Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Un elefanticidio nella Chiesa di Sant'Antonin


Fatti e misfatti dal sapore carnevalesco nella Venezia di inizio '800...

Premessa Autorale
La narrazione che segue questa "Premessa" è un esercizio di stile scrittorio compiuto nel ruolo di un finto cronista veneziano del giorno dopo, con presunte doti di preveggenza che gli consentono di anticipare accadimenti successivi. Risulti dilettevole la lettura.

A Venezia è stato cannoneggiato e ucciso dalla gendarmeria austriaca un elefante indiano cinquantenne (che 200 anni dopo risulterà quindicenne, invece!), ammaestrato con imput lessicali in lingua francese, alto 7 piedi e mezzo, pesante 4622 libbre grosse venete (2.203,4 kg), nella Chiesa Sant’Antonin alle ore otto e quattro minuti antimeridiani del 16 marzo 1819, giorno quaresimale. Durante i giorni del carnevale, conclusosi il 23 febbraio, è stato esibito in apposito casotto, con altri animali esotici in altri casotti, sbarcato sulla Riva degli Schiavoni nel Sestiere Castello dallo svedese Claudio Garnier (originario di Gauter Corout), tra il Ponte del Sepolcro e il Ponte della Ca' di Dio. È stato ucciso per impedirgli di causare danni alle cose e alle persone, maggiori dei danni già causati rifiutandosi a ogni tentativo d’imbarco, uccidendo il suo giovane domatore Camillo Rosa di Rovigo e travolgendo di tutto durante la fuga fino alla chiesa, inseguito e bersagliato dalle fucilate dei gendarmi.
Venti uomini armati di funi e di leve hanno trasportato la sua carcassa al Lido, coperta di stuoie su una chiatta, alle ore 5 pomeridiane con l’ordine di seppellirla. Un contrordine del Commissariato Speriore l’ha fatta, poi, traslocare due ore dopo sull’Isola della Giudecca nella chiesa dismessa di San Biagio (usata come ospedale per le malattie contagiose nel 1814-1816 e destinata alla demolizione per favorire nel 1882 la edificazione del Molino Stucky), dove sarà mantenuta pulita con lavacri continui di acqua salata, per essere sezionata e studiata dal Prof. Stefano Andrea Renier, aiutato dal Dott. Paolo Zannini marito di Adriana Renier. Con l’intento di salvaguardare e ricomporre le ossa del suo scheletro che sarà esposto nella Pubblica Galleria di Storia Naturale (non ancora Museo Zoologico) della Università di Padova.
Il Renier e la sua equipe daranno inizio ai lavori di concia della pelle e sezionamento del cadavere il 24 marzo, eseguendo molti schizzi e disegni delle diverse parti anatomiche e delle ossa, per poterlo rimontare poi correttamente. La conclusione di tali lavori è prevista per l’autunno, destinata ad essere considerata dai posteri impresa epica e memorabile. 



Claudio Garnier ha riferito di avere acquistato l’elefante per 20.000 franchi (30.088 lire venete) dagli eredi del duca tedesco Federico di Wurstemberg, divenuto Re nel 1806 e morto sessantaduenne il 30 ottobre 1816: monarca di un Regno Breve… perciò. L’avrebbe condotto ed esibito a Milano, fosse riuscito a imbarcarlo. Meditando su una richiesta d’acquisto dell’Accademia di Berlino, alla quale aveva comunicato di essere disposto a venderlo per 1.200 luigi d’oro (equivalenti a 55.231,3 lire venete).
Il pachiderma si è ribellato all’imbarco, perché reso inquieto da evidenti pulsioni sessuali primaverili irreprimibili e dopo ripetuti tentativi d’imbarco falliti, causa non ultima l’instabilità della passerella collegata al barcone predisposto all’uopo. Ed ha ucciso il suo giovane domatore, dopo averlo aggredito con la proboscide un’ora dopo la mezzanotte, terrorizzando gli astanti sulla riva e causando il ribaltammento in acqua di altri in piedi sopra un battello.
La gendarmeria austriaca presente, comandata dal Commissario Tolomei, ha reagito sparandogli addosso tante pallottole da spingerlo a correre terrorizzato di qua e di là sulla riva tra i due ponti, dove ha travolto alcuni casotti predisposti per altri animali e il chiosco di un fruttivendolo, sfondando anche una caffetteria, prima d’inoltrarsi nella Calle del Dose dove ha avuto inizio il percorso che lo ha condotto nella chiesa luogo della sua esecuzione sommaria.
In Campo della Bragora è stato bersagliato dai gendarmi austriaci con particolare accanimento, costringendolo a infilarsi nella Salizada del Pignater e poi nella Calle morta del Forno Vecchio, dove si è ritrovato nella corte di un’abitazione privata, con pozzo di marmo e scala di legno che ha danneggiato stramazzando al suolo, tanto da farsi supporre colpito a morte. Invece si è rialzato e ha ripreso la corsa, dopo aver terrorizzato una vedova con quattro figli già nei letti in una camera con l’affaccio nella corte, data l’ora oramai notturna: prima di percorrere la Salizada Sant’Antonin fino al ponte che non è riuscito a superare, incalzato da fucilieri inefficienti.
Un ultimo tentativo di salire sul Ponte Sant'Antonin lo ha concluso rinculando fino a colpire e sfondare il portone d’ingresso della chiesa dove si è introdotto e mosso nel buio, col risultato finale d’infrangere quattro lastre tombali e immobilizzarsi nel loro vuoto sottostante, dopo aver rotto la colonna piedistallo dell’acquasantiera e fracassato alcune panche.
Per la sua esecuzione sommaria nella chiesa mediante l’uso del cannone sono state necessarie le autorizzazioni delle Autorità Civili e Militari, unitamente all’assenso dell’anziano Patriarca Francesco Maria Milesi (76 anni) destato quattro ore dopo la mezzanotte.
Il cannone è stato fornito alle ore 7 antimeridiane dal presidio militare insediato all’Arsenale con l’artificiere e i serventi che lo hanno collocato con la bocca di fuoco inserita in un buco praticato ad hoc nel muro laterale della chiesa, prima di sparare due colpi alle ore 8. Una soltanto delle due cannonate, però, ha colpito l’animale perforandogli il deretano con una palla tanto da farlo stramazzare al suolo e morire dissanguato.
Il Prof. Stefano Andrea Renier, ordinario di storia naturale, si è attivato immeditamente il 17 marzo perché la carcassa del pachiderma sia acquistata dal governo veneziano per essere studiata e conservata (convenientementene trattata per la bisogna) nella Galleria di Storia Naturale della Università di Padova.


testo da I Antichi
immagini da g.immage

Il Papa in Veneto: ciborio e mosaici per la Messa a San Giuliano


Un enorme catino absidale, che richiama quelli delle basiliche di Aquileia e di S. Marco. Sarà l'elemento che più di tutti caratterizzerà il palco papale che verrà allestito nel parco di S. Giuliano, a Mestre, quando papa Benedetto celebrerà la messa, domenica 8 maggio alle ore 10.00, davanti a 150 mila persone. Il progetto viene da Padova ed è firmato dall'architetto Stefano Bianchi, che ha messo molte volte a servizio della liturgia le sue competenze professionali.
Bisogna immaginarsi una basilica a cielo aperto, affacciata sulla laguna più famosa del mondo; a far da sfondo il profilo di campanili, cupole, tetti di antiche case costruite sull'acqua – è la magia di Venezia – dai nostri progenitori. Perché una basilica? Intanto perché l'arch. Bianchi ha immaginato proprio una porta d'entrata allo spazio liturgico collocato sull'erba. Questo portale, alto una quindicina di metri, dalle forme semplici, “rinascimentali”, senza fronzoli, segnerà uno stacco dalla quotidianità e un ingresso nell'area riservata alla celebrazione. Sarà collocato all'incirca a fianco della collinetta presente nel parco.
A voler richiamare le forme della basilica, sia pure con l'accostamento di linee moderne ed essenziali, c'è anche l'area del palco che accoglierà il Papa, i vescovi e gli altri sacerdoti celebranti. Imponenti le dimensioni: nel progetto originale l'abside è alta 25 metri, come un palazzo di otto piani. Un'altezza che potrebbe essere un po' limata, per venire incontro a esigenze di budget e allo slogan “bello ma sobrio” che gli organizzatori si sono dati. «Ma senza snaturare il progetto – spiega il progettista – che ha nell'elevazione un elemento molto importante».
Una cupola sopra l’ambone. Al centro del catino absidale sarà posta la sede papale, con ai lati le sedi dei vescovi; gli spazi per i presbiteri saranno su un livello sfalsato, per dare dinamicità alla composizione; i percorsi ministeriali metteranno in relazione le parti. L'altare centrale sarà coperto da un ciborio (una sorta di baldacchino, presente anche nella Basilica di S. Marco). Sopra l'ambone si troverà invece una cupola (un altro elemento architettonico marciano).
Sopra il palco è prevista una copertura rettangolare di 60 metri per 30 (circa un terzo di un campo da calcio), retta da semplici pilastri. Sul lato destro, guardando la sede dei celebranti, si trova un altro palco, più piccolo, per ospitare il coro. Tutte queste strutture si troveranno nell'ampia area circolare – detta “tamburello” - più prossima al bordo lagunare del parco, circondata per tre quarti da un canneto.
I fedeli nel “tamburello”. I fedeli troveranno posto davanti al palco, nella restante area del “tamburello”, nella parte pianeggiante che precede e sulla collinetta che si trova sul lato sinistro, secondo quanto già sperimentato nel corso delle edizioni dell'Heineken Jammin' Festival che qui si sono tenute. Il colpo d'occhio più bello, anzi, si avrà proprio dalle pendici di questa elevazione: parola di architetto.
Il passaggio dal progetto preliminare al progetto esecutivo, cantierabile, ora spetta all'impresa che avrà l'incarico di realizzare l'opera, mentre l'arch. Bianchi e il suo studio manterranno la “direzione artistica”, controllando che la parte ingegneristica rispetti i criteri ispiratori del progetto. E realizzeranno direttamente – attualmente è in fase di progetto – l'apparato liturgico e scenografico: l'altare, l'ambone, le sedi, il ciborio, le immagini iconografiche di abside e cupola, le torri per gli impianti audio e video.
Bellezza e sobrietà. Quanto costerà? E' presto per dirlo. L'appalto non è stato ancora assegnato. E c'è chi, nella commissione apposita che segue la partita economica, sta facendo di tutto per tagliare sulle spese, riducendole all'osso. Bellezza sì, si diceva, ma anche sobrietà.
Le parti strutturali, con ogni probabilità, saranno realizzate in elementi tubolari metallici, rivestiti da cartongesso, o legno o tessuti: materiali tipici delle scenografie, di cui si dovrà curare in particolare, vista l'installazione all'aperto, la resistenza all'acqua. Sui colori si vedrà, ma l'arch. Bianchi pensa a colori tenui, se non un semplicissimo avorio. Anche le immagini dell'abside e della semicupola non sono ancora state scelte. Non saranno con ogni probabililtà una semplice riproposizione di mosaici esistenti nelle basiliche di Aquileia e di Venezia, ma il richiamo potrebbe essere quello.
Si può prevedere che per realizzare i vari elementi e per allestire il palco ci voglia circa un mese di tempo. Solo all'ultimo i vari elementi saranno montati sul luogo. Per smontare il tutto sono da prevedere ancora da una settimana a dieci giorni di lavoro. E' da notare che, spiega l'arch. Stefano Bianchi, «la maggior parte del materiale è riciclabile e riutilizzabile: per parti, o per porzioni, può essere rimontata in modo diverso». Non si butta via niente, insomma. Secondo i canoni del bello e del sobrio, sì; e anche dell'opportuno riuso. (Paolo Fusco)

La nota ed universalmente riconosciuta bellezza delle architetture e dei mosaici della Basilica di San Marco in Venezia non poteva che essere il punto di partenza per “ambientare” il luogo della Celebrazione eucaristica che il Santo Padre Benedetto XVI presiederà domenica 8 maggio 2011, in occasione della sua visita pastorale alle Chiese del Triveneto.
Lo spazio liturgico è stato pensato – in senso generale – come un’abside, espressione visibile del “canone” ecclesiale ed eucaristico, immediatamente riconoscibile da tutti e in sintonia con la tradizione architettonica del Patriarcato veneziano.
L’Eucaristia, presenza sacramentale di Cristo immolato e glorificato, è presente nella vita della Chiesa per virtù dello Spirito Santo: è per questo che l’intero progetto nasce e ruota attorno all’altare – centro visibile della celebrazione – elevato (altus), sormontato ed iconizzato dalla Croce liturgica (in relazione con il sacrificio di Cristo), adombrato da un ciborio – memoria architettonica dell’epiclesi dello Spirito Santo sulle oblate – circondato dai ministri ordinati (il Santo Padre, i Vescovi e, nella zona più bassa ai lati dell’altare, i presbiteri, collaboratori dei Vescovi nel sacerdozio ministeriale).
La Parola di Dio, celebrata nella liturgia, necessita della progettazione di un monumentum (traduzione latina del greco mnemeion, il sepolcro di Cristo) da cui far sgorgare l’annunzio del Vangelo del Risorto: l’ambone sarà pertanto luogo elevato (da anabaino), distinto dall’altare e dallo spazio strettamente eucaristico, e raggiungibile da un percorso ministeriale, cupolato – memoria architettonica del cupolamento del sepolcro dell’Anastasis gerosolimitana – iconizzato dall’immagine della consegna del Vangelo a Marco (riproduzione del mosaico della Basilica di San Marco in Venezia), inserito in una zona fiorita (memoria del giardino pasquale), rischiarato dalla luce del cero pasquale, posto sul candelabro.
La Sede papale è collocata sul fondo dell’“abside” al centro; a destra e a sinistra stanno seduti i Vescovi: con ciò si intende esprimere l’unità del Collegio episcopale in comunione con il Vicario di Cristo e Successore dell’apostolo Pietro. A tal riguardo, sopra il Santo Padre e i Vescovi stanno le riproduzioni delle antiche immagini del Cristo Pantocrator (in corrispondenza della Sede del Santo Padre) e la teoria dei Protovescovi delle Diocesi nate da Aquileia (in corrispondenza dei sedili dei Vescovi). In questo modo si intende esprimere visibilmente – per via di corrispondenza verticale ed orizzontale – la collegialità episcopale e il primato del Vescovo di Roma, la successione apostolica, l’autorità e la custodia del depositum fidei affidato agli Apostoli e ai loro successori, l’apostolicità della celebrazione dell’Eucaristia. (Don Gianandrea Di Donna; liturgista della diocesi di Padova)



testi tratti da http://www.gvonline.it/


immagini da Panoramio, G.immage

Liturgia e "lingua sacra"


La lingua non è soltanto uno strumento che serve per comunicare fatti, e deve farlo nel modo più semplice ed efficiente, ma è anche il mezzo per esprimere la nostra mens in un modo che coinvolga tutta la persona. Di conseguenza, la lingua è anche il mezzo in cui si esprimono i pensieri e le esperienze religiosi.
La lingua adoperata nel culto divino, ovvero la “lingua sacra” non si spinge fino alla glossolalia (cf 1Cor 14) o al mistico silenzio, escludendo completamente la comunicazione umana, o almeno tentando di farlo. Tuttavia, si riduce l’elemento della comprensibilità a favore di altri elementi, in particolare quello espressivo. Christine Mohrmann, la grande storica del latino dei cristiani, afferma che la lingua sacra è un modo specifico di “organizzare” l’esperienza religiosa. Infatti, la Mohrmann sostiene che ogni forma di credere nella realtà soprannaturale, nell’esistenza di un essere trascendente, conduce necessariamente all’adozione di una forma di lingua sacra nel culto, mentre un laicismo radicale porta a respingere ogni forma di essa. In tal senso, il Cardinale Albert Malcolm Ranjith ha ricordato in un’intervista: «L’uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell’Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell’Islam si impiega l’arabo del Corano. L’uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell’al-di-là» (La Repubblica, 31 luglio 2008, p. 42).
L’uso di una lingua sacra nella celebrazione liturgica fa parte di ciò che san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae chiama la solemnitas. Il Dottore Angelico insegna: «Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono» (Summa Theologiae III, 64, 2; cf. 83, 4).
La lingua sacra, essendo il mezzo di espressione non solo degli individui, ma di una comunità che segue le sue tradizioni, è conservatrice: mantiene le forme linguistiche arcaiche con tenacia. Inoltre, vengono introdotti in essa elementi esterni, in quanto associazioni ad un’antica tradizione religiosa. Un caso paradigmatico è il vocabolario biblico ebraico nel latino usato dai cristiani (amen, alleluia, osanna ecc.), come ha osservato già sant’Agostino (cf. De doctrina christiana II, 34-35 [11,16]).
Lungo la storia, si è adoperata un’ampia varietà di lingue nel culto cristiano: il greco nella tradizione bizantina; le diverse lingue delle tradizioni orientali, come il siriaco, l’armeno, il georgiano, il copto e l’etiopico; il paleoslavo; il latino del rito romano e degli altri riti occidentali. In tutte queste lingue si trovano forme di stile che le separano dalla lingua “ordinaria” ovvero popolare. Spesso questo distacco è conseguenza degli sviluppi linguistici nel linguaggio comune, che poi non sono stati adottati nella lingua liturgica a causa del suo carattere sacro. Tuttavia, nel caso del latino come lingua della liturgia romana, un certo distacco è esistito sin dall’inizio: i romani non parlavano nello stile del Canone o delle orazioni della Messa. Appena il greco è stato sostituito dal latino nella liturgia romana, è stato creato come mezzo di culto un linguaggio fortemente stilizzato, che un cristiano medio della Roma della tarda antichità avrebbe capito non senza difficoltà. Inoltre, lo sviluppo della latinitas cristiana può avere reso la liturgia più accessibile alla gente di Roma o Milano, ma non necessariamente a coloro la cui lingua madre era il gotico, il celtico, l’iberico o il punico. Comunque, grazie al prestigio della Chiesa di Roma e la forza unificatrice del papato, il latino divenne l’unica lingua liturgica e così uno dei fondamenti della cultura in Occidente.
La distanza fra il latino liturgico e la lingua del popolo divenne maggiore con lo sviluppo delle culture e delle lingue nazionali in Europa, per non menzionare i territori di missione. Questa situazione non favoriva la partecipazione dei fedeli nella liturgia e perciò il Concilio Vaticano II volle estendere l’uso del vernacolo, già introdotto in una certa misura nei decenni precedenti, nella celebrazione dei sacramenti (Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, art. 36, n. 2). Allo stesso tempo, il Concilio ha sottolineato che «l’uso della lingua latina […] sia conservato nei riti latini» (ibid., art. 36, n. 1; cf. anche art. 54). Comunque, i Padri conciliari non immaginavano che la lingua sacra della Chiesa occidentale sarebbe stata totalmente sostituita dal vernacolo. La frammentazione linguistica del culto cattolico si è spinta così oltre, che molti fedeli oggi possono a stento recitare un Pater noster insieme agli altri, come si può notare nelle riunioni internazionali a Roma e altrove. In un’epoca contrassegnata da grande mobilità e globalizzazione, una lingua liturgica comune potrebbe servire come vincolo di unità fra popoli e culture, a parte il fatto che la liturgia latina è un tesoro spirituale unico che ha alimentato la vita della Chiesa per molti secoli. Senz’altro il latino contribuisce al carattere sacro e stabile «che attrae molti all’antico uso», come scrive il Santo Padre Benedetto XVI nella sua Lettera ai Vescovi, in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007). Con l’uso più ampio della lingua latina, scelta del tutto legittima, ma poco usata, «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità» (ibid.).
Infine, è necessario preservare il carattere sacro della lingua liturgica nella traduzione vernacolare, come fa notare con esemplare chiarezza l’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sulla traduzione dei libri liturgici Liturgiam authenticam del 2001. Un frutto notevole di questa istruzione è la nuova traduzione inglese del Missale Romanum che verrà introdotta in molti paesi anglofoni nel corso di quest’anno.
  Titolo originale La lingua della celebrazione liturgica di Uwe Michael Lang, C.O da zenit.org

Immagine: Padova, Cappella di San Gregorio Barbarigo in Cattedrale, particolare

Gotico a Cannaregio


Venezia, Chiesa di San Cristofoto martire "della Madonna dell'Orto", particolare.



Splendori berici: Leone Leoni e la musica nella Cattedrale vicentina


Quando un tempo, nelle Cattedrali venete si componeva e si eseguiva musica sacra d'alto livello, nella Vicenza della fine del '500, rinnovata dalle palladiane architture, lavorava come Maestro de capella della Cattedrale un certo Leone Leoni, compositore che in vita godette di un certo successo. Le sue composizioni sacre et profane finirono addirittura a Salisburgo e nei vari paesi d'oltralpe, anche grazie al titolone di Accademico Olimpico. Sulla scia del Gabrieli, della polifonia concertante, del vocale e strumentale e dello stile rappresentativo  il Leoni, dotato di una notevole versatilità stilistica, ricoprì il ruolo di Maestro di cappella della Cattedrale vicentina dal 1588 sino alla morte, avvenuta nel 1627. Ben quattro Vescovi si sono succeduti alla Cattedra berica mentre  il Maestro componeva, dirigeva e si impegnava a dare alle stampe le sue opere proprio in quella Venezia ricca di concorrenza. Oggi vi proponiamo alcuni ascolti (mariani e non), tutti tratti dalla bella incisione de La Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci.

Il mottetto a due cori O Sacrum realizzato strumentalmente grazie all'intavolatura a due organi prevista nell'edizione del 1608 precede il Magnificat a quattro voci e basso continuo alternato al gregoriano, tratto dalla raccolta I Sacri fiori del 1606.


Il Tota pulchra a 10 parti per voci, strumenti e basso continuo  in lode alla Santissima Incoronata di Vicenza è pagina di squisita polifonia concertante, appartenente alla raccolta dei Concerti a dieci parti del 1615 è costruita su un organico assai ricco costituito da due cori di due voci e strumenti. Segue poi il Ne reminiscaris caratterizzato dal brillante dialogo in eco tra coppie di strumenti.




info. da Leone Leoni, Missa Ab Austro veniet; mottetti da Raffaele Mellace
immagini da Panoramio

Cristo, come il pellicano

[…] Per capire come debba essere vissuta un’esistenza eucaristica ci viene incontro il simbolo del pellicano, un uccello che vive in Europa orientale, in Asia sud-occidentale e in Africa, e al quale si attribuisce un importante significato allegorico. S. Tommaso utilizzò l’allegoria del pellicano per descrivere l’efficacia del sacrificio di Cristo: “Pie pellicane, Jesu Domine” (o Pio pellicano, Nostro Signore); Dante la cita in riferimento all’episodio dell’ultima cena in cui l’apostolo Giovanni reclinò il capo sul petto di Gesù: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Paradiso, XXV, 112-114). Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il petto per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca ha indotto alla credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire i pulcini col proprio sangue, fino a diventare “emblema di carità”. Pertanto, il pellicano è assurto a simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla  Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.
Il pellicano, dunque, nutre i suoi figli con il proprio corpo. Questa allegoria, allora, sta ad indicare che la vera esistenza eucaristica, nell’esercizio dell’amore di Dio e del prossimo, consiste nel dare se stessi, la propria esperienza, il proprio corpo. Si può certamente dare qualcosa di noi, delle nostre sostanze, dei nostri beni, del nostro superfluo, e questa generosità è una grande manifestazione di amore. Si può, però, dare tutto se stessi, secondo la logica evangelica dell’obolo della vedova (cf. Mc 12,44), e questa forma di generosità è la manifestazione suprema dell’amore […]

Dal Blog di Matias Augé (Mons. Ignazio Sanna, Celebriamo la vita. Lettera pastorale della Chiesa di Dio che è in Oristano)
immagine da Flickr

Cari Veneti... arriva il Papa!



Con la conferenza stampa di quest'oggi, il Triveneto si prepara ufficialmente ad accogliere il Pontefice: è stato aperto un sito dedicato al grande evento, ed è stato presentato il programma, che vedrà il Pontefice impegnato in Aquileia e a Venezia.

SABATO 7 MAGGIO 2011 
 
ore 16.00             Arrivo all’aeroporto di Ronchi dei Legionari

                              Trasferimento in auto ad Aquileia (Udine)

ore 17.00             Arrivo in Piazza Capitolo, davanti alla Basilica
                              Dopo un breve saluto il Santo Padre entra nella
                              Basilica per l’Assemblea in preparazione
                              del Secondo Convegno Ecclesiale di Aquileia

ore 18.00            Il Santo Padre lascia la Basilica per raggiungere
                             in elicottero Venezia

ore 19.00            Il Santo Padre giunge in Piazza San Marco ed entra
                             in Basilica di San Marco

 
DOMENICA 8 MAGGIO 2011
 
ore 10.00             A Mestre, presso il Parco di San Giuliano,
                               il Santo Padre presiede la celebrazione eucaristica
                              per tutte le Chiese del Nordest
               
ore 12.00             Regina Coeli
                              Terminata la celebrazione, il Santo Padre fa ritorno
                              al Patriarchio di Venezia.
                           
ore 16.45             In  Basilica di San Marco il Papa presiede
                               l’Assemblea ecclesiale per la chiusura della
                               Visita Pastorale nella diocesi di Venezia
ore 17.45             Il Santo Padre raggiunge la Basilica della Salute
                               per l’incontro con il mondo della cultura,
                               dell’arte e dell’economia
ore 18,30            Terminato l’incontro in Basilica, il Santo Padre
                              raggiunge la Cappella della Ss. Trinità
                              per la sua benedizione al termine dei lavori
                              di restauro e inaugura la rinnovata Biblioteca
                              dello Studium Generale Marcianum
ore 19.00             Il Santo Padre lascia il polo della Salute
                               per raggiungere l’aeroporto “Marco Polo” di Tessera


immagine Corbis

Veneti episcopi: Giuseppe Carraro


 Mons. Giuseppe Carraro, Vescovo di Verona.

Servo di Dio dal dicembre 2005

Il Papa e la Liturgia: un nuovo motu proprio


Sarà pubblicato  nelle prossime settimane un documento di Benedetto XVI che riorganizza le competenze della Congregazione del culto divino affidandole il compito di promuovere una liturgia più fedele alle intenzioni originarie del Concilio Vaticano II, con meno spazi per i cambiamenti arbitrati e per il recupero di una dimensione di maggiore sacralità.
Il documento, che avrà la forma di un motu proprio, è frutto di una lunga gestazione – lo hanno rivisto dal Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi e gli uffici della Segreteria di Stato – ed è motivato principalmente dal trasferimento della competenza sulle cause matrimoniali alla Rota Romana. Si tratta delle cause cosiddette del «rato ma non consumato», cioè riguardanti il matrimonio avvenuto in chiesa ma non compiutosi per la mancata unione carnale dei due sposi. Sono circa cinquecento casi all’anno, e interessano soprattutto alcuni Paesi asiatici dove ancora esistono i matrimoni combinati con ragazzine in età molto giovane, ma anche i Paesi occidentali per quei casi di impotenza psicologica a compiere l’atto coniugale.
Perdendo questa sezione, che passerà alla Rota, la Congregazione del culto divino di fatto non si occuperà più dei sacramenti e manterrà soltanto la competenza in materia liturgica. Secondo alcune autorevoli indiscrezioni un passaggio del motu proprio di Benedetto XVI potrebbe citare esplicitamente quel «nuovo movimento liturgico» del quale ha parlato in tempi recenti il cardinale Antonio Cañizares Llovera, intervenendo durante il concistoro dello scorso novembre.
Al Giornale, in un’intervista pubblicata alla vigilia dell’ultimo Natale, Cañizares aveva detto: «La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione… Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora». Il cardinale, che non si era sbilanciato nel parlare di «riforma della riforma», aveva aggiunto: «Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa», per porre fine a «deformazioni arbitrarie» e al processo di «secolarizzazione che purtroppo colpisce pure all’interno della Chiesa».
È noto come Ratzinger abbia voluto introdurre nelle liturgie papali gesti significativi ed esemplari: la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio. Si sa quanto tenga alla bellezza nell’arte sacra e quando consideri importante promuovere l’adorazione eucaristica. La Congregazione del culto divino – che qualcuno vorrebbe anche ribattezzare della sacra liturgia o della divina liturgia – si dovrà quindi occupare di questo nuovo movimento liturgico, anche con l’inaugurazione di una nuova sezione del dicastero dedicata all’arte e alla musica sacra.

titolo originale Un motu proprio per il culto divino, dal blog di Andrea Tornielli.

immagine da theratzingerforum
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Il Papa in Veneto: la musica per la Messa a Parco San Giuliano



Anticipiamo il programma musicale della Celebrazione Liturgica che presiederà Sua Santità Benedetto XVI al Parco San Giuliano in Mestre nella Terza domenica di Pasqua, l'8 maggio 2011. Un evento d'eccezione, che vedrà impegnate tutte le Diocesi del Triveneto. Dal punto di vista musicale, la più indaffarata sarà la Diocesi Patavina, a cui spetta l'intera organizazione musicale per il Rito. Tre corali composte complessivamente da più di mille persone si alterneranno con l'assemblea: un grande coro, una schola gragoriana ed una schola polifonica accompagnate da organo e ottoni. 

Introito Papale
Tu es Petrus (gregoriano) – schola gregoriana
Tu es Petrus (Lorenzo Perosi) – grande coro

Introito con l’Assemblea
Cristo risusciti (melodia XII secolo) – grande coro e assemblea

Aspersione
Vidi Aquam (gregoriano) – schola gregoriana, assemblea e grande coro

Gloria
Lux et origo (gregoriano e polifonia di don Italo Bianchi) – schola gregoriana, assemblea e grande coro

Salmo responsoriale
Mostraci, Signore, il sentiero della vita [Ps. R. 15 (16)] (don Italo Bianchi) – salmista e assemblea

Canto al Vangelo
Alleluja gregoriano VI e coda polifonica (don Italo Bianchi)

Professione di fede
Credo III (gregoriano) – schola gregoriana e assemblea e grande coro

Preghiera dei fedeli
R. Ascoltaci Signore (dal gregoriano MR it) – cantore e assemblea

Offertorio
Mottetto Jubilate Deo (Giovanni Gabrieli) – schola polifonica 
Sanctus
Lux et origo (gregoriano e polifonia di don Italo Bianchi) – schola gregoriana e assemblea e grande coro

Acclamazione alla consacrazione
Mortem tuuam (gregoriano) – assemblea e grande coro

Dossologia
Melodia messale (gregoriano) – Amen: assemblea e grande coro con coda polifonica

Preghiera del Signore
Melodia MR it (gregoriano) – assemblea e grande coro

Embolismo (Kunc) – assemblea e grande coro

Agnus Dei
Lux et origo (gregoriano e polifonia di don Italo Bianchi) – schola gregoriana e assemblea e grande coro

Canti di Comunione
Sei tu Signore il pane (G. Kirbye) – assemblea e grande coro
Resta per sempre (W.H. Monk) – assemblea e grande coro
Mottetto (G. Gabrieli) – schola polifonica
Signore, da chi andremo? – assemblea e grande coro

Regina Coeli (gregoriano) – assemblea e grande coro

Congedo Ite missa est
Lux et origo (gregoriano) – diacono, assemblea e grande coro

Dopo il congedo
Lodate Dio (Straslund, 1665) – assemblea e grande coro

La splendida Lux et origo e grandi compositori tra cui un venetissimo Giovanni Gabrieli in una Celebrazione del tutto unica per la terra della Serenissima.

immagine da g.immage

Case bellunesi


 Belluno, affresco devozionale con Vergine, San Sebastiano e San Rocco.

immagine da Panoramio

Eucarestia e preghiera, le parole del Papa



Dall'Omelia pronunciata nel corso della Liturgia dell’Ordinazione Episcopale di quest'oggi:
[...] Con ciò siamo già giunti al successivo elemento fondamentale dell’esistenza ecclesiale, menzionato da san Luca: lo spezzare il pane. Lo sguardo dell’Evangelista, a questo punto, torna indietro ai discepoli di Emmaus, che riconobbero il Signore dal gesto dello spezzare il pane. E da lì, lo sguardo torna ancora più indietro all’ora dell’Ultima Cena, in cui Gesù, nello spezzare il pane, distribuì se stesso, si fece pane per noi ed anticipò la sua morte e la sua risurrezione. Spezzare il pane – la santa Eucaristia è il centro della Chiesa e deve essere il centro del nostro essere cristiani e della nostra vita sacerdotale. Il Signore si dona a noi. Il Risorto entra nel mio intimo e vuole trasformarmi per farmi entrare in una profonda comunione con Lui. Così mi apre anche a tutti gli altri: noi, i molti, siamo un solo pane e un solo corpo, dice san Paolo (cfr 1Cor 10,17). Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione, un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa. Spezzare il pane – con ciò è espresso insieme anche il condividere, il trasmettere il nostro amore agli altri. La dimensione sociale, il condividere non è un’appendice morale che s’aggiunge all’Eucaristia, ma è parte di essa. Ciò risulta chiaramente proprio dal versetto che negli Atti degli Apostoli segue a quello citato poc’anzi: "Tutti i credenti … avevano ogni cosa in comune", dice Luca (2,44). Stiamo attenti che la fede si esprima sempre nell’amore e nella giustizia degli uni verso gli altri e che la nostra prassi sociale sia ispirata dalla fede; che la fede sia vissuta nell’amore.
Come ultimo pilastro dell’esistenza ecclesiale, Luca menziona "le preghiere". Egli parla al plurale: preghiere. Che cosa vuol dire con questo? Probabilmente pensa alla partecipazione della prima Comunità di Gerusalemme alle preghiere nel tempio, agli ordinamenti comuni della preghiera. Così si mette in luce una cosa importante. La preghiera, da una parte, deve essere molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui, la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui. Tuttavia, non è mai soltanto una cosa privata del mio "io" individuale, che non riguarda gli altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel "noi" dei figli di Dio. Solo in questo "noi" siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato a pregare. Solo questo "noi" ci apre l’accesso al Padre. Da una parte, la nostra preghiera deve diventare sempre più personale, toccare e penetrare sempre più profondamente il nucleo del nostro "io". Dall’altra, deve sempre nutrirsi della comunione degli oranti, dell’unità del Corpo di Cristo, per plasmarmi veramente a partire dall’amore di Dio. Così il pregare, in ultima analisi, non è un’attività tra le altre, un certo angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori! È l’ascendere della mia esistenza verso l’altezza di Dio. In san Gregorio Magno si trova una bella parola al riguardo. Egli ricorda che Gesù chiama Giovanni Battista una "lampada che arde e risplende" (Gv 5,35) e continua: "ardente per il desiderio celeste, risplendente per la parola. Quindi, affinché sia conservata la veridicità dell’annuncio, deve essere conservata l’altezza della vita" (Hom. in Ez. 1,11,7 CCL 142, 134). L’altezza, la misura alta della vita, che proprio oggi è così essenziale per la testimonianza in favore di Gesù Cristo, la possiamo trovare solo se nella preghiera ci lasciamo continuamente tirare da Lui verso la sua altezza. [...]

immagini (alt.) da Daylife
 

Messe nere in Vaticano?


Satanismo in Santa Sede? E' quanto si afferma sul quotidiano Libero, che dopo il caso Boffo, osa affrontare argomenti ben più scottanti: presunte pratiche sataniste nel cuore della cattolicità, non in uno scantinato del Palazzo Apostolico, ma nella papale Cappella Paolina, con la regia di alti esponenti del Clero. Leggende? Storielle di palazzo? Ad accreditare questi inquetanti fatti, una presunta riconsacrazione della Cappella, officiata da Benedetto XVI nel 2009 dopo lunghi anni di restauro, fatto inusuale, almeno per uno spazio sacro costruito per volere di Paolo III tra il 1537 e il 1540 tra gli appartamenti del Pontefice e della Curia romana. A dissacrare la Paolina, secondo la testimonianza dell'ex gesuita Malachi Martin, noto autore di best seller morto nel 1999, fu proprio un rito funestamente celerato il 29 giugno del 1963 per inaugurare una qualche "era di Satana" a cui parteciparono esponenti di assoluta rilevanza della Curia romana. Il 29 giugno del 1972 Paolo VI pronunciò le famose parole sul fumo di Satana e di come fosse entrato, attraverso qualche fessura, nella Chiesa. Tanti fatti, tanti macabri racconti, ma una cosa è certa: porte inferi, non prevalebunt.

immagine da g.immage.

In piedi, seduti e in ginocchio


Uno dei punti non sempre chiari durante la celebrazione della Santa Messa è la postura da assumere.
A riguardo si può citare indubbiamente come norma principale nella Chiesa la rubrica n. 43 dell'IGMR (Institutio Generalis Missalis Romani), III edizione tipica, che afferma:
"I fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); e ancora dall’invito Pregate fratelli prima dell’orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la Comunione.
S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.
Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione. Dove vi è la consuetudine che il popolo rimanga in ginocchio dall’acclamazione del Santo fino alla conclusione della Preghiera eucaristica e prima della Comunione, quando il sacerdote dice Ecco l’Agnello di Dio, tale uso può essere lodevolmente conservato.
Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale."
A loro volta le Precisazioni liturgiche della Cei affermano che:
"La C.E.I. fa proprio quanto indicato in « Principi e norme per l’uso del Messale Romano » e cioè:
In piedi dal canto d’ingresso fino alla colletta compresa. Seduti durante la prima e seconda lettura e il salmo responsoriale.
In piedi dall’acclamazione al Vangelo alla fine del Vangelo. Seduti durante l’omelia e il breve silenzio che segue. In piedi dall’inizio del Credo, recitato o cantato, fino alla conclusione della preghiera universale o dei fedeli. Seduti durante tutto il rito della presentazione dei doni. Ci si alza per l’incensazione dell’assemblea.
In piedi dall’orazione sulle offerte fino all’epiclesi prima della consacrazione (gesto dell’imposizione delle mani) esclusa. In ginocchio, se possibile, dall’inizio dell’epiclesi preconsacratoria (gesto dell’imposizione delle mani) fino all’elevazione del calice inclusa.
In piedi da Mistero della lede fino alla comunione inclusa, fatta la quale si potrà stare in ginocchio o seduti fino all’orazione dopo la comunione.
 Durante il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera.
In piedi dall’orazione dopo la comunione sino alla fine.
N.B. Durante l’ascolto della Passione del Signore (Domenica delle palme e Venerdì Santo) si può rimanere seduti per una parte della lettura.
Anche qualora il canto del Gloria a Dio comportasse uno svi­luppo musicale di una certa ampiezza, in casi particolari, ci si potrà sedere dopo l’intonazione."

Anzitutto va sottolineato un problema di norme. L'IGMR si riferisce alla III edizione tipica del Messale, di cui non esiste la traduzione ufficiale italiana. Attualmente nel territorio nazionale è utilizzata la II edizione tipica; le precisazioni liturgiche Cei fanno riferimento ad essa. Sembrerebbe quindi che la prima norma citata non abbia valore in Italia: essa è però una traduzione ufficiale, approvata dalla Cei, senza alcuna limitazione (per soli fini di ricerca, di confronto, etc.). E' dunque del tutto ragionevole ritenerla in qualche modo valida.
Un dubbio importante pare sorgere riguardo al comportamento da tenere durante la Preghiera Eucaristica e all'Ecce Agnus Dei.
Nel primo caso, secondo il Messale si potrebbe rimanere sempre in ginocchio, mentre la Cei prescrive di farlo solo dall'epiclesi preconsacratoria sino al Mistero della fede. Va detto che le Precisazioni, come si può notare, riprendono in maniera piuttosto fedele la prima parte della rubrica n. 43 (pur se fanno riferimento, come detto, all'edizione tipica precedente), ma tacciono riguardo la seconda parte.
Allo stesso modo, dopo l'Ecco l'Agnello di Dio, secondo il Messale ci si può inginocchiare, mentre le Precisazioni prescrivono di rimanere in piedi. Anche qui c'è silenzio, che non è di semplicissima interpretazione.
Pare comunque che, come insegna la secolare sapienza della Chiesa, in dubiis libertas.
Un Responsum ufficiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti può essere di ulteriore aiuto.

Riportiamo qui di seguito una traduzione dall'inglese:
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
5 giugno 2003
Prot. n. 855/03/L

Dubium: In molti luoghi, i fedeli sono abituati ad inginocchiarsi o a sedersi in preghiera personale al momento di ritirarsi al proprio posto, dopo aver ricevuto individualmente la Sacra Comunione durante la Messa. E' intenzione del Missale Romanum, editio typica tertia, di proibire questa pratica? [va infatti notato come, per esempio, il Messale non preveda esplicitamente di potersi inginocchiare al proprio posto, dopo aver ricevuto la Comunione]
Responsum: Negativo, et ad mentem. La mens è che la prescrizione dell'Institutio Generalis Missalis Romani, n. 43, è da intendersi, da un lato, come un modo di assicurare entro limiti generali una certa uniformità di postura dell'assemblea nelle varie parti della celebrazione della Santa Messa e, dall'altro lato, di non regolare la postura così rigidamente che coloro che desiderassero inginocchiarsi o sedersi non siano più liberi di farlo.


Francis Cardinale Arinze
Prefetto
Dunque, per quanto la liturgia richieda (e il Messale stesso lo ricordi) che una certa uniformità dei gesti e delle posture sia da perseguirsi, nondimeno le prescrizioni vanno considerate con una certa flessibilità, evitando di considerarle in maniera eccessivamente rigida, come se si trattasse di irregimentare i fedeli. Certamente coloro che, per esempio, abbiano problemi di salute (ad esempio persone molto anziane e con disturbi motori) possono adottare posture diverse da quelle prescritte. Non sembra neppure eccessivamente peregrino immaginare che, pur essendo da rifuggire l'esibizionismo, pure ragioni di personale devozione possano portare ad inginocchiarsi, per esempio, durante la Comunione del celebrante (cioè all'Ecce Agnus Dei) .

immagine da Corbis.

Avviso sacro: una Messa antica per la gioventù


Una bella proposta per i ragazzi incuriositi dalla "Messa in latino":


Mercoledì 9 Febbraio, ore 18:00

Chiesa di San Simeon Piccolo in Venezia

“Che cos’è la Santa Messa?”

Messa Cantata nella Forma Extraordinaria del Rito Romano 

per giovani e studenti


immagine da venezia.fssp.it

Il Papa, il drago e le montagne venete


In questi giorni, quando forti boati provenienti dal sottosuolo disturbano le notti degli abitanti dei territori di Vittorio Veneto e di Malcesine, i locali riscoprono quelle vecchie leggende dall'anima religiosa che un tempo infiammavano le tranquille serate della gente semplice che cercava di giustificare gli inquietanti fenomeni. Tra queste storie, spunta quella del drago del Papa Silvestro, una bestiaccia enorme che il Santo riuscì a rinchiudere nelle grotte delle montagne venete. San Silvestro di esseri del genere se ne intendeva, già a Roma il buon Papa era riuscito ad ammansire un dragaccio ferocissimo ben nascosto sotto il Colle del Palatino, che provocava morte e distruzione. I numerosi oratori e sacelli dedicati al Santo Papa ammaestratore di draghi, sorti anticamente su quelle zone contribuiscono a velare di mistero questi racconti leggendari che riescono a gemellare le montagne venete col Palatino.

immagie da g.immage.
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