concelebranti. Sul Presiterio, il Guardian grando e la Cancelleria dell'Arciconfraternita di San Rocco. Per l'occasione è stato utilizzato un prezioso Calice donato da San Pio X nel 1909, prelevato temporaneamente dal prezioso tesoro della Scuola Grande, recentemente restaurato.











Stupenda l'animazione musicale, che ha spaziato dal gregoriano alla splendida produzione veneziana e romana (Gabrieli, Palestrina) del '500 e del '600. 

Grande assente del 2010, il tradizionale Tendon del Dose, il grande baldacchino posto sul Campo, a coprire il tragitto tra la Chiesa e l'ingresso della Scuola Grande.


"Rinunce e Nomine": una calda estate



Come è noto a tutti, durante il periodo estivo di riposo per il Santo Padre (e per l’intera Curia Romana), giornali e media sono soliti occuparsi quasi esclusivamente delle vacanze papali e degli eventi autunnali, trascurando spesso il fatto che, in realtà, l’estate è probabilmente il periodo in cui si discute più ampiamente, nei palazzi di Castelgandolfo, di nomine ed avvicendamenti. Già la settimana scorsa ce ne dava notizia il buon Rodari, scrivendo che effettivamente ogni giorno “una valigia” piena di documentazione arriva e riparte dalla cittadella laziale diretta in Vaticano. Aldilà, comunque, delle future nomine, di cui parleremo ampiamente, è ancor più interessante gettare uno sguardo indietro, all’inizio dell’estate, quando la Curia è stata decisamente riformata da alcune novità molto importanti.
Ecco il punto della situazione:
Il Prefetto canadese Com’è naturale, la questione del cambio della guida alla potente Congregazione per i Vescovi ha tenuto occupati i vaticanisti per un bel po’ di tempo. Il classico speteguless comincia nel gennaio del 2009 quando l’allora prefetto, il cardinale bresciano Giovanni Battista Re, compie i fatidici 75 anni. Immediatamente inizia a delinearsi quale candidato apparentemente sicuro il Cardinale George Pell, combattivo Arcivescovo di Sydney, notoriamente ratzingeriano e decisamente conservatore. Il pressing mediatico sulla sua candidatura si prolungò per più di un anno, fino al giugno 2010, quando però tutti i vaticanisti fecero un brusco dietrofront: il porporato avrebbe infatti rifiutato la nomina (cui mancava solo la firma pontificia) per motivi di età e salute. Dopo un iniziale smarrimento, fu Tornielli ad indicare per primo il possibile sostituto: il cardinale Marc Ouellet, Arcivescovo di Quèbec. La nomina fu effettivamente pubblicata il 30 giugno. Ma chi è il nuovo Prefetto della “fabbrica dei Vescovi”, che da adesso in avanti avrà il delicato compito di selezionare, approntare e “modificare” le terne di candidati da presentare al Pontefice? Nato 66 anni fa a Lamotte, sulpiziano, Ouellet iniziò il proprio cursus honorum nientemeno che nella Curia Romana, dove Giovanni Paolo II lo chiamò nel 2001 nel ruolo di Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Consacrato arcivescovo, una volta insediatosi nel dicastero, sin dall’inizio vide cozzare le proprie vedute, decisamente moderate e conservatrici (è infatti una vera e propria “creatura di Ratzinger”, teologicamente figlio di Von Balthasar e della rivista Communio), con quelle dell’allora Presidente del medesimo Consiglio, il Card. Walter Kasper, che nel panorama teologico internazionale notoriamente funge da “anti-Ratzinger”, in quanto a formazione e visione teologica. Perciò, dopo appena un anno, Kasper ne chiese la sostituzione al Papa. Giovanni Paolo II, però, apprezzava molto Ouellet, e riuscì ad “allontanarlo” dalla Curia con una promozione: lo nominò infatti Arcivescovo di Quèbec e Primate del Canada, e nel 2003 lo elevò alla porpora cardinalizia. Per essere un amoveatur, insomma, si trattò decisamente di un ottimo promoveatur. Negli anni seguenti i media europei ignorarono il ruolo svolto dal neo-Cardinale in Canada. Che qui, invece, scatenò un putiferio fin dall’inizio, combattendo aspramente la secolarizzazione ed il laicismo imperanti in una nazione un tempo profondamente cattolica: le sue posizioni anti-abortiste ed anti-laiciste gli valsero la totale inimicizia dei media (ci ricorda qualcuno, eh?) ma l’affetto incondizionato dei fedeli. Il nostro Arcivescovo, inoltre, ha compiuto alcuni atti davvero notevoli, specie se calati nel contesto della società canadese: ha consacrato la propria diocesi al Cuore Immacolato di Maria, accolto con favore il Summorum Pontificum ed acconsentito all’insediamento di fraternità che seguono la Forma Straordinaria in comunione con Roma.
Notevole è anche il fatto che, come riportato da alcuni vaticanisti, appena insediatosi in Curia, Ouellet abbia immediatamente chiesto un azzeramento della complicata “pratica torinese” circa la successione del Card. Poletto sulla cattedra di San Massimo, su cui a quanto pare il Card. Re e il Card. Bertone avevano già apposto i loro sigilli: il neo-Prefetto ha richiesto un nuovo dossier, da cui ha escluso i bertoniani Versaldi (Vescovo di Alessandria) e Bertello (Nunzio in Italia), sostituendoli con i nomi del Vescovo di Rimini Lambiasi e dell’Osservatore della Santa Sede a Strasburgo, Mons. Aldo Giordano, diplomatico cuneese 56enne. Vedremo come si svilupperà la vicenda: certo, anche il “colpo di mano” alla terna sabauda non può che farci ben sperare nel porporato canadese.
Da Kasper a Koch Quasi a dimostrare il celebre detto “la ruota gira”, il giorno successivo alla promozione di Ouellet il Papa ha proceduto ad un’altra importante sostituzione: quella del Card. Kasper (proprio lui, che fece allontanare il canadese dalla Curia). Al suo posto il Santo Padre ha chiamato Mons. Kurt Koch, 60enne, Vescovo della grande diocesi di Basilea in Svizzera. Anche questa new entry fa ben sperare: decisamente allineato a Benedetto XVI, Koch si è fatto notare in questi anni per aver celebrato più di una volta nella Forma Straordinaria (avvenimento eccezionale nel disastrato panorama svizzero) , e per aver sonoramente messo a tacere i varii “fanta-liturgisti” del suo paese con una fiera lettera in difesa dell’uso del latino, della musica sacra e della solennità dei riti sacri. Per lui, in prospettiva, un lungo mandato e, con tutta probabilità, la berretta rossa.
Sedi Vacanti Al momento restano ancora vacanti, in Italia e nel mondo, alcune sedi particolarmente importanti. Nel bel paese ricordiamo in particolare la Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, vacante dopo la precocissima morte del Vescovo Carlo Chenis; per lo stesso motivo è ancora priva di un pastore la diocesi pugliese di Ugento-Santa Maria di Leuca, dopo la dipartita di Mons. Vito De Grisantis. Per motivi ben diversi invece sono ancora vacanti la sede di Alghero-Bosa, per il trasferimento di Mons. Giacomo Lanzetti alla diocesi piemontese di Alba, nonché l’importante ufficio di Vicegerente della Diocesi di Roma. Ha invece raggiunto l’età pensionabile, nel Triveneto, Mons. Ovidio Poletto, Vescovo di Concordia-Pordenone. Nel resto del mondo vanno infine menzionate le sedi di Basilea e Quèbec, dopo la chiamata a Roma dei rispettivi pastori, e l’arcidiocesi di Port-au-Prince ad Haiti, popolosa sede caraibica (quasi 3 milioni di battezzati) rimasta vacante dopo la tragica morte dell’Arcivescovo Serge Miot nel catastrofico sisma dello scorso gennaio. 
Affidiamo alla preghiera i Vescovi defunti, e speriamo che il Card. Ouellet possa aiutare bene il Santo Padre nella scelta dei nuovi pastori.

I Vescovi del Triveneto e i cent'anni della "Quam Singulari"





Il decreto "Quam Singulari" di San Pio X compie cent'anni e i Vescovi del Triveneto dicono la loro: la nota La prima comunione all'età dell'uso della ragione, diffusa dalla Congregazione Episcopale Triveneta, mette in luce in undici punti la grande eredità formativa del Papa Sarto e l'attuale "iniziazione cristiana", ribadendo (l'urgente?) necessità di una completa formazione cattolica, della necessità "dell’incontro sacramentale con Lui nell’Eucaristia".

Di seguito pubblicheremo qualche interessante stralcio del documento, che potrete trovare completo qui.

Noi continuiamo ad ammettere i ragazzi alla prima Comunione anche oggi in un’età molto giovane: a 9-10 anni. Ma quello che ci sta a cuore non è solo la partecipazione dei ragazzi al sacramento dell’Eucaristia, ma il loro cammino globale di iniziazione alla vita cristiana.
«Per iniziazione cristiana si intende… un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della parola di Dio, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna a una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio, ed è assimilato, con il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa». Attraverso il cammino di iniziazione cristiana noi introduciamo i ragazzi nelle dimensioni fondamentali della vita cristiana, che sono: «l’adesione personale al Dio vero e al suo piano salvifico in Cristo; la scoperta dei misteri principali della fede e la consapevolezza delle verità fondamentali del messaggio cristiano; l’acquisizione di una mentalità cristiana e di un compor-tamento evangelico; l’educazione alla preghiera; l’iniziazione e il senso di appartenenza alla Chiesa; la partecipazione sacramentale e liturgica; la formazione alla vita apostolica e missio-naria; l’introduzione alla vita caritativa e all’impegno sociale».
Anche gli attuali Orientamenti dei Vescovi italiani che regolano l’iniziazione cristiana dei ragazzi, avvertono che l’itinerario di iniziazione non termina con la celebrazione del battesimo, cresima ed eucaristia, ma continua con il tempo della mistagogia.
I ragazzi, una volta ricevuti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, vanno aiutati a crescere in una sempre più grande fedeltà a Cristo. Attraverso la meditazione del Vangelo, la catechesi, l’esperienza dei sacramenti e l’esercizio della carità, devono essere condotti «ad approfondire i misteri celebrati e il senso della fede, a consolidare la pratica della vita cristiana, a stabilire rapporti più stretti con gli altri membri della comunità».
La prassi dell’iniziazione cristiana deve confrontarsi con i tempi che cambiano e con gli uomini e le donne che incontra. Ma il papa S. Pio X, con il decreto “Quam singulari Christus amore”, ci ricorda che, al di là dei metodi e dei percorsi, deve rimanere fondamentale l’intento del nostro impegno educativo: favorire l’incontro con l’amore di Dio, che si è manifestato in Cristo crocifisso e risorto e si è fatto Pane di vita per noi nell’Eucaristia, per renderci partecipi della vita del Signore risorto, per rinnovare tutta la nostra vita e per farci di-ventare testimoni credibili dell’amore di Dio nel mondo.

L'Assunzione di Maria Vergine - 2010





Assumpta est Maria in caelum:
Gaudent Angeli laudantes
benedicunt Dominum.

Gaudete et exultate omnes recti corde
quia hodie Maria Virgo
cum Christo regnat in aeternum!
Alleluja... Alleluja!

Splendori veneziani: un imperdibile Vivaldi




Don Antonio Vivaldi è sicuramente il compositore veneziano più illustre, soprattutto per la sua grande produzione concertistica. Oggi vi proponiamo un frammento della sua florida raccolta di musica sacra, il Sicut erat in principio dal grandioso Dixit Dominus RV 594, che si pone a cardine tra le composizioni del Prete Rosso. Il Salmo 110, musicato dal Vivaldi non fu sicuramente destinato all'ansemble delle putte della Pietà, per la nutrita presenza di voci maschili. Ma concentriamoci sull'ultimo movimento: di forte impatto, ma sempre impostato su una morbida compostezza tutta vivaldiana il cui soggetto "con ostinato" conferisce un carattere grandioso e monumentale, come scrive Michael Tolbot nel suo Vivaldi, dove precisa: [...] la sua entrata ai primi violini, mentre i cori momentaneamente tacciono, rammenta agli interludi strumentali delle grandi fughe corali di Haendel. Verso la fine Vivaldi sottopone il motivo a diminuizione e inversione con un notevole senso di climax, seppur con poche pretese contrappuntistiche.
Sicuramente una della pagine più interessanti della musica sacra italiana del diciottesimo secolo.






"attribuire gran parte del merito dell'introduzione di uno stile sinfonico nella musica sacra [da parte di Vivaldi] può sembrare temerario ma le prove che abbiamo lo giustificano" 
Michael Talbot, Vivaldi 
"Per ironia della sorte il Prete rosso fu indotto a comporre musica vocale sacra da circostanze casuali, rivelando tutta via per essa un talento eccezionale: fervore, esaltazione, misticismo sono le qualità emergenti di queste partiture [...] quasi che Vivaldi avesse cercato nella musica sacra una dignità e una serenità per le quali la sua esistenza di virtuoso e di impresario, di invalido e di giramondo gli aveva lasciato troppo poco tempo" 
Michael Talbot, Vivaldi 

Consigliamo il bel sito ricco di documenti, immagini, ma soprattutto splendida musica, interamente dedicato alla figura di (don) Antonio Vivaldi:

Arrestato l'assassino di Don Ruggero Ruvoletto?

Riportiamo dal sito della Diocesi di Padova:

A meno di due mesi dall’anniversario dell’uccisione a Manaus, in Brasile, di don Ruggero Ruvoletto, missionario fidei donum della Diocesi di Padova, avvenuta sabato 19 settembre 2009, qualche notizia positiva giunge sul fronte delle indagini.

Nei giorni scorsi, infatti, la polizia di Manaus ha arrestato il presunto omicida del missionario originario di Galta (Ve), tale Klinger Oliveira Craveira, di 32 anni. La notizia è apparsa sui quotidiani brasiliani e notificata alla diocesi di Manaus con cui è in contatto assiduo il Centro missionario diocesano di Padova.
Si tratta di un primo significativo traguardo nel delicato lavoro di indagine che la polizia locale sta portando avanti da oltre 10 mesi e che sta proseguendo per arrivare a definire con precisione la colpevolezza, il movente e la cattura di eventuali complici.
In attesa di ulteriori notizie la Diocesi di Padova si prepara a ricordare l’anniversario dell’uccisione con un momento celebrativo che si terrà all’interno dell’Assemblea missionaria diocesana, in programma sabato 18 settembre 2010 in seminario Minore di Rubano (Pd), che sarà probabilmente presieduto da mons. Francesco Biasin, vescovo di Pesqueira (Brasile), originario della diocesi di Padova.





Amore e sessualità secondo il Patriarca Angelo





Nel mese di luglio vi avevamo proposto un piccolo approfondimento sulla tradizionale Festa del Redentore. Di seguito riportiamo il discorso che tradizionalmente il Patriarca di Venezia, il Cardinal Angelo Scola, rivolge ai fedeli accorsi al Redentore. Quest'anno il Patriarca ha trattato la delicata tematica dell'amore e della sessualità, sulla scia dell'Enciclica Deus Caritas Est di Benedetto XVI:

1. L’immagine biblica del bell’amore
La liturgia della Festa del Santissimo Redentore ci riempie della più grande consolazione, quando afferma: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Dio Padre, mediante le sue “due mani” – come Ireneo di Lione chiamava il Figlio e lo Spirito Santo – si prende cura di noi e ci sostiene con la speranza che non delude (Rm 5, 5). Lieti nel Signore possiamo affrontare l’esistenza, nel suo intreccio di affetti lavoro e riposo, come figli e figlie nell’Unigenito Figlio di Dio.
L’esperienza comune ad ogni uomo traccia la via maestra per imparare questa tenera figliolanza. È la via del desiderio in senso pieno, cioè in grado di attingere la realtà, non ridotto a pura mossa interiore al soggetto. Il desiderio, in mille forme diverse, dice ad ogni uomo la necessità di essere amato definitivamente, perfino oltre la morte, e lo urge ad amare definitivamente, a sua volta. Qual è allora il criterio che verifica l’apertura totale del desiderio, consentendo questo definitivo reciproco amore?
Una suggestiva risposta ci viene dalla Bibbia: «Io sono la madre del bell’amore» (Sir 24, 18). Qui all’amore viene accostata la bellezza.
Cosa vuol dire bell’amore? Quando l’amore è bello? Tommaso parla della bellezza come dello “splendore della verità”. Per Bonaventura la persona che “vede Dio nella contemplazione”, cioè che lo ama, è resa tutta bella (pulchrificatur) .
La tradizione cristiana, con le parole del Salmo, definisce Gesù Cristo come «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3). Il bell’amore pertanto non è un’Idea astratta, ma la persona di Gesù, bellezza visibile del Dio invisibile, che per amore si è fatto come uno di noi. Il bell’amore imprime la sua forma in chi lo accoglie aprendolo a relazioni nuove e partecipate. Questo ci permette di dire che l’amore è bello quando è vero, cioè oggettivo ed effettivo. San Paolo, nel capitolo 5 della Lettera agli Efesini, lo rinviene nell’amore tra Cristo e la Chiesa intrecciato a quello tra il marito e la moglie (cfr Ef 5, 32-33).
2. Una nuova grammatica dell’amore?
Con la dottrina del bell’amore il cristianesimo ha dunque la pretesa di intercettare una delle dinamiche fondamentali della vita dell’uomo. Questo dato, tuttavia, non può ignorare le pesanti prove cui oggi sono sottoposte le relazioni, anche le più intime, come quelle tra uomo e donna, tra marito e moglie, tra genitori e figli. L’amore non è mai stato una realtà a buon mercato, tantomeno lo è oggi. Proprio nelle relazioni amorose si avvertono gli effetti della difficile stagione che stiamo vivendo. È mutata la grammatica degli affetti, anzitutto nel suo elemento determinante che è la differenza sessuale. E dalla sfera privata tale processo sempre più va dilagando nella stessa vita civile.
Tra quanto viene quotidianamente immesso dai codici culturali dominanti e il messaggio cristiano del bell’amore sembra essersi scavato un fossato invalicabile.
Nell’attuale e magmatico contesto culturale si può ancora ragionevolmente credere nella proposta cristiana del bell’amore? Tanto più che molti uomini, pure segnati da secoli di evangelizzazione cristiana – e tra di loro non pochi praticanti -, non comprendono e rigettano gli insegnamenti della Chiesa in materia di amore e sessualità.
Come tacere inoltre, di questi tempi, la bufera che ha investito la Chiesa cattolica per il tragico scandalo della pedofilia perpetrata da chierici e talora coperta per negligenza o ingenuità dal silenzio di autorità ecclesiastiche? Lo scandalo pedofilia, con l’effetto di un detonatore, sembra a molti aver ridotto in frantumi la proposta degli stili di vita sessuale e la visione dell’uomo ad essi sottesa che da secoli la Chiesa persegue. Riguardo al problema specifico della pedofilia mi ha colpito l’osservazione: «La parola spesa in questi mesi da chi opera nel settore, sia esso medico, psichiatra, ricercatore, psicologo, giurista, occupa uno spazio del tutto irrilevante rispetto al fiume di parole emerse in questi mesi da giornali, radio, televisioni, dibattiti… Perché questo silenzio?… È auspicabile che alla denuncia degli scandali, giusta e doverosa, segua anche una riflessione ed un approfondimento della questione, per poterla affrontare in maniera efficace» .
Come pastore non ho una competenza specifica per tentare una qualche risposta circa la natura e le conseguenze di simili inaccettabili abusi. Mi sembra tuttavia che le parole-chiave – “misericordia”, “giustizia in leale collaborazione con le autorità civili”, ed “espiazione” – indicate con addolorata forza da Benedetto XVI nella Lettera ai cristiani di Irlanda, consentano di affrontare ogni singolo caso, dal momento che, come bene è stato detto, anche uno solo è di troppo. Il Papa non si sottrae alla corresponsabilità che ne viene ad ogni membro dell’unico corpo ecclesiale e, in particolare, del collegio episcopale. È uno scandalo che tocca l’intera Chiesa, chiamata ad una profonda penitenza, ad andare alle radici della misericordia, cioè all’incontro personale con il Tu di Cristo. Si tratta di una riforma che non potrà non riguardare tutti i livelli della sua missione.
Anche per queste ragioni sento la necessità di affrontare di petto la domanda circa la credibilità e la convenienza della proposta cristiana in tema di sessualità e di bell’amore.
Come questa radice costitutiva del desiderio dell’uomo può essere da lui concretamente vissuta?
Una sofisticata risposta ci viene dalle neuroscienze. In particolare le neuroscienze dell’etica si sono poste il problema dell’amore nel quadro del loro tentativo di spiegare in termini puramente neuronali il decisivo interrogativo antropologico: cosa significa realmente esistere come esseri pensanti (coscienti)? . Helen Fisher, antropologa americana, considerata tra le esperte del settore, pubblica ormai da diversi anni libri e articoli scientifici, sia specialistici che divulgativi, sul tema dell’amore.
La studiosa, con il suo team di ricerca, ha attribuito un’importanza considerevole al cosiddetto stadio dell’amore romantico (romantic love) . Esso – con l’attrazione sessuale (libido o lust) e con l’attaccamento (attachment) – si ridurrebbe, a detta dell’autrice, ad una delle tre reti primordiali del cervello attraverso le quali si snoda l’intera parabola affettivo-relazionale tra uomo e donna .
Non mi pare azzardato ravvisare in simili posizioni il tentativo di considerare l’uomo come puro esperimento di se stesso, secondo la forte ma emblematica espressione del filosofo della scienza Jongen.
3. Il dato incontrovertibile: l’io-in-relazione
L’alternativa all’uomo come esperimento di se stesso nasce dall’ascolto dell’esperienza umana comune. Essa rivela che l’altro/gli altri non sono una mera aggiunta all’io, ma un dato a lui originario. La personalità di ciascuno è immersa in una trama di relazioni: il dato relazionale è incoercibile.
Fin dal grembo di sua madre ogni uomo, come figlio o come figlia, è situato in una relazione costitutiva. La sua stessa nascita, per quanto potrà essere manipolata in laboratorio, custodisce il mistero dell’alterità: nessun uomo potrà mai auto-generarsi.
La prospettiva antropologica dell’io-in-relazione, accolta in tutta la sua ampiezza, ci porta a considerare in modo adeguato la differenza sessuale . Essa si rivela anzi come il luogo originario che ci introduce al rapporto con la realtà. È la prima ed insostituibile scuola per imparare l’alterità .
Per l’autore del Libro dei Proverbi «La via dell’uomo in una giovane donna» è considerata tra le «cose troppo ardue a comprendersi» (cfr Prov 30, 18-19). A questo proposito un grande biblista commenta: «L’uomo/donna è la via attraverso cui ognuno di noi è inoltrato nel mistero della vita; è ciò che fa passare l’uomo attraverso la figura di colei che sta al suo inizio e che lo fa uscire da sé quando nasce. Questo fa dell’incontro tra i due al tempo stesso un ricominciamento e qualcosa di nuovo» . In altri termini, quando l’uomo e la donna si incontrano fanno l’esperienza da una parte di ricominciare qualcosa che in forza della loro nascita già conoscono, dall’altra di dar vita ad una novità. Questa è possibile quindi perché l’incontro amoroso pone inevitabilmente all’uomo la domanda circa la propria origine. Potremmo esprimerla così: chi sono io che incontrando te incontro me stesso? In quanto situato nella differenza sessuale l’altro da me mi “sposta” (dif-ferenza) in continuazione, impedendomi di rimanere rinchiuso in me stesso. Essere situati nella differenza sessuale si rivela pertanto come un grande dono che, bene inteso, diventa diffusivo di amore e di bellezza. Qui sta l’inestirpabile radice della fecondità. L’amore non è mai un rapporto a due. Infatti la differenza uomo-donna, con questo suo valore originario, trova il suo fondamento nella differenza delle Tre Persone nell’unico Dio. Il bisogno/desiderio dell’altro che a partire dalla differenza sessuale ogni persona, come uomo e come donna, sperimenta non è pertanto il marchio di un handicap, di una mancanza, ma piuttosto l’eco di quella grande avventura di pienezza che vive in Dio Uno e Trino, perché siamo stati creati a Sua immagine.
Cristo Gesù, forma piena del bell’amore trinitario nella storia, spalanca ad ogni uomo e ad ogni donna la possibilità di partecipare a questa esperienza.
4. Assicurare gli affetti
Con la sua morte e resurrezione Gesù Cristo ci ha liberati dalla paura della morte (cfr Eb 2,14-16). Ciò è decisivo per vivere in pienezza gli affetti che si inscrivono primariamente all’interno dell’uomo-donna (differenza sessuale). La paura della morte, infatti, appare spesso la segreta padrona delle relazioni tra l’uomo e la donna, tra i genitori e i figli. Essa è all’origine della smania del “tutto e subito” nei rapporti amorosi che, con la stessa rapidità, si bruciano e si moltiplicano. Ritroviamo questa dinamica nel rapporto tra le generazioni: la decisione di generare o di non generare figli, sovente è determinata dalla paura del carattere contingente dell’esistenza.
L’antidoto contro il veleno di morte che penetra ogni umana relazione è tuttavia già presente nella storia. Sta nella manifestazione della verità dell’amore offertaci dalla morte-resurrezione pro nobis di Cristo. La vittoria dell’Amore sulla morte fa brillare il senso pieno della differenza sessuale: il suo essere destinata al bell’amore che va oltre la morte.
5. La castità: una pratica conveniente
La proposta cristiana circa la sessualità e il bell’amore indica un percorso di vita che conduce a quella soddisfazione e a quella gioia cui il desiderio rettamente inteso spalanca l’uomo. Come educarci concretamente a vivere gli affetti secondo questa integralità ed autenticità? Emerge in proposito una grande parola oggi purtroppo caduta in disuso: castità. Se correttamente intesa, essa si rivela inscritta nella struttura stessa del desiderio come la virtù che regola la vita sessuale rendendola capace di bell’amore.
Casto è l’uomo che sa tenere in ordine il proprio io. Lo libera da un erotismo apertamente rivendicato e vissuto, fin dall’adolescenza, in forme sempre più contrattuali e senza pudore. Certo, l’amore è uno in tutte le sue forme, compreso l’amore ridotto a venere, per usare un’espressione cara a Clive Staples Lewis, il quale definisce così il mero esercizio della sessualità e lo distingue dalla capacità di amare, che implica eros ed agape (Deus caritas est). Ma anche quando si riduce ad un comportamento quasi animalesco, l’amore esprime, in modo del tutto distorto, una domanda di verità.
Nessuno uomo può essere casto se non stabilendo liberamente una gerarchia di valori: «La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale» (CCC 2337). Se noi disaggreghiamo venere, eros ed agape ci condanniamo alla rottura tra la dimensione emotiva e quella del pensiero, di cui la morte del pudore è il sintomo più grave.
A queste condizioni l’esperienza del bell’amore diviene impossibile e il rapporto amoroso è ridotto a una meccanica abilità sessuale, veicolata da una sottocultura delle relazioni umane che si fonda su un grave equivoco: sull’idea, del tutto priva di fondamento, che nell’uomo esista un istinto sessuale. Invece è vero il contrario, come dimostra certa psicanalisi : anche nel nostro inconscio più profondo tutto l’io è in gioco. La castità mette in campo un’esperienza comune a tutti. In ogni ambito della sua esistenza l’uomo sa bene di non poter trovare soddisfazione senza sacrificio. Il sacrificio è una strana necessità, ma è la strada che assicura il godimento. Nella sfera sessuale e nei rapporti amorosi questo è particolarmente evidente. Perché abbiamo definito “strano” il sacrificio? Perché tutti noi avvertiamo una resistenza sana di fronte ad esso. Se siamo fatti per la soddisfazione, perché il sacrificio? Non è forse contrario alla natura della soddisfazione? Il valore ultimo del sacrificio non può quindi risiedere in se stesso, né nel fatto che mi sia imposto dall’esterno, da una qualsiasi autorità. Devo giungere a scoprirne la convenienza, cioè la sua intrinseca ragionevolezza per la piena riuscita della mia umanità. Esso è condizione e non fine.
La croce e la resurrezione di Cristo hanno la forza di mostrare che l’inevitabile sacrificio presente in ogni umana azione ha come scopo positivo il raggiungimento del proprio destino. Il sacrificio spaventa quando non se ne sa il perché. La virtù della castità è una grande scuola al valore misteriosamente positivo del sacrificio. Essa chiede la rinuncia in vista di un possesso più grande. Posso rinunciare se sono certo che questa rinuncia mi fa possedere in pienezza il bene che voglio, come soddisfazione del mio desiderio. Il sacrificio non annulla il possesso, è la condizione che lo potenzia. Il puro piacere non è autentico godimento, tant’è vero che finisce subito. E se resta chiuso in se stesso lentamente annulla il possesso, lo intristisce, lo deprime. A ben vedere l’uomo cerca quel piacere che dura sempre, cioè il gaudium (godimento). Lo aveva ben capito Sant’Ignazio di Loyola. Mi colpisce sempre il fatto che, quando dico queste cose ai giovani, incontro più sorpresa ed interesse che obiezione. Intuiscono che un cammino di castità fin da adolescenti, attraverso la strada di un progressivo dominio di sé che rinuncia a comportamenti immaturi e presuntuosi, apre a una prospettiva di realizzazione nella quale si chiarisce il disegno amoroso di Dio su ciascuno di loro. Sessualità ed amore su queste basi si realizzano compiutamente come possesso nel distacco . In questa luce emergono in tutta la loro pienezza la vocazione alla verginità e al celibato così come quella al matrimonio indissolubile, fedele e fecondo tra l’uomo e la donna.
a) Verginità
La verginità come forma di vita riguarda solo alcuni chiamati alla imitazione letterale della umanità di Cristo, il quale ha vissuto in obbedienza povertà e nella perfetta continenza, e per questo rinunciano alla modalità comune dell’esercizio della sessualità, alla famiglia e alla generazione nella carne. Nella prospettiva del Regno di Dio la verginità anticipa il compimento finale che riguarda tutti gli uomini. Una simile forma di vita non prescinde affatto dal proprio essere situati nella differenza sessuale.
b) Celibato ecclesiastico
Per meglio comprendere questa affermazione conviene guardare in faccia a un’altra delle questioni oggi discusse, quella del celibato. La dedizione a Cristo che il ministero ordinato implica, sul modello del servo sofferente e del buon pastore pronto a spendersi per l’unica pecora perduta, consente ai sacerdoti di vivere il bell’amore.
Chi è chiamato alla verginità e al celibato non è uno che si sottopone a mutilazioni psicologiche e spirituali, ma un uomo che, praticando la castità perfetta, deve pazientemente arrivare all’unità spirituale e corporale del proprio io. La sessualità intesa come differenza non è riducibile alla dimensione genitale, a cui in nome del celibato si rinuncia. Tuttavia nella Chiesa di oggi è necessario uno sforzo educativo in grado di illuminare la scelta del celibato fin nelle sue motivazioni antropologiche. Occorre approfondire un dato lasciato un po’ in ombra. Mi riferisco alla natura nuziale della scelta verginale e celibataria. L’amore, fin dentro la Trinità, possiede sempre una dimensione nuziale, fatta di differenza, di dono di sé e di fecondità. Il celibato quindi non può essere adeguatamente compreso in termini meramente funzionali. Nel celibato il sacerdote non rinuncia al matrimonio e alla famiglia principalmente o solo per aver più tempo da dedicare al proprio lavoro ecclesiastico.
Dal significato profondamente cristologico, escatologico, ecclesiologico ed antropologico del celibato si capisce la ragione della sua profonda convenienza e pertanto della disciplina della Chiesa latina in proposito. Il celibato sacerdotale affonda le sue radici nella stessa chiamata apostolica che chiede letteralmente di “lasciare tutto”. A conferma di questo suo valore originario sta anche tutta la tradizione orientale che per l’episcopato, pienezza del sacramento dell’ordine, ha sempre esigito la scelta del celibato.
c) Indissolubilità del matrimonio
La virtù della castità getta piena luce anche sul carattere indissolubile della relazione coniugale tra l’uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. In effetti l’amore per sua natura chiede il “per sempre”, nonostante l’umana fragilità. È nell’indissolubilità del matrimonio che la relazione tra l’uomo e la donna raggiunge la sua vera dignità. L’idea di una revocabilità del dono ferirebbe mortalmente il mistero nuziale e renderebbe inautentica la relazione stessa. Al contrario, l’indissolubilità garantisce la profonda aspirazione dell’uomo e della donna ad un sì irrevocabile. Il “sì” che si esprime nella scelta della verginità e nel celibato si pone così obiettivamente in relazione al “sì” che i coniugi si promettono per sempre nel matrimonio. La fedeltà non è una proprietà accessoria dell’amore. Semplicemente là dove non c’è fedeltà non c’è mai stato propriamente parlando amore. Pertanto i coniugi sono chiamati a vivere nel loro amore fedele, indissolubile e fecondo quanto viene espresso anche nella scelta della verginità e del celibato. Così come i vergini e i celibi incontrano nel matrimonio indissolubile una testimonianza convincente della dimensione nuziale della loro chiamata.
6. Bell’amore e amore casto
Tornando, in conclusione, al tema del bell’amore, siamo ora in grado di identificarlo con l’amore casto, quell’amore che entra in rapporto con le cose e le persone non per la loro immediata apparenza, in sé transitoria, né per il tornaconto che ne può ottenere: infatti «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7). Il distacco chiesto nell’amore casto in realtà è un entrare più in profondità nel rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi. Neppure l’umana fragilità sessuale rappresenta ultimamente un’obiezione fondata alla castità. Infatti la caduta non viene ad annullare la natura profonda dell’umano desiderio che continua a domandare riconoscimento della differenza sessuale e ad urgere il possesso vero, quello che mai si dà senza distacco. La figura morale compiuta dell’umano non è l’impeccabilità ma la “ripresa”. Essa registra, sempre più col passare degli anni, il dolore per ogni singolo peccato mentre per la grazia del perdono di Dio approfondisce l’amore. Agostino descrive con potenza questa umana condizione: «David ha confessato:riconosco la mia colpa” (Sal 50, 5). Se io riconosco, tu dunque perdona. Non presumiamo affatto di essere perfetti e che la nostra vita sia senza peccato. Sia data alla nostra condotta quella lode che non dimentichi la necessità del perdono» .

testo e immagine tratti da angeloscola.it

Liturgie Papali: la Domenica delle Palme del 1967

Merita davvero la visione questo interessante documento che abbiamo prontamente "rubato" al blog Caerimoniale Romanum:



Una Liturgia imponente su cui già si intravedono i primi cambiamenti che porteranno alla completa riforma del Cerimoniale Papale.

Tra i Cardinali si riconosce il vecchio Prefetto delle Cerimonie, Mons. Enrico Dante (1884-1967) elevato alla porpora nel '65. A direzione della Celebrazione, Mons. Capoferri.

Papa e chierichetti: la giornata europea dei ministranti





All'udienza generale di oggi, il Papa ha accolto più di 50 mila ragazzi provenienti da 17 paesi europei: 50 mila chierichetti giunti nella Città Santa per la loro Giornata Europea. Durante l'incontro è stata presentata una statua di S. Tarcisio, patrono dei chierichetti. 
Ecco le parole del Santo Padre (dal sito Vatican.va): 
Cari fratelli e sorelle,
desidero manifestare la mia gioia di essere qui oggi in mezzo a voi, in questa Piazza, dove vi siete radunati festosi per quest’Udienza Generale, che vede la presenza così significativa del grande Pellegrinaggio europeo dei Ministranti! Cari ragazzi, ragazze e giovani, siate i benvenuti! Poiché la grande maggioranza dei ministranti presenti in Piazza sono di lingua tedesca, mi rivolgerò anzitutto a loro nella mia lingua materna.
Cari e care ministranti e amici, cari pellegrini di lingua tedesca, benvenuti qui a Roma! Vi saluto tutti cordialmente. Con voi saluto il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone si chiama Tarcisio come il vostro Patrono. Avete avuto la cortesia di invitarlo e lui, che porta il nome di san Tarcisio, è contento di poter essere qui tra i Ministranti del mondo e tra i Ministranti tedeschi. Saluto i cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, e i Diaconi, che hanno voluto prendere parte a quest’Udienza. Ringrazio di cuore il Vescovo ausiliare di Basilea, Mons. Martin Gächter, Presidente del “Coetus Internationalis Ministrantium”, per le parole di saluto che mi ha rivolto, per il grande dono della statua di san Tarcisio e per il foulard che mi ha consegnato. Tutto ciò mi ricorda il tempo in cui anch’io ero un ministrante. Lo ringrazio, a nome vostro, anche per il grande lavoro che compie in mezzo a voi, insieme ai collaboratori e a quanti hanno reso possibile questo gioioso incontro. Il mio ringraziamento va anche ai promotori svizzeri e a quanti hanno lavorato in vari modi per la realizzazione della statua di san Tarcisio.
Siete numerosi! Già ho sorvolato Piazza San Pietro con l’elicottero e ho visto tutti i colori e la gioia, che è presente in questa Piazza! Così voi non solo create un ambiente di festa nella Piazza, ma rendete ancora più gioioso il mio cuore! Grazie! La statua di san Tarcisio è giunta fino a noi dopo un lungo pellegrinaggio. Nel settembre 2008 è stata presentata in Svizzera, alla presenza di 8000 ministranti: certamente alcuni di voi erano presenti. Dalla Svizzera è passata per il Lussemburgo fino all’Ungheria. Noi oggi l’accogliamo festosi, lieti di poter conoscere meglio questa figura dei primi secoli della Chiesa. Poi la statua – come già ha detto Mons. Gächter – verrà collocata presso le catacombe di san Callisto, dove san Tarcisio venne sepolto. L’augurio che rivolgo a tutti è che quel luogo, cioè le catacombe di san Callisto e questa statua, possa diventare un punto di riferimento per i ministranti e per coloro che desiderano seguire Gesù più da vicino attraverso la vita sacerdotale, religiosa e missionaria. Tutti possano guardare a questo giovane coraggioso e forte e rinnovare l’impegno di amicizia con il Signore stesso per imparare a vivere sempre con Lui, seguendo il cammino che ci indica con la Sua Parola e la testimonianza di tanti santi e martiri, dei quali, per mezzo del Battesimo, siamo diventati fratelli e sorelle.
Chi era san Tarcisio? Non abbiamo molte notizie Siamo nei primi secoli della storia della Chiesa, più precisamente nel terzo secolo; si narra che fosse un giovane che frequentava le Catacombe di san Callisto qui a Roma ed era molto fedele ai suoi impegni cristiani. Amava molto l’Eucaristia e, da vari elementi, concludiamo che, presumibilmente, fosse un accolito, cioè un ministrante. Erano anni in cui l’imperatore Valeriano perseguitava duramente i cristiani, che erano costretti a riunirsi di nascosto nelle case private o, a volte, anche nelle Catacombe, per ascoltare la Parola di Dio, pregare e celebrare la Santa Messa. Anche la consuetudine di portare l’Eucaristia ai carcerati e agli ammalati diventava sempre più pericolosa. Un giorno, quando il sacerdote domandò, come faceva di solito, chi fosse disposto a portare l’Eucaristia agli altri fratelli e sorelle che l’attendevano, si alzò il giovane Tarcisio e disse: “Manda me”. Quel ragazzo sembrava troppo giovane per un servizio così impegnativo! “La mia giovinezza – disse Tarcisio – sarà il miglior riparo per l’Eucaristia”. Il sacerdote, convinto, gli affidò quel Pane prezioso dicendogli: “Tarcisio, ricordati che un tesoro celeste è affidato alle tue deboli cure. Evita le vie frequentate e non dimenticare che le cose sante non devono essere gettate ai cani né le gemme ai porci. Custodirai con fedeltà e sicurezza i Sacri Misteri?”. “Morirò – rispose deciso Tarcisio – piuttosto di cederli”. Lungo il cammino incontrò per la strada alcuni amici, che nell’avvicinarlo gli chiesero di unirsi a loro. Alla sua risposta negativa essi – che erano pagani – si fecero sospettosi e insistenti e si accorsero che egli stringeva qualcosa nel petto e che pareva difendere. Tentarono di strapparglielo ma invano; la lotta si fece sempre più furiosa, soprattutto quando vennero a sapere che Tarcisio era cristiano; lo presero a calci, gli tirarono pietre, ma egli non cedette. Morente, venne portato al sacerdote da un ufficiale pretoriano di nome Quadrato, diventato anch’egli, di nascosto, cristiano. Vi giunse privo di vita, ma stretto al petto teneva ancora un piccolo lino con l’Eucarestia. Venne sepolto da subito nelle Catacombe di san Callisto. Il Papa Damaso fece un’iscrizione per la tomba di san Tarcisio, secondo la quale il giovane morì nel 257. Il Martirologio Romano ne fissa la data al 15 agosto e nello stesso Martirologio si riporta anche una bella tradizione orale, secondo la quale sul corpo di san Tarcisio non venne trovato il Santissimo Sacramento, né nelle mani, né tra le vesti. Si spiegò che la particola consacrata, difesa con la vita dal piccolo martire, era diventata carne della sua carne, formando così con lo stesso suo corpo, un’unica ostia immacolata offerta a Dio.
Care e cari ministranti, la testimonianza di san Tarcisio e questa bella tradizione ci insegnano il profondo amore e la grande venerazione che dobbiamo avere verso l’Eucaristia: è un bene prezioso, un tesoro il cui valore non si può misurare, è il Pane della vita, è Gesù stesso che si fa cibo, sostegno e forza per il nostro cammino di ogni giorno e strada aperta verso la vita eterna; è il dono più grande che Gesù ci ha lasciato.
Mi rivolgo a voi qui presenti e, per mezzo vostro, a tutti i ministranti del mondo! Servite con generosità Gesù presente nell’Eucaristia. E’ un compito importante, che vi permette di essere particolarmente vicini al Signore e di crescere in un’amicizia vera e profonda con Lui. Custodite gelosamente questa amicizia nel vostro cuore come san Tarcisio, pronti ad impegnarvi, a lottare e a dare la vita perché Gesù giunga a tutti gli uomini. Anche voi comunicate ai vostri coetanei il dono di questa amicizia, con gioia, con entusiasmo, senza paura, affinché possano sentire che voi conoscete questo Mistero, che è vero e che lo amate! Ogni volta che vi accostate all’altare, avete la fortuna di assistere al grande gesto di amore di Dio, che continua a volersi donare a ciascuno di noi, ad esserci vicino, ad aiutarci, a darci forza per vivere bene. Con la consacrazione – voi lo sapete – quel piccolo pezzo di pane diventa Corpo di Cristo, quel vino diventa Sangue di Cristo. Siete fortunati a poter vivere da vicino questo indicibile mistero! Svolgete con amore, con devozione e con fedeltà il vostro compito di ministranti; non entrate in chiesa per la Celebrazione con superficialità, ma preparatevi interiormente alla Santa Messa! Aiutando i vostri sacerdoti nel servizio all’altare contribuite a rendere Gesù più vicino, in modo che le persone possano sentire e rendersi conto maggiormente: Lui è qui; voi collaborate affinché Egli possa essere più presente nel mondo, nella vita di ogni giorno, nella Chiesa e in ogni luogo. Cari amici! Voi prestate a Gesù le vostre mani, i vostri pensieri, il vostro tempo. Egli non mancherà di ricompensarvi, donandovi la gioia vera e facendovi sentire dove è la felicità più piena. San Tarcisio ci ha mostrato che l’amore ci può portare perfino al dono della vita per un bene autentico, per il vero bene, per il Signore.
A noi probabilmente non è richiesto il martirio, ma Gesù ci domanda la fedeltà nelle piccole cose, il raccoglimento interiore, la partecipazione interiore, la nostra fede e lo sforzo di mantenere presente questo tesoro nella vita di ogni giorno. Ci chiede la fedeltà nei compiti quotidiani, la testimonianza del Suo amore, frequentando la Chiesa per convinzione interiore e per la gioia della Sua presenza. Così possiamo far conoscere anche ai nostri amici che Gesù vive. In questo impegno, ci aiuti l’intercessione di san Giovanni Maria Vianney, del quale oggi ricorre la memoria liturgica, di questo umile Parroco della Francia, che ha cambiato una piccola comunità e così ha donato al mondo una nuova luce. L’esempio dei santi Tarcisio e Giovanni Maria Vianney ci spinga ogni giorno ad amare Gesù e a compiere la Sua volontà, come ha fatto la Vergine Maria, fedele al Suo Figlio fino alla fine. Grazie ancora a tutti! Che Dio vi benedica in questi giorni e buon ritorno ai vostri Paesi.
Per quanto riguarda San Tarcisio, ecco qualche informazione:





Martirologio Romano:

A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia,commemorazione di san Tarcisio, martire: per difendere la santissima Eucaristiadi Cristo che una folla inferocita di pagani tentava di profanare, preferìessere lapidato a morte piuttosto che lasciare le sacre specie aicani.
Nel giorno della solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, la Chiesa ricorda Tarcisio (o Tarsicio). Subì il martirio da adolescente mentre portava l'Eucaristia ai cristiani in carcere. Scoperto, strinse al petto il Corpo di Gesù, per non farlo cadere in mani profane, ma venne ucciso. Il Martirologio romano ne fissa la morte il 15 agosto del 257 d.C. Il corpo venne sepolto insieme a papa Stefano sulla via Appia. Nel 767 papa Paolo I fece traslare le spoglie nella basilica di san Silvestro in Capite insieme ad altri martiri. San Tarcisio acquistò di nuovo fama nell'Ottocento, in seguito alla pubblicazione del romanzo «Fabiola» del cardinale Wiseman, interessato alla figura del coraggioso e giovane santo. In molte chiese di Roma è possibile trovare quadri, statue, pale d'altare che lo raffigurano. (Avvenire)
E’ il protomartire dell’Eucaristia, accolito della Chiesa di Roma, fu martirizzato in giovane età mentre portava le Sacre Specie ai cristiani in carcere per la comunione, scoperto, strinse al petto l’Eucaristia, per non farla cadere in mani profane, ma non riuscendo a strappargliela, fu ucciso dai carnefici esasperati e feroci come cani rabbiosi.
Queste notizie si rilevano dall’unica fonte storica esistente, cioè l’epigrafe posta da papa Damaso sul suo sepolcro, riprese successivamente da altri studiosi e inserite nel ‘Martirologio Romano’ fissando la sua morte al 15 agosto del 257 d.C.
Il suo corpo fu dapprima sepolto insieme a papa Stefano nel Cimiterio Callisti sulla via Appia; secondo altri autori esso fu trasferito nella cosiddetta Cella Tricora in un sarcofago insieme a papa Zefirino.
Nel 767 papa Paolo I lo portò nella basilica di s. Silvestro in Capite insieme ad altri corpi di martiri;Anche qui ebbe alcune traslazioni in cui l’ultima è del 1596 ove le reliquie furono poste sotto l’altare maggiore.
Il culto a s. Tarsicio riprese maggior vigore nell’800 in seguito alla pubblicazione del romanzo Fabiola di Wiseman (Londra, 1855) che rese attraente la figura del coraggioso adolescente.
A Roma nel 1939 gli venne dedicata una chiesa al IV miglio, opera dell’architetto Rossi.
Una sua statua, scolpita da A. Falguière, è conservata al Louvre di Parigi.
In molte chiese di Roma vi sono quadri, statue, pale d’altare che lo raffigurano, infine una bella statua si trova nella chiesa di s. Lorenzo in Faenza.

fonte: (santiebeati.it)

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