Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Un Veneto in Segreteria di Stato: è Parolin





RINUNCIA DEL SEGRETARIO DI STATO E NOMINA DEL NUOVO SEGRETARIO DI STATO 
Il Santo Padre Francesco ha accettato, secondo il Can. 354 del Codice di Diritto Canonico, le dimissioni di Sua Eminenza il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, chiedendogli, però, di rimanere in carica fino al 15 ottobre 2013, con tutte le facoltà inerenti a tale ufficio.
Nel medesimo tempo il Santo Padre ha nominato S.E. Mons. Pietro Parolin, Nunzio Apostolico in Venezuela, come nuovo Segretario di Stato. Egli prenderà possesso del suo ufficio il 15 ottobre 2013. 
In quell'occasione, Sua Santità riceverà in Udienza Superiori ed Officiali della Segreteria di Stato, per ringraziare pubblicamente il Card. Tarcisio Bertone per il suo fedele e generoso servizio alla Santa Sede e per presentare loro il nuovo Segretario di Stato.
S.E. Mons. Pietro Parolin 
S.E. Mons. Pietro Parolin è nato a Schiavon (Vicenza) il 17 gennaio 1955.
È stato ordinato sacerdote il 27 aprile 1980 e incardinato nella diocesi di Vicenza.
È laureato in Diritto Canonico.
Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1986, ha prestato la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Nigeria e in Messico e presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.
È stato nominato Sotto-Segretario della Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato il 30 novembre 2002.
Il 17 agosto 2009 è stato nominato Nunzio Apostolico in Venezuela ed elevato in pari tempo alla sede titolare di Acquapendente, con dignità di Arcivescovo. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale dalle mani di Papa Benedetto XVI il 12 settembre dello stesso anno.
Oltre all’italiano, conosce il francese, l’inglese e lo spagnolo. 
[01195-01.01] 

Un Segretario di Stato... vicentino?





di Andrea Tornielli per Vatican Insider 
Papa Francesco potrebbe accogliere domani le dimissioni a suo tempo presentate dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e secondo diverse indiscrezioni avrebbe deciso di nominare al suo posto l'arcivescovo Pietro Parolin, nunzio apostolico in Venezuela.
Il nuovo «primo ministro» vaticano ha 58 anni, ed è originario a Schiavon, in provincia di Vicenza. Sacerdote dal 1980, entrato nella diplomazia vaticana nel 1986, nel 2002 è stato nominato sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, in pratica «viceministro degli Esteri», dove ha collaborato prima con il cardinale Sodano e poi con Bertone. Nel settembre 2009 Benedetto XVI, che qualche settimana prima lo aveva nominato nunzio in Venezuela, lo ha consacrato vescovo. Tra i co-consacranti c'era anche Bertone.
Il Segretario di Stato uscente lascia l'incarico ormai alla vigilia del compimento dei 79 anni, come accadde al suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano, attuale decano del collegio cardinalizio. Il salesiano Tarcisio Bertone, fino a quel momento arcivescovo di Genova, era stato scelto da Papa Ratzinger come Segretario di Stato nel 2006, un anno dopo l'elezione. Allora la nomina seguì il curioso iter di un annuncio a giugno e di un'entrata in carica a settembre: il nuovo «primo ministro» vaticano si trovò a dover fare subito i conti con una crisi, quella scaturita dall'interpretazione delle parole pronunciate da Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona.
All'origine della scelta di un prelato non proveniente dalla diplomazia pontificia - peraltro non del tutto inedita nella storia della Chiesa - c'era la personale conoscenza e collaborazione, che si era consolidata tra il 1995 e il 2002, negli anni in cui quest'ultimo era stato segretario della Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal Prefetto Joseph Ratzinger.
L'allora capo dell'ex Sant'Uffizio aveva apprezzato le qualità operative di Bertone e la sua fedeltà. Per questo, nonostante il parere contrario di diversi curiali, lo aveva scelto e difeso fino all'ultimo, rifiutandosi di accogliere le richieste dei cardinali che negli ultimi anni suggerivano un cambio. 
Bertone, che conserva la carica di camerlengo di Santa Romana Chiesa e per il momento rimane nel consiglio cardinalizio di sovrintendenza dello Ior, sapeva già da qualche tempo che alla fine dell'estate sarebbe stato sostituito. Se si scorrono i precedenti recenti, si comprende come la sostituzione, facilitata dall'età del Segretario di Stato uscente, sia avvenuta in tempi rapidi. Nell'ottobre 1958 Giovanni XXIII scelse il Segretario di Stato la sera stessa dell'elezione, ma la carica era vacante dal 1944, da quando era scomparso il cardinale Luigi Maglione e Papa Pio XII non l'aveva più rimpiazzato, servendosi invece dei due sostituti Montini e Tardini. Paolo VI, nel giugno 1963, confermò nell'incarico il cardinale Amleto Cicognani, già ottantenne e già Segretario di Stato del predecessore, mantenendolo per altri sei anni. Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II confermarono il cardinale francese Jean Villot, anche se Papa Wojtyla scrisse che un Papa non italiano avrebbe dovuto avere un Segretario di Stato italiano. Villot, che fino ad oggi rimane l'unico Segretario di Stato ad aver servito ben tre Pontefici, morì nel marzo 1979 e al suo posto venne nominato Agostino Casaroli.
Le dimissioni del prelato simbolo dell'Ostpolitik vennero accolte da Papa Wojtyla quando Casaroli compì 76 anni, e Segretario di Stato divenne Angelo Sodano, il quale ha accompagnato per quasi un anno e mezzo - dall'aprile 2005 al settembre 2006 - il pontificato di Benedetto XVI.
Come si ricorderà, lo scorso luglio il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, in un'intervista aveva lamentato la mancata sostituzione del Segretario di Stato, nei cui confronti si erano addensate critiche durante le discussioni del pre-conclave. «Mi aspetto che dopo la pausa estiva si concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento della gestione», aveva commentato il porporato statunitense dopo aver detto che si aspettava la sostituzione prima dell'estate, come peraltro da più parti erroneamente pronosticato.

Pio XII... santo subito?




di Alberto Paglialonga per formiche.net
Papa Francesco potrebbe presto dichiarare santo il “venerabile” Pio XII. In tal modo si arriverebbe alla canonizzazione di Papa Pacelli attraverso una procedura velocizzata, analoga a quella seguita per Giovanni XXIII (che sarà proclamato santo assieme a Giovanni Paolo II tra la fine del 2013 e la primavera del 2014), andando ad allungare la serie dei Pontefici “santi” del Novecento. L’indiscrezione è stata raccolta dall’americana Catholic News Agency, attraverso il racconto di una fonte anonima che lavorerebbe all’interno della Congregazione per le Cause dei Santi e che ricorda come, stante la procedura in corso, gran parte della decisione spetti all’attuale Pontefice.

Questione di procedura

Nel 2009 a Pio XII vennero riconosciute le “virtù eroiche”, grazie a un decreto della Congregazione per le Cause dei Santi autorizzato da Papa Ratzinger, e da allora Pacelli gode quindi del titolo di “venerabile”. Se la normale procedura prevede che una persona per la quale sia stata confermata la “santità di vita”, venga proclamata beata una volta che un miracolo venga riconosciuto (prima da un team di esperti, poi da una commissione di cardinali) come avvenuto per la sua intercessione, in questo caso particolare – spiega la fonte – “Papa Francesco potrebbe decidere di andare avanti senza miracolo, canonizzando Pio XII con la formula ex certa scientia, ovvero sfruttando la sua libertà di deroga alle norme procedurali e saltando l’ultimo stadio previsto per la beatificazione”. In ogni caso, conclude l’interlocutore, “solo il Papa può decidere in tal senso, e lo farà, se lo vuole”. 

La stima di Papa Francesco

Due sarebbero i motivi alla base della decisione di Bergoglio. Il primo è che per Papa Francesco, come Roncalli, anche Pacelli sarebbe “un grande”, la cui statura e il cui esempio di vita andrebbero quindi riconosciuti all’interno della Chiesa (rimanendo quindi aperta la valutazione degli storici nel loro campo specifico, come ricordò Padre Federico Lombardi in una nota del 2009). Il secondo riguarderebbe, invece, il fatto che proprio nel 2014 la documentazione relativa al papato pacelliano (1939-1958) sarà definitivamente aperta agli studiosi, permettendo cosí di fare piena luce su quel periodo. Senza dimenticare, probabilmente, una questione per così dire affettiva, perché quella commissione, istituita da Paolo VI nel 1967 per esaminare il caso di Pio XII, e che produsse la serie di 12 volumi intitolata “Atti e Documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale”, era composta esclusivamente da quattro padri gesuiti (proprio come Bergoglio): il francese Pierre Blet, grande studioso e storico della Chiesa; l’italiano Angelo Martini; un officiale dell’Archivio Segreto Vaticano, il tedesco Burkhart Schneider; e lo statunitense Robert A. Graham, autore alla fine degli anni cinquanta di un importante studio sulla diplomazia vaticana.

Polemiche non nuove

La decisione di proclamare santo Pio XII che, inizialmente, si pensava potesse essere presa assieme a quella per Karol Wojtyla, già beatificato il 1 maggio 2011 in San Pietro, porterebbe certamente a rinfocolare polemiche antiche circa il ruolo che Pacelli ebbe nel corso della seconda guerra mondiale e nella gestione della questione ebraica, anche se sufficienti spiegazioni “in positivo” sono state fornite in questi anni dalla documentazione emersa dall’Archivio Segreto Vaticano e dalle opere di numerosi studiosi (per esempio, Andrea Tornielli, Matteo Luigi Napolitano o Michael Hesemann), che hanno confutato le tesi “colpevoliste” rispetto a presunte connivenze con il regime nazista sostenute invece da autori come, tra gli altri, Rolf Hochhut (Il Vicario) o John Cornwell (Il Papa di Hitler). Già nel 2009, quando Ratzinger venne convinto dai risultati della commissione di esperti ad autorizzare la firma al decreto che proclamava “venerabile” Papa Pacelli, numerose furono le contestazioni da parte della comunità ebraica, tese a sottolineare la non opportunità di una simile decisione. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, in una nota congiunta spiegavano allora che “se la decisione di oggi dovesse implicare un giudizio definitivo e unilaterale dell’operato storico di Pio XII ribadiamo che la nostra valutazione rimane critica”. 

Il giudizio storico

Un giudizio storico aperto alle diverse riflessioni e che, tuttavia, già ora dà ampie garanzie, come ricorda sempre al National Catholic Reporter il professor Matteo Luigi Napolitano, docente all’Università Guglielmo Marconi di Roma e membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche: “i più autorevoli storici ebrei, cattolici e laici concordano su un punto chiave, ovvero che Papa Pacelli non era, e non poteva essere, il Papa di Hitler”. A ciascuno il suo, come diceva Leonardo Sciascia: e a Papa Francesco l’ultima parola.

Era un monsignore: la saga continua




di Michelangelo Nasca per Vatican Insider 
“Don Camillo monsignore... ma non troppo” era il titolo del quarto episodio della famosa saga di Don Camillo e Peppone, diretto da Carmine Gallone e tratto dai racconti di Giovannino Guareschi. A Venezia – ci scherza su qualche sacerdote – il “Monsignore… ma non troppo” è diventato un vero e proprio decreto diocesano!

Seguendo, infatti, la linea della sobrietà e del servizio, e nel rispetto delle norme canoniche stabilite dalla Chiesa, il patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha firmato recentemente un provvedimento che riserva il titolo di “monsignore” solo ai sacerdoti che hanno ricevuto una onorificenza pontificia direttamente dal Papa; mentre tutti gli altri componenti del clero diocesano, manterranno il semplice “don”.
Una scelta, questa, che ha lasciato alcuni sacerdoti ed ex “monsignori” scontenti, anche se in Curia si tende a precisare che sull’utilizzo dei titoli ecclesiastici non c’è in atto una manovra di retrocessione ma “una rigorosa revisione che rientra nella linea di sobrietà di papa Francesco”.
Già da alcuni mesi il Patriarca di Venezia, nel corso di alcune assemblee diocesane, aveva iniziato a sostituire il titolo di “monsignore” con quello di “don”, e in modo particolare nel corso di una importante e recente riunione, per annunciare i nuovi componenti della Curia; nomine – precisa Moraglia – pensate anche nell’ottica di una gestione collegiale e condivisa, sempre in funzione del progetto pastorale diocesano. “La Curia – ha aggiunto – non è un luogo di privilegio ma un luogo di servizio, in cui ognuno è chiamato a servire la comunità diocesana sul territorio. La Curia non è fine a se stessa, è un mezzo; il fine è sempre il bene delle anime“ (Zenit).
A proposito del titolo ecclesiastico in questione, alcuni sacerdoti hanno rintracciato delle fonti storiche. Mons. – anzi “don” – Giuseppe Camilotto, arciprete della Basilica di San Marco, spiega che «Nel 1860 papa Pio IX ha concesso il titolo di Protonotari Apostolici ai canonici residenziali e onorari di San Marco e ai loro successori. Concessione mai abrogata». Ancora: «Nel 1969 la Segreteria di Stato di Sua Santità Paolo VI ha emanato un’Istruzione circa le vesti, i titoli … dei prelati di ordine minore. Al numero 26 si legge: “I Protonotari Apostolici soprannumerari, cioè i canonici di San Marco, possono fregiarsi del titolo di Monsignore preceduto da Reverendo”. Qualsiasi decisione», continua l’arciprete, «di abolire il titolo non è fattibile secundum jus». Una scelta, dunque, che secondo don Camilotto andrebbe riproposta alla Congregazione per il Clero.
Mentre a Venezia si discute sul titolo di monsignore, a Padova, uno studente in ingegneria di diciannove anni Stefano Cabizza, (chiamiamolo pure scherzo del destino o provvidenziale chiarimento) riceve a sorpresa la telefonata del Papa, raccontata dal giovane in questi termini: «“Pronto!”. “Sono Papa Francesco, diamoci del tu”. “Credi che gli apostoli dessero del Lei a Gesù, o lo chiamassero Sua eccellenza? Erano amici come lo siamo adesso io e te, ed io agli amici sono abituato a dare del Tu”».


Benedetto e la Chiesa di Dio: l'ultimo regalo




di *** per chiesa.espresso.repubblica.it
La domenica dopo l'Epifania è la domenica del battesimo di Gesù. E in ognuna di queste domeniche, anno dopo anno, Benedetto XVI ha amministrato il primo sacramento dell’iniziazione cristiana a un certo numero di bambini, nella Cappella Sistina. Ogni volta ha dunque avuto modo di pronunciare le formule previste dal rito del battesimo in vigore dal 1969. Ma due parole di questo rito non l’hanno mai convinto del tutto.E così, prima di rinunciare alla cattedra di Pietro, ha ordinato che venissero cambiate nell'originale latino e di conseguenza, a cascata, anche nelle cosiddette lingue volgari. 

Il provvedimento, messo in opera dalla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, è stato pubblicato dal bollettino ufficiale del dicastero, "Notitiae". A segnalarne l'esistenza, nel silenzio dei media vaticani, è stato il quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire". Il decreto che introduce l’innovazione, pubblicato in latino, inizia così:
"Porta della vita e del regno, il battesimo è sacramento della fede, con il quale gli uomini vengono incorporati nell'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui".
È proprio partendo da questa considerazione che la congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha motivato la variazione nella seconda "editio typica" latina del rito del battesimo dei bambini del 1973 (che nella formula in questione è identico alla prima "editio typica" del 1969):
"Affinché nel medesimo rito sia meglio messo in luce l’insegnamento della dottrina sul compito e dovere della Madre Chiesa nei sacramenti da celebrare". 
La variazione introdotta è la seguente.
D’ora in poi al termine del rito dell’accoglienza, prima di segnare con la croce la fronte del bambino o dei bambini, il sacerdote non dirà più: "Magno gaudio communitas christiana te (vos) excipit", ma invece: "Magno gaudio Ecclesia Dei te (vos) excipit".  

In pratica papa Joseph Ratzinger, da fine teologo, ha voluto che nel rito battesimale si dicesse in modo chiaro che è la Chiesa di Dio – la quale sussiste compiutamente nella Chiesa cattolica – ad accogliere i battezzandi, e non genericamente la "comunità cristiana", termine che sta a significare anche le singole comunità locali o le confessioni non cattoliche come le protestanti.
Nel decreto pubblicato su "Notitiae" si precisa che Benedetto XVI "ha benevolmente stabilito" la suddetta variazione del rito nel corso di un'udienza concessa al prefetto della congregazione, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, il 28 gennaio 2013, appena due settimane prima dell’annuncio delle dimissioni da papa.Il decreto porta la data del 22 febbraio 2013, festa della Cattedra di san Pietro, ed è firmato dal cardinale prefetto e dall’arcivescovo segretario Arthur Roche. E vi si dice che è entrato in vigore dal giorno 31 marzo 2013, regnante già papa Francesco, che evidentemente non ha avuto nulla da obiettare riguardo alla decisione del suo predecessore. L'introduzione della variante nelle lingue volgari sarà curata dalle rispettive conferenze episcopali.

Attualmente in inglese la frase nella quale le due parole “comunità cristiana” dovranno cambiare in “Chiesa di Dio” è:  "The Christian community welcomes you with great joy".
In francese: "La communauté chrétienne t’accueille avec une grande joie".
In spagnolo: "La comunidad cristiana te recibe con gran allegria".
In portoghese: "È com muita allegria que la comunidade cristã te recebe".
Leggermente discostate dall’originale latino sono la versione tedesca: "Mit großer Freude empfängt dich die Gemeinschaft der Glaubenden [La comunità dei credenti ti accoglie con grande gioia]" e quella in vigore in Italia: "Con grande gioia la nostra comunità cristiana ti accoglie", dove c'è l’aggiunta di un "nostra" non presente nell'originale latino. 

La versione italiana è quella che Benedetto XVI ha utilizzato ogni volta che ha amministrato il sacramento nella domenica del Battesimo di Gesù. E forse è proprio quel troppo autoreferenziale "nostra" che ha indotto il papa teologo a decidere il cambiamento.  Fino al 2012, infatti, Benedetto XVI ometteva il "nostra" e pur celebrando in italiano diceva ai piccoli battezzandi: "Con grande gioia la comunità cristiana vi accoglie".Ma alla fine deve aver considerato ambiguo anche l’originale latino. Così lo scorso 13 gennaio, nel celebrare per l’ultima volta da sommo pontefice il battesimo, ha detto: "Cari bambini, con grande gioia la Chiesa di Dio vi accoglie".E poco dopo, tra le ultime disposizioni del suo pontificato, ha prescritto tale formula per tutta la Chiesa.

Veneti episcopi: Pio X




Giuseppe Cardinal Sarto, Patriarca di Venezia.
Eletto il 4 agosto 1903 duecentocinquantasettesimo papa della Chiesa Cattolica. 
Canonizzato il 29 maggio 1954.



Gaetano Valeri, le sinfonie ed i concerti per la Cattedrale




Mentre alla Basilica di San Marco stava un Bonaventura Furlanetto indaffarato a proseguire l'immensa opera del predecessore, nelle cantorie della Cattedrale di Padova serpeggiava un vivace organista ed abile compositore, Gaetano Valeri: questi naque il 21 settembre 1760 ed ebbe a mentore Ferdiando Gasparo Turrini, al tempo organista a Santa Giustina. Dopo una parentesi "pittorica" conquistò presto le panche degli organi delle grandi chiese regolari dei Carmini e di Sant'Agostino. Approdò poi alla Cattedrale dove fu organista e compositore alla Cappella Musicale. Solo nei primi anni dell'800 il Capitolo dei Canonici gli affidò la completa direzione della Cappella. Celebratissimo "l'ingegno del Valerj era di creazione non d'imitazione" morì il 13 aprile 1822 accompagnato da uno stuolo di suoi "varj alunni". 
Seppure la produzione musicale del Valeri passi ai più inosservata, giacendo desolatamente dimenticata - l'immenso numero di composizioni sacre resta gelosamente custodita alla Biblioteca Capitolare patavina - la casa discografica Tactus ha recentemente riproposto (in collaborazione con il Comune di Cingoli!) certe sue interessanti opere eseguite dagli Hermans Consort diretti da Fabrizio Ammetto con un abile Luca Scandali all'organo. Queste Sinfonie e concerti coll'organo che andavano probabilmente a concertare le celebrazioni solenni della Cattedrale di Padova all'introito o durante l'offertorio sono caratterizzate dalla presenza dei corni da caccia che andarono ad aggiungersi dalla secondo metà del '700 agli archi e agli oboé. Queste composizioni, caratterizzate da due o tre movimenti oppure da un un unico movimento alla maniera galuppiana, riflettono l'influenza dello dell'ultimo stile galante, senza rinunziare alla rigorosa costruzione barocca e a quella semplificazione formale cara alla tradizione italiana


Avviso sacro: Missa Cantata a Caorle




CELEBRAZIONE LITURGICA
NELLA FORMA EXTRAORDINARIA
DEL RITO ROMANO


in occasione dei festeggiamenti per il 975mo anniversario di dedicazione


MISSA CANTATA



Venerdì 16 Agosto


ORE 10:00


DUOMO DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

Caorle (VE)


Prima della celebrazione alcuni sacerdoti saranno disponibili per le Confessioni.

Era un monsignore: il riordino dei titoli in Patriarcato




di Alvise Sperandio per Il Gazzettino 
Niente più monsignori senza titolo nella diocesi di Venezia. È all'insegna del ligio rispetto del diritto canonico, uno dei primi provvedimenti del nuovo vicario generale della diocesi ed esperto in materia, don Angelo Pagan, firmato nei giorni scorsi dal patriarca Francesco Moraglia prima della partenza per le ferie.
Dispone che quei sacerdoti che finora, e da tempo, si sono chiamati monsignori perché canonici residenziali oppure onorari di San Marco, vengono ora retrocessi a semplici "don", dal momento che solo la nomina pontificia dà diritto a fregiarsi del grado superiore. 
«Una decisione - spiega un docente del Marcianum - che intende fare chiarezza, mettendo i puntini sulle "i" e dando a ciascuno al suo». Il titolo, d'altronde, è solamente onorifico e non ha alcun peso sul piano dei poteri. La valutazione va fatta caso per caso ma ad essere coinvolti dalla novità ci sono sacerdoti molto in vista, come i vicari episcopali don Danilo Barlese e don Dino Pistolato, il delegato per la catechesi e la scuola don Valter Perini, quello per il sociale e il lavoro don Fabiano Longoni, l'ex economo e neo parroco di Santa Barbara don Guido Scattolin, ma anche arcipreti importanti e molto popolari come don Fausto Bonini a Mestre, don Luigi Casarin a Gambarare, don Angelo Munaretto a Eraclea e don Giuseppe Manzato a Caorle. 
Una piccola rivoluzione che va a scontrarsi con una consuetudine consolidata da decenni e che rischia di essere mal digerita dai fedeli, in molti casi abituati a identificare con il solo appellativo di monsignore il proprio prete di riferimento. A molti non è sfuggito che già nei documenti ufficiali il patriarca Moraglia è attento sull'utilizzo del "don" e non del "mons.", così come nel comunicato stampa successivo alla comunicazione delle recenti nomine. Gli interessati sono dubbiosi. «Ne ho sentito parlare, ma non ho ricevuto alcuna comunicazione in proposito», dice don Bonini mentre don Perini spiega «di aspettare indicazioni: forse la nuova edizione del prontuario sarà utile a fare chiarezza».
Alla base della decisione c'è il desiderio di rispettare fino in fondo le regole, ma forse anche la volontà di trasmettere un messaggio di semplicità e sobrietà in linea con gli insegnamenti di papa Francesco e quanto detto dallo stesso Moraglia nel definire il nuovo assetto di governo della diocesi: «La Curia - ha affermato nell'occasione - non è un luogo di privilegio ma un luogo di servizio, in cui ognuno è chiamato a servire la comunità diocesana sul territorio. La Curia non è fine a se stessa, è un mezzo, perché il fine è sempre il bene delle anime».

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