Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Al Palazzo Vescovile, la teoria del Crocifisso




Dal 14 settembre sette antichi crocifissi lignei provenienti da chiese della Diocesi di Padova comporranno una suggestiva mostra negli spazi del Museo Diocesano di Padova, per celebrare due momenti significativi della fede cristiana: l’Anno della fede, che si concluderà il 24 novembre 2013 e l’anniversario dell’Editto di Milano (313-2013) con cui il cristianesimo diviene culto pubblico e l’immagine della croce entra a pieno titolo tra i soggetti dell’arte cristiana.

Il dramma di Gesù crocifisso ha interrogato l’uomo di ogni tempo, toccando il cuore del vissuto delle persone.
Da duemila anni è uno “scandalo” sia per chi crede, sia per chi si ferma al solo dato storico della crocifissione, continuando a porre interrogativi sull’uomo e sul senso della sua esistenza.
Ha alimentato il pensiero teologico e filosofico, l’immaginazione e la spiritualità, e ha ispirato scrittori e artisti che hanno dato vita a immagini di grande intensità.
La mostra, aperta dal 14 settembre al 24 novembre 2013, racconta questa storia attraverso sette crocifissi in legno intagliato e dipinto provenienti da alcune chiese della Diocesi di Padova. Le sculture, dal Trecento al Settecento, sono presentate in un percorso che ne esalta il potere evocativo, e la capacità di esprimere la sensibilità e il pensiero teologico propri di ciascuna epoca.
È un viaggio nel tempo alla scoperta delle raffigurazioni del crocifisso e del loro significato: dal Cristo morto in croce del tardo Medioevo, con gli occhi chiusi e la testa reclinata, dove si insiste sulla passione e sulle sofferenze patite per la salvezza dell’uomo; alla svolta dell’umanesimo cristiano nel Rinascimento, che riscopre l’umanità di Cristo nobilitandola attraverso il linguaggio sereno e composto della classicità; per arrivare al “superamento” della morte attraverso il vitalismo del Cristo vivo, che già suggerisce l’idea della resurrezione, nell’età della Controriforma e Barocca.
Il percorso consente di osservare da vicino le sculture, tre delle quali sono state sottoposte a delicati interventi di restauro, grazie anche alla campagna di raccolta fondi Mi sta a cuore. I restauri, che si sono avvalsi delle moderne metodologie di diagnostica, hanno dato risultati sorprendenti, che vengono raccontati in mostra in un’apposita sezione multimediale, realizzata con il generoso supporto di Mediacom Digital Evolution.
Le visite guidate per i gruppi consentono di scendere più in profondità, compiendo un percorso estetico e spirituale insieme, nel quale oltre alle opere d’arte saranno le parole di scrittori, poeti, teologi, santi, a tessere il racconto, come fili tesi lungo il tempo. Un’occasione per lasciarci interrogare da un’immagine forte, carica di contraddizioni e interrogativi ma anche di speranza; un’immagine sempre uguale a se stessa eppure diversa, così come è l’uomo nel cammino della storia.

Sacerdote e Messa: l'eredità del Cardinal Piacenza




Nominato dal Santo Padre Penitenziere Maggiore della Penitenzieria Apostolica, il Cardinale Piacenza lascia la guida della Congregazione per il Clero chiudendo il suo operato con un interessante documento dedicato al Sacrificio Eucaristico, che vi proponiamo di seguito.



La celebrazione quotidiana della Santa Messa anche in assenza di fedeli

È noto che, in tempi recenti, alcuni sacerdoti, fortunatamente assai pochi, osservano il cosiddetto «digiuno celebrativo», consistente nella pratica di astenersi di tanto in tanto o persino settimanalmente, in uno dei giorni feriali, dal celebrare la Santa Messa, privandone così anche i fedeli. In altri casi, il sacerdote che non svolge cura pastorale diretta ritiene non essere necessario celebrare ogni giorno, se egli non ha possibilità di farlo per una comunità. Infine, alcuni ritengono che, nel meritato periodo di riposo delle proprie vacanze, abbiano il diritto di «non lavorare», e pertanto sospendono anche la Celebrazione eucaristica quotidiana. Cosa dire di tutto ciò? Riassumiamo la risposta in due punti: l’insegnamento del Magistero e alcune considerazioni teologico-spirituali.
1. Il Magistero
È indubbio che nei documenti magisteriali non si trova affermata la stretta obbligatorietà, per il sacerdote, della celebrazione quotidiana della Santa Messa; ma è altrettanto evidente che essa viene non solo suggerita, ma persino raccomandata. Offriamo alcuni esempi. Il Codice di Diritto Canonico del 1983, nel contesto di un canone che indica il dovere dei sacerdoti di tendere alla santità, indica: «I sacerdoti sono caldamente invitati ad offrire ogni giorno il Sacrificio eucaristico» (can. 276, § 2 n. 2 CIC). Alla cadenza quotidiana della celebrazione essi vanno preparati sin dagli anni di formazione: «La Celebrazione eucaristica sia il centro di tutta la vita del seminario, in modo che ogni giorno gli alunni [...] attingano soprattutto a questa fonte ricchissima forza d’animo per il lavoro apostolico e per la propria vita spirituale» (can. 246 § 1 CIC).
Sulla scorta di quest’ultimo canone, Giovanni Paolo II ha sottolineato: «Converrà pertanto che i seminaristi partecipino ogni giorno alla Celebrazione eucaristica, di modo che, in seguito, assumano come regola della loro vita sacerdotale questa celebrazione quotidiana. Essi saranno inoltre educati a considerare la Celebrazione eucaristica come il momento essenziale della loro giornata» (Angelus, 01.07.1990, n. 3).
Nell’Esortazione apostolica post-Sinodale Sacramentum Caritatis del 2007, Benedetto XVI ha innanzitutto ricordato che «Vescovi, sacerdoti e diaconi, ciascuno secondo il proprio grado, devono considerare la celebrazione come loro principale dovere» (n. 39). In ragione di ciò, il Sommo Pontefice ha tratto la naturale conseguenza:
«La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. [...] Raccomando ai sacerdoti “la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli” (Propositio 38 del Sinodo dei Vescovi). Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione» (n. 80).
Erede di questi ed altri insegnamenti, il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, curato dalla Congregazione per il Clero in una recentissima nuova edizione (2013), al n. 50 – dedicato ai «Mezzi per la vita spirituale» dei sacerdoti – ricorda: «È necessario che nella vita di preghiera del presbitero non manchi[...] mai la Celebrazione eucaristica quotidiana, con adeguata preparazione e successivo ringraziamento».
Questi ed altri insegnamenti del Magistero recente radicano, come è naturale, nelle indicazioni del Concilio Vaticano II, che al n. 13 del Decreto Presbyterorum Ordinis dice:«Nel mistero del Sacrificio eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono la loro funzione principale, viene esercitata ininterrottamente l’opera della nostra redenzione e quindi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli».
2. Principali motivi
Sarebbe già sufficiente la citazione di queste indicazioni magisteriali per incoraggiare tutti i sacerdoti alla fedeltà alla celebrazione quotidiana della Santa Messa, con o senza presenza di fedeli. Aggiungiamo tuttavia, nel modo più breve possibile, anche l’esplicitazione dei principali motivi teologico-spirituali che sottostanno alle indicazioni della Chiesa in materia, mantenendo un regime di strettissima brevità.
a) Mezzo privilegiato di santità del sacerdote. La Santa Messa è «fonte e culmine» di tutta la vita sacerdotale: da essa il sacerdote trae la forza soprannaturale e alimenta lo spirito di fede di cui ha assolutamente bisogno per configurarsi a Cristo e per servirLo degnamente. Al pari della manna dell’Esodo, che andava colta ogni giorno, il sacerdote ha bisogno ogni giorno di abbeverarsi alla fonte della grazia, il sacrificio del Golgota, che si ripresenta sacramentalmente nella Santa Messa. Omettere tale celebrazione quotidiana – fatto salvo il caso di impossibilità – significa privarsi del principale alimento necessario alla propria santificazione ed al ministero apostolico ecclesiale, nonché indulgere al rischio di una sorta di pelagianesimo spirituale, che confida nella forza dell’uomo più che nel dono di Dio.
b) Principale dovere del sacerdote, corrispondente alla sua identità. Il sacerdote è costituito tale principalmente in ragione della Celebrazione eucaristica, come rivela il fatto che questo ministero ecclesiale fu istituito da Cristo contestualmente all’Eucaristia stessa, durante l’ultima cena. Celebrare la Santa Messa non è l’unica cosa che il sacerdote deve fare, ma certamente è la principale. Lo ricordava poc’anzi Presbyterorum Ordinis: nell’offrire il Sacrificio eucaristico, «i sacerdoti svolgono la loro funzione principale». Riprende questo insegnamento Giovanni Paolo II, nella Pastores Dabo Vobis del 1992: «I sacerdoti, nella loro qualità di ministri delle cose sacre, sono soprattutto i ministri del Sacrificio della Messa» (n. 48).
c) Atto di carità pastorale più perfetto. Non esiste opera di carità che il sacerdote possa compiere in favore dei fedeli, che sia più grande o abbia più valore della Santa Messa. Il Concilio Vaticano II lo ricorda con le parole: «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Ss.ma Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo [...]. Perciò l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione» (Presbyterorum Ordinis, n. 5).
d) Suffragio dei defunti. La carità pastorale del sacerdote – che di norma può raggiungere solo i fedeli viatores, nella Santa Messa travalica i confini dello spazio e del tempo. Celebrando in persona Christi, il sacerdote compie un’opera che supera le dimensioni dell’efficacia del gesto umano, limitata al suo tempo, al suo spazio ed alla storia dei suoi effetti, e si estende oltre i confini dell’umanamente raggiungibile. Questo vale, in particolare, per il valore dei meriti di Cristo, che nella Santa Messa si offre di nuovo al Padre per noi e per molti. Tra i «molti» per i quali Cristo si è offerto una volta per tutte sulla croce, e continua ad offrirsi su quel Golgota sacramentale che sono gli altari delle nostre chiese, figurano anche i fedeli defunti, che sono in attesa di accedere alla visione eterna di Dio. Da sempre la Chiesa prega per loro nella liturgia, come testimonia la menzione dei defunti nelle preghiere eucaristiche. «Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il Sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1032)
Quale atto di carità pastorale è pertanto la celebrazione quotidiana dalla S. Messa ed anche in circostanze per le quali fossero assenti i fedeli!

Al Santo, le armi di Papa Francesco




Sulla facciata della Basilica del Santo a Padova torna lo stemma del Pontefice regnante, le insegne del padrone di casa. Quello di Benedetto XVI era stato calato nel tempo di Sede Vacante. Ora aggiornato, lo scudo - pesante colata bronzea degli anni '30 dello scorso secolo - si mostra sopra il portale romanico della Basilica e alla lunetta di Andrea Mantagna.







A Schio, le proteste sull'altare




di Anna Lirusso per Il Giornale di Vicenza 
Scuote gli animi e divide il gesto di fra Dino Pistore. Domenica mattina [10 settembre nrd] a fine messa in duomo il religioso ha preso in mano il microfono, si è spogliato delle vesti sacerdotali e affidandosi alle parole di Etty Hillesum, scrittrice olandese di origine ebrea deportata in un campo di concentramento, ha raccontato la sua sofferenza per lo sradicamento dei frati Cappuccini da Schio dopo 5 secoli. Il giorno successivo al gesto non si parla d'altro in città. La gente commenta la scelta del frate di togliersi i paramenti e di lanciarli sopra l'altare prima di parlare a cuore aperto ai fedeli che subito l'hanno applaudito con vigore mentre la schiera di sacerdoti che officiava messa restava attonita alle sue spalle.  «L'applauso era l'ultima cosa che volevo sentire di fronte a questo gesto», ha subito detto fra Dino in pantaloncini corti e t-shirt dopo quella ribellione pubblica che ha scosso gli animi.  «È stata una protesta lecita - commenta Anna Malai, che lavora in un bar del centro - Stamattina non si parlava d'altro e tutti concordavano nel dire che prima di essere preti sono uomini».  «Quello di fra Dino è stato un gesto coraggioso e forte - spiega Gianfranco Gonzato del gruppo pastorale - Tutti noi eravamo avvolti in qualcosa che non sentivamo fino in fondo, c'era bisogno di liberare e cercare il vero significato delle cose». «Si è spogliato di tutto per mostrare il suo dolore - dice Anna Todesco - La vera profanazione è stata togliere i frati a Schio. L'espressione così violenta che ha scelto dà il senso del peso per la perdita della comunità cappuccina per tutti noi. Ha mostrato la fragilità dell'essere e la gente lo ha capito». Ma accanto ai commenti positivi c'è chi la pensa diversamente. «Quel gesto non lo condivido - dice Giuseppe Fontana -. Ha fatto voto di povertà, castità e obbedienza ed è venuto meno ad uno dei tre voti, probabilmente il più difficile da rispettare».  

Videsi allora esser divenuto un altr'uomo, ed essersi vestito d'uno spirito novello, perciocchè considerando esso stesso la gran dignità del Sacerdozio, procurò di tale acquisto delle virtù necessarie all'amministrazione d'un tanto carico, e di applicarli unicamente alla santificazione propria, e degli altri, all'utilità della Chiesa, e alla propagazione della gloria di Dio .
Vita del Beato Gregorio Barbarigo 
di F. Tommaso Agostiono Ricchini
trad.e Abbate Prospero Petroni




Un miracolo dell'eremita Benedetto?




di Marco Tosatti per Vatican Insider
Un giovane americano – adesso ha diciannove anni, e sta frequentando il secondo anno di università - sarebbe stato guarito da un tumore al torace grazie a Benedetto XVI, che durante un'udienza a Roma, l'anno scorso, l'ha  incontrato, ascoltato la sua storia e gli ha imposto la mano proprio sul torace, dove si annidava il linfoma. Questa è la convinzione di Peter Srisch e della sua famiglia, che l'hanno dichiarato alla televisione statunitense KUSA, di Denver.
Peter aveva 17 anni quando i medici gli diagnosticarono, dopo un esame ai raggi X, un tumore al torace. “Ha subito un esame radiografico, e l'esame ha rivelato un tumore della grandezza di una palla da softball nel torace”, afferma la madre del giovane, Laura Srsich. “La diagnosi è stata che era uno stadio quattro del linfoma non-Hodgkins”.
Peter era in cura presso il Colorado Children's Hospital; e mentre i medici cercavano di affrontare al meglio la malattia, di lui si prendeva cura un'istituzione molto nota, la “Make-a-Wish” Foundation, che opera in circa cinquanta Paesi del mondo, e cerca di aiutare, anche psicologicamente, bambini e ragazzi che si trovano in difficoltà e stanno affrontando momenti difficili. Anche permettendo loro di realizzare un desiderio particolarmente sentito. La Make-a-Wish Foundation è nata ed opera dal 1993, con una grande diffusione nei Paesi anglossasoni ma non solo.
Racconta Laura Srsich che quando ne ha parlato a Peter non ci sono state esitazioni: “La prima cosa che Peter ha detto è stata: 'Mi piacerebbe andare a incontrare il Papa a Roma'”. E' un desiderio relativamente facile, e così un anno fa, a maggio, Peter e sua madre si trovavano in piazza San Pietro per l'udienza generale presieduta da Benedetto XVI. E hanno potuto incontrare e parlare con papa Ratzinger.  Peter ha avuto un'impressione fortissima dal colloquio. “Quando mi sono alzato, per parlargli, sono stato colpito dalla sua umanità – racconta. - E' stata un'esperienza di umiltà per me vedere quanto era umile”. Il Pontefice ha ascoltato, mentre Peter gli raccontava le circostanze del suo viaggio, e della sua malattia. Il ragazzo ha poi offerto a papa Ratzinger un bracciale da polso, verde, su cui erano stampate le parole: “Pregando per Peter”. E il Papa lo ha benedetto.
Ma non si è trattato di una semplice benedizione, secondo Peter e la sua famiglia; o perlomeno, i suoi effetti sono stati particolarmente efficaci. Ecco ciò che è accaduto nelle parole del protagonista: “Poi mi ha benedetto. Ha messo la sua mano destra proprio sul torace, dove avrebbe dovuto trovarsi il tumore. Non poteva sapere dove era collocato il tumore, ma ha messo la sua mano proprio là”. 
Un anno è passato; Peter è completamente guarito dal cancro, è al secondo anno di università e spera un giorno di essere ordinato sacerdote. Nel frattempo Benedetto XVI ha lasciato l'incarico di vescovo di Roma, e quindi di Papa; e anche questa decisione, secondo Peter, rafforza l'impressione che ha avuto dall'incontro. Peter pensa che così facendo Benedetto ha posto la Chiesa cattolica avanti a se stesso, e alle sue esigenze personali. Un gesto di grande umiltà. “Mi ricorderò sempre di lui come di uno degli uomini più umili del mondo, e in particolare per l'atto che ha appena compiuto”, dice Peter.
Un episodio analogo, di guarigione da un tumore, si ricorda anche di Giovanni Paolo II. In quel caso la persona interessata era un anziano ebreo americano, che sarebbe guarito da un tumore al cervello dopo aver presenziato a una messa “privata”, quella della mattina presto, di Giovanni Paolo II e aver partecipato all'eucarestia.
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