Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

La Santa Eucarestia, il fastigio del sacro



Uno scrittore francese ha detto una volta: "si potrebbero risolvere tutti i problemi del mondo se l'uomo facesse una cosa sola, e questa cosa è adorare Dio." Questo è lo scopo della creazione dell'Uomo e degli Angeli. Questo scopo si raggiunge in parte già sulla terra, ma nella sua pienezza nel cielo, l'Adorazione è l'onore manifestato ad un Altro in virtù della Sua eccellenza superiore, per mostrare la propria sottomissione a Lui.
L'Adorazione è sia interna, cioè mentale, sia esterna cioè corporale. L'Adorazione interna è più importante di quella esterna, ma tutte e due sono dovute a Dio dall'uomo perchè l'uomo è composto dalla mente e dal corpo, e deve adorare Iddio pienamente, ossia con mente e anima altrettanto. Di fatti l'atto esterno di adorazione è necessario per eccitare il nostro affetto per sottomettersi a Dio, e l'adorazione interna, se è autentica, ci preme a manifestarla in gesti esterni.
L'obbligo di adorare Dio è la conseguenza della Sua eccellenza superiore che esige la nostra pienissima sottomissione. Questo obbligo viene stesso dal primo Comandamento: "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio avanti a me", perchè questo Comandamento ci ordina di adorare Lui solo come nostro supremo Signore, viene espresso ugualmente nel Deuteronomio con le parole citate dal nostro Signore Gesù Cristo a Satana: "adora il Signore Dio tuo, e a Lui solo rendi culto" (cfr. Tentazioni di Gesù nel deserto, riportate nei vangeli di: Matteo 4,1-11, Marco 1,12-13 e Luca 4,1-13).

L'Adorazione si rende a Dio in tutti gli atti del culto divino, e in un senso particolare nel culto del Santissimo Sacramento e che, per ricordare, non è ne segno, ne figura, ne virtù, non è pane che contiene Dio, come tutte le cose contengono Dio, non è pane benedetto, non è pane sacro, non è neanche la divinità sotto le apparenze di pane, ma Gesù Cristo sotto l'apparenza di pane nella Sua divinità e la sua umanità diventato Sangue ed Anima, per questo il Santissimo Sacramento esige il culto particolare dell'adorazione.

La Santa Eucarestia è, come scrive Romano Amerio: "il fastigio del sacro, il mezzo per cui tutte le anime vengono condotte indietro all'Uno Dio, che è la loro origine, non c'è niente che è più grande, più glorioso, ne più prezioso sulla terra, se abbiamo trascurato la Santissima Eucarestia, abbiamo trascurato tutto!"

L'atto principale dell'Adorazione è il Sacrificio nel quale la sottomissione dell'uomo a Dio viene espressa, nel senso stretto, nella distruzione di una cosa sensibile che rappresenta l'uomo stesso, così l'uomo riconosce la perfezione infinita e la maestà dell'Essere Divino, il Suo sovrano dominio sopra l'uomo, che è venuto all'esistenza che esiste e che è stato salvato per mezzo Suo.
 
Il Sacrificio perfetto, l'atto di Adorazione perfetto è quello del Calvario, perchè è il Sacrificio di Dio a Dio, il puro e il perfetto Sacrificio, il Sacrificio per eccellenza. Questo Sacrificio viene perpetuato nel santo Sacrificio della Messa che è lo stesso Sacrificio. A questo Sacrificio l'uomo partecipa: il celebrante in modo sacramentale e spirituale, il fedele in modo spirituale. La partecipazione spirituale a questo Sacrificio consiste nel sacrificare se stessi in unione col santo Sacrificio del Calvario. Quanto sublime è la nostra vocazione cattolica, non per nulla siamo obbligati ad assistere alla Santa Messa ogni settimana!

Adoriamo dunque Dio durante la Santa Messa, e ogni giorno col sacrificio di noi stessi e di tutta la nostra vita, tutta la nostra persona, le gioie e le pene, affinchè un giorno possiamo adorarLo pienamente in Cielo con gli Angeli, secondo lo scopo unico della nostra creazione.

tratto dall'omelia del 6 gennaio 2011, di don Konrad Zu Loewenstein (FSSP), via http://sansimonpiccolo.blogspot.com/
 

"Reverendo, mi benedica... la piramide"


Quando l'ecumenismo traballa tra templi (meditativi) abusivi e pseudo sette: a coronare le fiabesche vicissitudini della "piramide di luce" si aggiunge un don Tarsillo con l'aspersorio.

Oltre la scomoda ed errata etichetta di «setta», verso la direzione del sincretismo spirituale. Ricerca energetica e religione cristiana si sono unite, domenica scorsa [28 agosto], alla Piramide di Luce di Valnogaredo. La struttura, gestita dall’omonima associazione vicentina e destinata alla demolizione in quanto abuso, è stata al centro di una suggestiva celebrazione culminata con la benedizione cristiana di don Tarsillo Bernardi, sacerdote nativo di Zovon di Vo’. Parroco a Lamon, nella diocesi di Feltre, il religioso di 65 anni ha contattato i responsabili della piramide: «La piramide non è legata ad alcun credo religioso - sottolinea il presidente dell’associazione Mauro Lando - Accogliamo ogni genere di chiesa e di fede. Don Tarsillo ha voluto incontrarci e ha condiviso alcune delle nostre idee, soprattutto in seno alla ricerca spirituale ed energetica. Al termine di questo piacevole dialogo si è proposto di benedire la piramide». Don Tarsillo ha letto un brano di San Paolo dedicato all’ecumenismo: alla lettura sono poi seguite alcune preghiere spontanee dei presenti e la benedizione. A maggio nella piramide si era invece celebrato il wesak, festa che si lega molto alla tradizione buddista.

testo di Nicola Cesaro, dal Mattino di Padova.



Scola Arcivescovo di Milano: le dinamiche di una nomina


In attesa della nomina del nuovo Patriarca di Venezia, riviamo le tappe (pur sempre presunte) che hanno portato il Cardinal Scola sulla Cattedra di Ambrogio.

di Marco Tosatti (Vatican Insider)
Non c’è estate senza il suo tormentone, e quello del 2011, almeno per quanto riguarda il nostro mondo vaticano sembra incentrato su Benedetto XVI, la diocesi di Milano e la nomina del cardinale Angelo Scola, già patriarca di Venezia a succedere a Dionigi Tettamanzi. Benedetto XVI, dicono alcuni illustri colleghi, avrebbe deciso di scegliere Scola a causa di una sapiente campagna mediatica, e non in base a convinzioni personali. Ne hanno scritto Andrea Tornielli (per confutare la tesi) Aldo Maria Valli, Giancarlo Zizola e don Filippo di Giacomo, last but not least. Dal momento che non c’è niente di più affascinante che partecipare alla nascita di una leggenda mi permetto di portare anch’io il mio contributo, basato sugli appunti di una serie di conversazioni avute negli ultimi dieci mesi al di là del Portone di Bronzo.
La prima volta che mi è stato indicato che Benedetto XVI avrebbe gradito affidare l’eredità ambrosiana al patriarca di Venezia è stato agli inizi del dicembre 2010. Una fonte molto vicina all’Appartamento mi informava del fatto che “alla fine di febbraio verrà annunciato il successore del cardinale Dionigi Tettamanzi”. Tettamanzi avrebbe, sempre secondo questa fonte, inutilmente tentato di ottenere da Benedetto XVI un’ulteriore proroga al suo mandato a Milano. Tettamanzi era ufficialmente scaduto il 14 marzo 2009; era ancora arcivescovo di Milano, per cui si trovava oltre un anno e mezzo dalla sua scadenza ufficiale, e aveva suggerito a papa Ratzinger un altro periodo di prorogatio.
Benedetto XVI non aveva apprezzato; tanto che ha dato disposizione di informare in maniera un po’ fredda e formale, visti gli usi vaticani, l’arcivescovo. Ha suggerito che il Nunzio in Italia annunciasse con lettera all’arcivescovo il pensionamento nei primi mesi del 2011. Sin da quel momento mi è stato fatto il nome di Scola come candidato preferito e “in pectore” di Benedetto XVI; e mi è stato chiesto di non rivelare questa preferenza, proprio per non correre il rischio di bruciare un candidato che avrebbe certamente ricevuto un’accoglie mista, quanto a calore….
Intanto partiva la corsa per la successione. E in realtà l’ha aperta ufficialmente Tettamanzi, in realtà, chiedendo al neo cardinale presidente del pontificio Consiglio per la Cultura, Gianfranco Ravasi, di tenere un pontificale nel duomo di Milano. In pratica, l’ha “lanciato” come suo successore. L'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi gli ha rivolto questo saluto in duomo: "Molti tra i presenti, o forse tutti, sacerdoti, persone consacrate, fedeli laici e anche non credenti - ha detto - hanno trovato in te, direttamente o tramite i tuoi scritti, un autentico maestro della Parola. Tu ci hai insegnato a vedere la Parola di Dio come il Verbo che si fa carne nella cultura dell'uomo. Partendo dalle parole, dai concetti, dai simboli, dai sentimenti, persino dai sogni degli uomini - con tutte le infinite sfumature che l'esperienza umana assume nel corso del tempo e nello spazio - Dio si è rivelato con la potenza della sua Parola”.
Ravasi per un po’ ha accarezzato l’idea, e in quella che è stata la sua prima uscita pubblica da cardinale, Ravasi ha voluto ricordare il suo legame con la città e la diocesi ambrosiana. «Sono felice di essere oggi qui in Duomo dove ho mosso i miei primi passi da sacerdote», ha detto parlando a braccio dal pulpito e ringraziando Tettamanzi per le parole di affetto che gli ha rivolto all'inizio della celebrazione. “La mia diletta città potrebbe fare benissimo a meno di me, ma sono io che non posso fare a meno di essa perché mi pulsa nelle vene e nel sangue”. 
Ma il 24 febbraio scrivevo ( e quindi le informazioni erano relative a qualche giorno prima) che l’ipotesi Ravasi era stata affossata in maniera definitiva da Benedetto XVI, nonostante la suadente sponsorizzazione del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone (sempre secondole fonti). “Ubi est, maneat”: con questa frase latina Benedetto XVI avrebbe risposto al suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, che in una conversazione faceva emergere il nome dell’illustre biblista come successore del card. Tettamanzi alla diocesi ambrosiana.

E scrivevo: “Il Papa avrebbe infatti escluso anche un trasferimento a Venezia, nel caso che si rendesse libero il seggio patriarcale. Che potrebbe, eventualmente, rendersi disponibile se il Pontefice decidesse di chiedere al Patriarca, il card. Angelo Scola, di assumere il non facile compito di gestire la diocesi ambrosiana. L’esclusione di Ravasi, che sembrava un candidato “naturale” sotto la Madonnina, e che godeva appunto della simpatia del braccio destro di Benedetto XVI, rende più complicato il puzzle della sostituzione”.
In realtà la battaglia per Milano è cominciata allora. Ed è consistita soprattutto nel “come” far giungere il patriarca di Venezia sotto la Madonnina, senza che sembrasse un gesto d’imperio di un Papa ben deciso, ma prudente, e desideroso di far arrivare in porto un candidato che sapeva non ben voluto da tutti nella capitale economica. Anche perché nella questione di Milano entravano in parecchi, a cominciare dal nunzio in Italia e a finire a cordate diplomatiche in Curia. In questa luce è da leggere l’allargamento della Plenaria della Congregazione per i Vescovi a un bouquet di nuovi membri, cardinali e non, destinati a rinforzare la candidatura di Scola. Allargamento giunto proprio, e non per caso, alla vigilia della “Plenaria” da cui poi è uscita la candidatura immediatamente accolta – e come poteva essere diversamente? – da papa Ratzinger. Nei giorni trascorsi fra la Plenaria e l’annuncio ufficiale tutti coloro che non amavano un candidato “conservatore” a succedere a Martini e Tettamanzi si sono dati da fare con parole opere e voci. Compresa quella di un possibile “gran rifiuto” dell’ultimo minuto del futuro arcivescovo di Milano. E, a parte questo, l’ipotesi di Benedetto XVI che si fa condizionare dai giornali (che sappiamo quanto ama e stima….) nella scelta di un vescovo, e del presule della più grande diocesi del mondo, mi sembra un tantino irreale. Ma è solo un’opinione personale.

Storie di ordinaria contabilità: tra Croazia e Santa Sede "è un casino"


di Michele Poropat
 

«Per dirla con una parola, è un casino». Così ha commentato un esperto giuridico interrogato dal giornale Glas Istre sulla disputa tra i benedettini di Praglia da una parte e la diocesi di Parenzo-Pola e la parrocchia di Daila dall’altra. L’estemporanea decisione del Ministro della giustizia croato Bosnjakovic di decretare nulle le delibere della Regione istriana emesse dal 1999 al 2002 che avevano sancito la restituzione dei beni alla diocesi istriana, con la motivazione, tra l’altro, che l’indennizzo ricevuto dai benedettini in applicazione dei Trattati di Osimo e di Roma rende nulla la restituzione, non solo non ha portato chiarezza, ma ha reso la situazione, se mai possibile, ancora più intricata. In primo luogo, il decreto del ministro non è esecutivo, ma dovrà seguire il normale iter procedurale presso il Tribunale Municipale di Buie dopo che saranno esaurite le altre cause in corso sulla questione; inoltre su tale decreto le parti in causa, se insoddisfatte, potranno aprire un contenzioso amministrativo della durata imprevedibile. Naturalmente si dovrà tenere conto anche del parere dell’Unione Europea, la quale, è opinione diffusa, boccerà questo provvedimento e costringerà il governo croato a una nuova e imbarazzante marcia indietro.
Questo provvedimento, emesso più che altro a fini propagandistici, ha momentaneamente placato l’ira popolare, ma rischia di essere pagato a caro prezzo. Uno Stato, infatti, che delibera la restituzione di beni, e dopo quasi quindici anni ne riassume il controllo giustificando la nuova misura con errori amministrativi compiuti nel corso del processo di restituzione, fa mancare a potenziali investitori nel mercato immobiliare il principio della certezza del diritto. Va ricordato infatti che la dichiarazione di nullità delle delibere di restituzione dei beni determina automaticamente l’invalidamento dei contratti di vendita e di locazione dei beni stipulati nel frattempo. Se poi lo Stato decidesse di adottare la soluzione proposta dall’istrionesco Presidente della Regione Istriana, Jakovcic, di salvaguardare cioè la validità dei contratti già stipulati nonostante la sopravvenuta nullità delle delibere di restituzione, si creerebbe un caos amministrativo senza precedenti, e la Croazia, proprio mentre si avvicina il momento del suo ingresso nell’Unione Europea, dimostrerebbe di essere una vera e propria Repubblica delle banane.
Jakovljevic destituito
L’altra importante notizia dell’ultima settimana è sicuramente la destituzione del reverendo Ilija Jakovljevic [nella foto] dalla carica di cancelliere della diocesi istriana.
Nato in un villaggio nei pressi di Jajce, in Bosnia, Jakovljevic era l’astro nascente del clero istriano e sembrava destinato a una luminosa carriera ecclesiastica. Ordinato sacerdote nel 2003, viene subito inviato a Roma, dove studia diritto canonico presso la Gregoriana. Dopo essersi laureato, torna in Istria e diventa subito il braccio destro del vescovo Milovan. Cancelliere della diocesi dal 2005 a soli ventisei anni, gli vengono affidati numerosi altri incarichi della Curia diocesana.
A fine luglio scoppia lo scandalo di Daila. Il giovanotto conosce bene le ferite del suo popolo e quali corde toccare per volgere a proprio favore l’intera opinione pubblica, ed è abile nel manipolare i mass-media, trasmettendo le parole d’ordine che la stampa e la televisione, ivi incluso l’ente radio-televisivo pubblico, la HRT, propineranno al popolo nelle settimane successive in un impeto propagandistico mai visto dai tempi del comunismo.
Le prime parole a effetto di Jakovljevic sono drammatiche: le condizioni dell’accordo con i benedettini imposto da Roma e non sottoscritto dal vescovo Milovan provocherà la bancarotta della diocesi, i beni di questa verranno pignorati e il vescovo sarà sloggiato dalla propria sede. «Non ci rimarrà che vendere la cattedrale eufrasiana di Parenzo» conclude il cancelliere. Egli afferma inoltre che il Papa ha preso questa decisione in qualità di Capo di Stato e non di suprema autorità religiosa della Chiesa cattolica, e facendo questo egli ha danneggiato gli interessi nazionali croati a vantaggio di un soggetto giuridico straniero. Egli associa i benedettini di Praglia a un’organizzazione criminale: Il fatto che la società commerciale di riferimento dei benedettini in Istria abbia la propria sede a Pola ma il conto corrente in Germania «puzza di riciclaggio di denaro sporco». Non meno pesanti sono gli apprezzamenti che il giovanotto riserva alla commissione cardinalizia, della quale era membro l’arcivescovo di Zagabria, cardinal Josip Bozanic, le conclusioni della quale hanno rappresentato la premessa per la decisione finale del Papa: «La commissione cardinalizia ha fatto in modo che i beni della Diocesi di Parenzo-Pola vengano divisi, cioè rapinati». Dopo una riunione del clero istriano a Pisino, Jakovljevic dichiara: «Il clero istriano ha deciso all’unanimità di restituire i beni allo Stato, perché esso ne ha diritto, e anche se non ne avesse diritto, li restituiremo lo stesso».
I mass-media all’attacco
I mass-media croati raccolgono le parole d’ordine provenienti da Parenzo e le diffondono con una martellante ripetitività accompagnata da un’incessante e sistematica denigrazione dei principali nemici, vale a dire Papa Benedetto XVI, il card. Bozanic e gli italiani. Così i giornali affermano che il Vaticano «provoca la bancarotta della Diocesi di Parenzo-Pola», che il Papa, autorità straniera, ribalta le sentenze dei tribunali croati e regala la terra croata agli italiani. Seguendo per filo e per segno gli slogan suggeriti di Jakovljevic, i benedettini italiani, e in seguito, gli "italiani" diventano "irredentisti", e la posta in gioco non sono più i terreni della parrocchia di Daila, ma l’Istria e la Dalmazia. La Santa Sede viene quindi accusata di essere influenzata dalla lobby irredentista italiana e di attentare alla sovranità e all’integrità territoriale della Repubblica di Croazia, e il Vaticano viene quasi messo sullo stesso piano della Serbia che vent’anni fa aveva invaso e messo a ferro e fuoco il territorio croato e provocato moltissimi lutti. La HRT giunge ad affermare che «il Vaticano ha preso controllo della Chiesa in Croazia», fatto che alle orecchie del cittadino croato medio influenzato dalla propaganda di questi giorni suona come la presa di possesso di una porzione di territorio croato da parte di una potenza straniera.
Viene insinuato che la fedeltà al Papa sia segno di scarso attaccamento alla Patria, e per questo motivo il cardinal Bozanic viene esposto al pubblico ludibrio quale traditore della Patria, persona spregevole che vende l’interesse nazionale per ingraziarsi la Curia romana e assicurarsi una carica di prestigio presso il Vaticano. Ricordando la sua nomina a sorpresa ad arcivescovo di Zagabria nel 1997 - in precedenza era stato vescovo della piccola Diocesi di Veglia, nel Quarnero - la stampa giunge perfino ad affermare che il Vaticano lo abbia inviato a Zagabria al solo scopo di favorire i nemici della Croazia.
Il punto più basso del giornalismo-spazzatura croato di queste settimane viene tuttavia raggiunto dal Vecernji List il quale riporta la raccomandazione di «amici molto stretti» - così si esprime il giornale - del vescovo Milovan a quest’ultimo di non andare in giro, soprattutto di non circolare in automobile «affinché non avvenga un "casuale" incidente stradale» poiché egli «si è trovato nella situazione poco invidiabile di essersi messo di traverso a interessi molto cospicui». In parole povere, si accusa la Santa Sede, il cardinale Bozanic e i benedettini italiani di progettare ll'omicidio di mons. Milovan. Ogni commento è del tutto superfluo.
Pure dei cattolici
In queste settimane tempestose anche molti ambienti cattolici hanno aderito appieno a questa improvvisa orgia nazionalistica, anti-italiana e anti-romana che ha preso possesso del popolo croato, da sempre animato da nobilissimi sentimenti di amore per la Patria e contemporaneamente da un legame a doppio e triplo filo alla Sede Apostolica e al Papa, e che in passato assai raramente era stato conquistato dal demone del nazionalismo.In un manifesto pubblicato da sedicenti "intellettuali cattolici" (tra i non molti firmatari vi sono anche ex calciatori, pensionati, militari in pensione, qualche ingegnere, sembra insomma che il concetto di "intellettuale" in Croazia abbia un significato estremamente elastico) si afferma tra l’altro che «il fatto che gli italiani abbiano dietro le quinte una grandissima influenza in Vaticano è segno che hanno deciso di venire a prendersi una parte del litorale e della Dalmazia, e il modello Daila rappresenta solamente il primo passo».In un'intervista al quotidiano Jutarnji List, il noto teologo e sacerdote Adalbert Rebic, dopo avere affermato che non fa parte del servizio petrino decidere su questioni di proprietà, accusa il cardinal Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, di avere agito nella questione Daila contro gli interessi croati in quanto di nazionalità slovena. Sui benedettini un tempo residenti nel convento di Daila, sebbene perseguitati ingiustamente, Rebic osserva che nessuno li ha obbligati a lasciare l’Istria - il cardinal Stepinac aveva preferito rimanere prigioniero pur di non lasciare il proprio Paese. A questo proposito commenta Jurica Pavicic sul giornale Slobodna Dalmacija: “Adalbert Rebic non è capace di mostrare la benché minima compassione né verso persone della sua stessa fede, sacerdoti della sua stessa confessione, né verso persone che sono fuggite dinanzi a un'ideologia che egli stesso considera odiosa, e della quale esse sono state vittime. Tuttavia, vi è un motivo, senza possibilità di appello, per cui tutti questi motivi di empatia non valgono più e che fa in modo che i monaci di Praglia siano nemici: essi sono italiani, e in Istria, come in Dalmazia, si sa che gli italiani sono nemici».Ivan Markesic, laico, professore presso la Facoltà di filosofia della Società di Gesù a Zagabria, ha scritto sul portale cattolico-progressista Križ Života: «Dopo tutto quello che fa Papa Benedetto XVI ai croati, ai sacerdoti istriani e al loro vescovo, e di conseguenza allo Stato croato e ai suoi cittadini, in verità ogni croato cattolico, ma anche ogni altro cittadino croato di qualsiasi religione, dovrebbe dirgli: grazie, Santo Padre, davvero grazie per averci rapinato».
Sembra incredibile, ma anche per la maggioranza dei cattolici croati, la richiesta di un ordine religioso italiano affinché gli vengano restituiti terreni dei quali un tempo era proprietario, rappresenta una minaccia all’integrità territoriale della Croazia e diventa il primo passo verso una fantomatica invasione italiana del Paese. Essi sono talmente condizionati dalla propaganda, che servirebbe a poco spiegare loro che, seguendo questo linea di pensiero, la Croazia minaccerebbe l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina giacché la diocesi croata di Gospic-Segna ha quattro parrocchie – e quindi anche delle proprietà – in questo Paese, oppure quella della Slovenia, in  quanto fino al 2004 l'Arcidiocesi di Zagabria ha chiesto senza successo allo Stato sloveno, e in seguito alla Corte di giustizia europea, la restituzione del castello di Mokrice, posto appena al di là del confine in territorio sloveno, e di sua proprietà fino al 1945 quando era stato confiscato dal regime comunista (fino al 1991 Slovenia e Croazia appartenevano allo stesso Stato).
Omissioni strategiche
L’alone di mistero, le falsità e le omissioni strategiche a proposito dei beni oggetto della contesa fanno pensare che a Parenzo abbiano qualcosa da nascondere, e che proprio per questo motivo abbiano scatenato un polverone con argomentazioni così inverosimili.
L’ex cancelliere Jakovljevic ha millantato l’assoluta unità del clero istriano a sostegno del suo vescovo, fatto che, secondo fonti solitamente bene informate, è da escludersi - tra l’altro, a Pola vi è il seminario e il centro di formazione per la Croazia dei Cammino Neocatecumenale, che è fedelissimo al Papa e fortemente contrariato dal modo di agire del vescovo Milovan.
Fino alla rivelazione della cronistoria degli eventi da parte di Glas Koncila, settimanale dell’Arcidiocesi di Zagabria diffuso in tutta la Croazia e Bosnia-Erzegovina, la diocesi ha taciuto di essere stata in contatto con l’Abbazia fin dall’anno 2000 per trovare un accordo su un’equa divisione dei beni, che dopo un lungo tira e molla fu sottoscritto nel 2006 a seguito della mediazione delle congregazioni vaticane per gli istituti di vita consacrata e dei vescovi, e che tuttavia era rimasto lettera morta.
La richiesta di restituzione dei beni dell’ex abbazia benedettina avanzata dalla Chiesa locale avanzata nel 1997 appare chiaramente illegittima anche perché accompagnata da una dichiarazione mendace della diocesi secondo la quale la parrocchia di Daila rappresentava l’erede e la continuatrice materiale e spirituale dell’ex abbazia benedettina – tale circostanza è tra l’altro una delle motivazioni addotte dal ministro Bosnjakovic per l’emissione del decreto di nullità delle delibere di restituzioni dei beni. Questi ultimi, infatti, già dal 1945 risultano avere nei libri fondiari un legittimo proprietario, appunto l’Abbazia di Praglia, e nel caso in cui poi fosse risultata la non restituibilità dei beni ai benedettini italiani sulla base dei trattati di Osimo e di Roma, questi non potevano essere restituiti neppure alla parrocchia di Daila.
Vale la pena quindi sottolineare il comportamento gravemente scorretto della diocesi, la quale ha fatto richiesta di restituzione di beni che non erano mai stati di sua proprietà e che non le spettavano, e che in seguito, quando per l’intervento della Santa sede si è trovata costretta a cedere una parte di questi beni al legittimo proprietario, ha segnalato la non restituibilità degli stessi ai benedettini di Praglia sulla base delle norme dei trattati internazionali, mostrando così di avere sempre saputo di avere ricevuto i beni in modo illegittimo – se non erano legittimati i benedettini, tanto meno lo erano la diocesi e la parrocchia – e di avere sempre taciuto su questo fatto.
Il "Bosco dei Frati"
Una storia che presenta vari aspetti singolari e fuori dal comune è quella della vendita dell’area chiamata "Bosco dei frati". Dopo avere acquisito questi beni, la diocesi ha venduto quest’area a una società da essa stessa fondata, chiamata Golf-Istra - quindi una “vendita a se stessi”, un trucco contabile che aveva tra l’altro il vantaggio di togliere da subito ai benedettini italiani la disponibilità di una delle porzioni più preziose dei beni oggetto della contesa. La sede di questa ditta era a Zagabria presso lo studio dell’avvocato Branko Skarica, il quale nel 2003 l’ha acquistata, ivi incluso naturalmente il "Bosco dei Frati", per 22 milioni di kune, pari a circa 3 milioni di euro. Quattro anni dopo il comune di Verteneglio, nel cui territorio si trova il "Bosco dei Frati", ha deciso la trasformazione dell’area da terreno a uso agricolo ad area destinata, guarda caso, a ospitare un campo da golf nonché strutture ricettive e alberghiere di lusso a esso collegate. Naturalmente dopo questa decisione il prezzo della Golf-Istra è lievitato a dismisura, e l’avvocato Skarica l’ha rivenduta alla società Makro 5 di Buie per 91,5 milioni di kune, pari a poco più di 12 milioni di euro, più di quattro volte il valore originario.
Il reverendo Jakovljevic nega che con la fondazione della ditta Golf-Istra si sia inteso destinare i terreni del "Bosco dei Frati" appunto a un campo da golf. Lasciamo quindi volentieri al Procuratore Generale della Repubblica di Croazia, Bajic, che ha già iniziato a interessarsi di questo caso, l’arduo compito di verificare se la trasformazione della destinazione d’uso dei terreni del "Bosco dei Frati" in un campo da golf che coincide con la ragione sociale della ditta fondata dalla diocesi istriana alcuni anni prima, con il conseguente quadruplicamento del valore della ditta medesima, siano frutto di rivelazioni mistiche, fortunate congiunzioni astrali o di accordi sottobanco, ivi incluso un processo di “oliatura” dei processi decisionali del Comune di Verteneglio. Allo stesso modo, attendiamo di sapere se la strana coincidenza tra la prima sede della Golf-Istra (lo studio dell’avvocato Skarica) e l’acquirente, in seguito rivenditore della ditta a un prezzo quattro volte superiore (ancora l’avvocato Skarica), sia dovuto al fatidico bacio della dea bendata in favore di questo avvocato o a un meccanismo con il quale le due parti hanno potuto ottenere, attraverso una (nuova) vendita fittizia, illeciti vantaggi di natura fiscale o di altro tipo. 
In una lettera agli altri vescovi croati, Mons. Milovan scrive che con il decreto del Ministero della giustizia la questione oggetto del contenzioso sia conclusa, e si augura che “tutti accetteranno la decisione della Repubblica di Croazia e che in questo modo abbia termine questa disputa che ha provocato un grande danno all'intera Chiesa”. Non sappiamo se il vescovo di Parenzo vive in un universo parallelo, senza contatto con la realtà, o finga di non capire. Come abbiamo scritto, il decreto governativo è ben lungi dall’essere esecutivo, e probabilmente non lo diventerà mai. Per la diocesi istriana è meglio così. In caso contrario, la nullità di tutti i contratti stipulati porterebbe, tanto per citare solamente il caso della ditta Macro 5, a citazioni per danni per decine di milioni di euro, più l’obbligo di restituire i 12 milioni di euro che essa ha speso per l’acquisto della Golf Istra. In tal caso sussisterebbe il rischio concreto che la diocesi finisca in bancarotta, mentre l’applicazione della decisione della Santa Sede sarebbe stata quasi indolore in quanto non avrebbe minimamente mutato lo status quo dei terreni già venduti o dati in locazione - proprio per la porzione di beni non restituibili l'accordo prevedeva infatti il pagamento ai benedettini di circa cinque milioni di euro.
Il "simbolo dell’istituzione"
«Non cederemo mai l’abbazia, poiché essa è il simbolo dell'istituzione» ha affermato solennemente Jakovljevic. Parole profetiche, poiché essa è certamente il simbolo di un’istituzione, la Chiesa locale di Parenzo, divenuta modello dell’affarismo che sempre più spesso contagia l’ambiente ecclesiale.
La verifica delle particelle catastali che la diocesi deve restituire ai benedettini ha riservato più di una sorpresa. Anzitutto è apparso evidente che, al contrario di quanto affermato in un primo tempo da Parenzo, l’abbazia non solo non è destinata a essere restituita ai religiosi italiani, ma anche che il “simbolo dell’istituzione” è di proprietà della società a responsabilità limitata Benedikt d.o.o. Con un'informazione volutamente imprecisa e fuorviante, il vescovo Milovan afferma che soci della ditta sono la Diocesi austriaca di Linz nonché ovviamente la diocesi locale e la parrocchia di Daila. In realtà il socio austriaco non è la "diocesi" di Linz, bensì una sua fondazione, la Bischöfliche Stiftung St. Severin che dal 2010 è stata fusa con un’altra fondazione diocesana per dare vita alla Diözesane Immobilienstiftung, la fondazione immobiliare (!) della diocesi austriaca, nel cui Statuto, si afferma che tra l’altro che tra le sue attività vi è “la promozione e l’esecuzione di opere edilizie di ogni genere” (§2 paragrafo 4 comma b) in Austria e all’estero. Quale sia la quota di partecipazione della fondazione austriaca non è dato a sapersi – un mistero che serve forse a nascondere che la quota di maggioranza è in mano agli austriaci, anche loro stranieri? L’attività prevalente con la quale la Benedikt d.o.o. è stata registrata è quella alberghiera e turistica, tuttavia questo “simbolo dell’istituzione” si occupa anche di altri affari, che riteniamo non propriamente “pastorali”, quali la costruzione di appartamenti da dare in locazione, la frutticoltura, la produzione di bevande, attività sportive, ricreative e turistiche e servizi di cambio valute, l’edilizia, la locazione di navi e l’intermediazione per l’ottenimento di passaporti e visti. Non vorremmo che un’indagine più approfondita facesse venire alla luce, come nel caso della Diocesi di Maribor, intrecci finanziari e attività ancora meno ortodosse. Ci limitiamo a osservare che l’attività principale della società, quella alberghiera e turistica, può fare pensare che l’obiettivo finale sia stato quello di trasformare l’abbazia e i terreni circostanti in un albergo di lusso – progetti che, come è accaduto anche per il campo da golf nel "Bosco dei Frati", dopo la decisione della Santa Sede in favore dei benedettini italiani sono probabilmente andati in fumo.
Il silenzio dei vescovi croati
Stupisce profondamente e amareggia che nessun vescovo croato, ad eccezione del cardinal Bozanic, in queste settimane abbia speso una sola parola in difesa del Santo Padre, oggetto dei violentissimi attacchi dei media croati di cui abbiamo parlato in precedenza, e non rappresenta certo una giustificazione il fatto che i vescovi si siano auto-imposti il silenzio sulla vicenda di Daila, poiché la difesa della persona e della figura del Papa travalica le legittime differenze di opinioni che nell’episcopato possono sussistere sulla vicenda.
L’episcopato croato, un tempo tra i più fedeli al Papa e alla Santa Sede, ha in questo modo intrapreso a passi spediti il cammino che lo porterà presto o tardi a cadere nel precipizio nel quale già da molto tempo si trovano gli episcopati dei vicini Paesi mitteleuropei - Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Olanda e altri ancora - per i quali, salvo qualche eccezione, l’unione con il Papa e la Santa Sede sono ormai solamente formali.
La propaganda dei mass-media, avviata e guidata da Parenzo, ha intaccato la fiducia e l’amore del clero e dei fedeli verso il Papa e la Santa Sede, che nel corso dei secoli ha rappresentato una parte integrante dell’amore del popolo croato verso la propria Patria. E’ tremenda la responsabilità del vescovo di Parenzo e del suo ex-cancelliere per il fatto di essere riusciti là dove avevano fallito, tra gli altri, Fozio all’epoca della separazione tra la Chiesa romana e quella bizantina, e più recentemente il maresciallo Tito, e ciò solamente per coprire interessi economici e giochi finanziari poco evangelici.
Presso il popolino questa vicenda ha inoltre risvegliato e accresciuto sentimenti di ostilità nei confronti degli italiani, e siamo sorpresi nel constatare l’assenza di reazioni dell’onorevole Furio Radin, deputato della minoranza italiana presso il parlamento di Zagabria, e della Comunità Nazionale Italiana alle accuse infamanti e inverosimili lanciate contro il popolo italiano da Javkovljevic e avallate dal vescovo Milovan, che anche di questo popolo, nella porzione residente in Istria, dovrebbero essere pastori e non lupi.
Questa vicenda, che al di fuori dei confini croati non è stata compresa in tutta la sua gravità, ha forse mostrato la necessità che la Santa Sede riveda i suoi modelli di comunicazione, non più adatti a questi tempi. Come hanno notato alcuni osservatori, Jakovljevic «ha interloquito con i mass-media con estrema abilità, in modo chiaro e conciso, …  presentando i punti principali della posizione della diocesi su questo caso estremamente complesso. … Il suo modo di presentarsi e di parlare ha destato sorpresa, poiché la Chiesa di solito parla “tra le righe”». A questo abile comunicatore la Chiesa ufficiale ha risposto con due stringati comunicati del Vaticano, una dichiarazione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale croata, che tra l’altro non corrisponde al pensiero della maggioranza dei vescovi stessi, due omelie del cardinal Bozanic e un articolo di Glas Koncila. Troppo poco per sperare di contrastare la propaganda mediatica scatenata dalla diocesi istriana.
Umanamente parlando, i frutti della visita del Papa in Croazia di due mesi e mezzo fa sembrano distrutti. Ma il Signore è sempre accanto al suo popolo, e ha assicurato: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv. 12, 24). Il chicco di speranza gettato da Benedetto XVI nei cuori delle famiglie e di tutto il popolo croato darà sicuramente molto frutto, ma perché ciò accada bisogna pregare. L’appello fatto dal card. Bozanic al santuario di Marija Bistrica ai fedeli croati il 15 agosto vale per tutti: «Desidero invitarvi … a pregare per la Chiesa, per la nostra unità e comunione, e preghiamo soprattutto per il Santo Padre che in questi giorni è stato fatto oggetto di attacchi proditori e di incredibili manifestazioni di odio, di cui si è macchiata una parte dell’opinione pubblica croata. Siamo chiamati a riparare alle offese fatte anzitutto a Dio, ma anche alla Chiesa e al Santo Padre …».

testo de "la Bussola Quotidinana", immagine Corbis

Uno spritz all'Altare



Ci inviano truculenti scatti da un matrimonio caorlotto: il Celebrante invita gli sposi ad "offrire uno spritz", il classico aperitivo padovano, all'Altare. Lo sposo è un noto barman del Litorale. Tutto si svolge con perversa premeditazione. Agli ingredienti, diligentemente disposti sul corporale, si aggiunge pure la tradizionale fetta d'arancia, gestita dalla sposa. I fedeli e lo stesso Sacerdote, forse "disturbati" dai vasi sacri, cercano di seguire divertiti la spassosa scena. A cavatina conclusa, lo spritz resta sull'Altare, pure durante la Consacrazione e la Comunione del Celebrante e dei novelli sposi. L'ennesimo abominio ad una Liturgia sponsale.



Un ciclone al Montello: immagini di una perdita

L'Altar maggiore prima della tromba d'aria: la mensa, proveniente dal monastero di San Secondo in Isola a Venezia, ed il grande dossale del Massari, proveniente dalla Certosa del Montello ricomposti secondo le istruzioni del Parroco Saccardo, agli inizi dell'800.

“Se di solito le chiese della diocesi di Treviso sono povere di arredi sacri quella di Selva ne è strabocchevole ” 

La fine della Parrocchiale settecentesca di San Silvestro in Selva del Montello, in qualche scatto d'epoca. Colpita da una tromba d'aria nel pomeriggio del 24 luglio del 1930, era contenitore di opere insestimabili, acquistate dal parroco don Giovanni Saccardo agli inizi dell'800 e provenienti dalle chiese, dai conventi e monasteri soppressi in Venezia e Murano durante l'occupazione napoleonica.

La chiesa colpita dalla tromba d'aria: unici supersiti, facciata e campanile risalente al 1704.
Il lato destro dell'edificio su cui si scagliò con violenza il turbine. Sulla collina, gli alberi aterrati dalla furia del vento.

La spettacolare demolizione del campanile e degli ultimi resti dell'edificio, nel pomeriggio del 25 agosto 1934. Subito dopo la tromba d'aria si pensò ad una nuova chiesa dove disporre i beni sopravvissuti.

"A mano a mano che veniva tolta la base muraria si introduceva un sistema di travature di sostegno. Completata questa prima operazione, la base del campanile risultava per tre quarti traforata. Si riempì tutto lo spazio possibile di legna molto secca e robusta, atta a sostenere un fuoco gagliardo e prolungato, tale da intaccare il sistema di travature che ormai reggeva la torre campanaria. Già prima dell'alba del 25 Agosto fu appiccato il fuoco che arse, possente e vivace, per ore. Testimoni oculari affermano che erano verso le due di quel rovente pomeriggio quando la croce cuspidale cominciò a dondolare. In pochi secondi, cadenzati dall'emozione che serrava la gola e dall'aspettativa che turbava il respiro, si aprirono larghe crepe sul tamburo e sulla cella campanaria e quindi quasi interamente il campanile si ripiegò su se stesso diventando un cumulo di rovine da cui sorgeva un'abbondante nube di pulviscolo calcinoso."

Per approfondire, le sezioni "cenni storici" e "patrimonio artistico" del sito della Parrocchia di Selva al Montello.


immagini da sito della Parrocchia di Selva, Regione Veneto

Un lefevriano in Vaticano: a settembre l'incontro fra Papa e Fellay



di Andrea Tornielli (Vatican Insider)
Il vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X fondata da monsignor Lefebvre, è stato convocato in Vaticano per il prossimo 14 settembre. È il primo incontro di vertice dopo i colloqui dottrinali che nell’ultimo anno hanno visto confrontarsi a Roma le delegazioni della Santa Sede e dei lefebvriani.
Come si ricorderà, dal 2009 la Commissione Ecclesia Dei, che si occupa del rapporto con la Fraternità San Pio X è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede ed è stata affidata alla guida di monsignor Guido Pozzo.
I colloqui dottrinali, che hanno affrontato tutti i nodi considerati problematici dai lefebvriani, i quali ritengono che in alcuni punti il Concilio Vaticano II abbia rappresentato una rottura con la tradizione della Chiesa, si sono conclusi nei mesi scorsi.
Ora il Vaticano dovrebbe sottoporre a Fellay dei protocolli d’intesa che chiariscono i punti dottrinali leggendo il Concilio secondo quell’ermeneutica della continuità nella riforma suggerita fin dal dicembre 2005 da Benedetto XVI quale interpretazione più autentica dei testi del Vaticano II.
Soltanto se saranno superate le difficoltà dottrinali, sarà sottoposta alla Fraternità una proposta di sistemazione canonica, che risolva la situazione in cui si trovano le comunità lefebvriane. Come si ricorderà, anche se il Papa, con un gesto di benevolenza, nel gennaio 2009 ha tolto la scomunica ai quattro vescovi ordinati da Lefebvre, i vescovi e i sacerdoti della San Pio X vivono ancora in uno stato di irregolarità canonica.
La proposta che è stata studiata dal Vaticano prevede per i lefebvriani l’istituzione di una ordinariato simile a quello che il Papa ha offerto agli anglicani intenzionati a rientrare nella comunione con la Chiesa di Roma. In questo modo, la Fraternità dipenderebbe dalla Santa Sede (e precisamente dalla Commissione Ecclesia Dei) e potrebbe mantenere le sue caratteristiche senza dover rispondere ai vescovi diocesani.
L’incontro del 14 settembre, che Vatican Insider è in grado di confermare rappresenta dunque un nuovo passo nel cammino travagliato di questi anni. Ma è prematuro sbilanciarsi in quanto alle conclusioni: è noto infatti che all’interno della Fraternità San Pio X convivono diverse sensibilità e c’è una parte che considera difficile arrivare a un accordo.
Va ricordato che Papa Ratzinger, intenzionato a chiudere il mini-scisma lefebvriano, ha già compiuto due passi molto significativi nella direzione chiesta dalla Fraternità: ha liberalizzato il vecchio messale preconciliare e ha tolto le scomuniche vigenti dal 1988.

Papa, clero e gioventù: a Madrid, la Chiesa Cattolica


Le immagini di un evento straordinario: una Chiesa, guidata dal Vicario di Cristo, riunita a Madrid. Tra silenzio, preghiera e Sacramento.
A Cuatros Vientos una folla immensa si è radunata intorno al Papa. Poi, ad un tratto, la tempesta. Pioggia e vento che colpiscono la barca di Pietro, nel burrascoso mare del nuovo millennio. Ma Pietro, interrotto, resiste: veste il piviale e si volta ad adorare Gesù Eucarestia. Cala il silenzio, è pace, è gioia, è preghiera.





















immagini Daylife


"Dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla popolarità."
(Benedetto XVI, Roma, 5 giugno 2011) 

"La speranza ci liberi dalla superficialità, dall'apatia e dall'egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani."
(Benedetto XVI, Esplandade des Invalides, Parigi, 13 settembre 2008)

 

La polvere sull'organo: intervista a mons. Miserachs Grau

Organo in cornu Evangelii, Cattedrale di Verona


di Antonio Giuliano

Che in alcune messe da tempo il canto più gettonato sia quello di Claudio Baglioni, colonna sonora di “Fratello Sole Sorella Luna” di Zeffirelli, o che in alcune parrocchie cattoliche la liturgia sia scandita dagli assoli di chitarra elettrica e in taluni casi dai rullanti della batteria, ormai non è una novità.
Fa riflettere però che in questi anni non siano stati fatti passi concreti per arginare la trascuratezza dei canti delle celebrazioni e gli abusi liturgici. Soprattutto se l’allarme viene rilanciato da monsignor Valentino Miserachs Grau, 68 anni, che dal lontano 1995 è preside del Pontificio istituto di musica sacra, la scuola di specializzazione del Vaticano.


Musicista e compositore, da anni monsignor Miserachs denuncia la sciatteria in voga nelle liturgie che penalizza in modo particolare l’antica e nobile tradizione del canto gregoriano, «ormai ignorato».
Eppure sembra che ci sia una sensibilità maggiore sul tema. Di recente è uscito anche un bel libro La musica nella liturgia di Marco Ronchi (Lindau, pp. 154, euro 15) che offre una serie di indicazioni pratiche per invertire la rotta… 
Ma purtroppo la situazione non cambia. È significativo che anche i giornali laici ormai facciano una diagnosi reale del problema: in troppe chiese si ascoltano canti non adatti alla liturgia, per il testo e per la musica. Predominano strimpellamenti di chitarre e ritmi frenetici. L’ho ripetuto migliaia di volte… La verità è che da anni nei seminari non si parla di musica sacra e direi nemmeno di musica. La formazione musicale è considerata un optional. E questo spiega la scarsa sollecitudine dei sacerdoti.

Ma la Chiesa ha sempre avuto questa preoccupazione: i documenti non mancano. 
Certo, già il motu proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini, nel 1903 intendeva replicare agli stessi abusi di oggi: allora ad entrare nelle chiese era la musica operistica a cui si appiccicava poi un testo sacro. Oggi invece è la musica pop… Poi abbiamo avuto l’enciclica di papa Pio XII Musica sacrae disciplina e il Concilio Vaticano II con la normativa sulla musica sacra che in realtà riaffermava la Tradizione e ammetteva una certa creatività, ma nella pratica ha finito per essere interpretata male. In occasione del centenario del motu proprio di san Pio X anche Giovanni Paolo II nel chirografo Mosso dal vivo desiderio ha ribadito le norme in materia. Peccato però che son rimaste tutte pie esortazioni, nonostante la sensibilità di Benedetto XVI.

Che cosa si dovrebbe fare allora in pratica? 
Ci vuole un organismo di vigilanza. Molti si rivolgono a noi per segnalarci abusi. Ma il Pontificio istituto di musica sacra è deputato alla formazione, siamo una scuola di specializzazione del Vaticano. Noi possiamo solo predicare con l’esempio. Compito nostro è quello di formare musicisti: 140 alunni provenienti da ogni parte del mondo, il 60 per cento sono laici. Manca invece un organismo che faccia applicare le norme. La Congregazione del Culto dovrebbe intervenire.


Quali sono i canti poco raccomandabili in chiesa? 
Bisogna innanzitutto distinguere la musica da ciò che non lo è. Poi occorre sempre ricordare che non tutta la musica sacra va bene per la liturgia: come ad esempio il Requiem di Brahms, o le Cantate di Bach nate per il culto protestante. Ma anche l’Ave Maria di Schubert è una canzone di ispirazione religiosa, ma non liturgica. Il guaio però è che negli ultimi decenni si sono affermati canti i cui testi spesso non sono sacri ed esprimono una vaga religiosità. E nei ritmi scimmiottano la musica leggera…

C’è anche un abuso di strumenti nella liturgia? 
Ma in realtà già la Musicae sacrae disciplina suggeriva altri strumenti non “rumorosi”, come il violino o quelli ad arco, che possono accompagnare le celebrazioni insieme con l’organo. Anche un quintetto di ottoni sarebbe magnifico purché siano complementari e non sostitutivi dell’organo che rimane lo strumento principe nel sostenere e integrare la voce. Non si tratta di un pregiudizio verso altri strumenti: ma l’organo con il suo suono continuativo si adatta meglio. Non è così per il pianoforte e la chitarra che hanno bisogno di un ritmo percussivo… Figurarsi poi la batteria. Per carità, anche la chitarra suonata bene è uno strumento stupendo, ma poco adatto alla liturgia. Poi è vero che ci sono delle liturgie orientali o africane che si avvalgono delle percussioni, ma rientrano nella loro cultura.

Il suo cruccio più grande è da sempre il canto gregoriano. È sempre così pessimista sul suo recupero? 
Sì. Non vedo la volontà di riportarlo in auge come suggeriscono tutti i documenti della Chiesa. Il gregoriano ha caratteristiche imbattibili: il rispetto assoluto del testo per cui la melodia nasce unicamente per sostenerlo. Infatti il gregoriano ha una libertà ritmica che segue la dinamica della parola. Dal X secolo ad oggi sono migliaia i pezzi disponibili.
Ma vedo che ormai si fa di tutto per far dimenticare anche la celebre “Messa degli angeli”… Si adducono scuse risibili come il latino,  quando esistono le traduzioni in italiano, e comunque sarebbe un’opportunità rispolverarlo o impararlo. E il gregoriano non è affatto difficile da apprendere: i miei allievi nigeriani l’hanno esportato in Africa e mi dicono che nelle celebrazioni si commuovono…

Ma la musica “moderna” non può essere uno strumento di evangelizzazione? 
Mi fanno tenerezza tanti giovani che suonano in chiesa, perché sono animati da buona volontà. Purtroppo nessuno ha mai insegnato loro la grande polifonia sacra o il canto gregoriano. Esiste anche un volume “Celebriamo cantando”, che offre un repertorio dignitoso di canti in italiano. Canti in cui l’assemblea non deve per forza cantare tutto. Deve anche saper ascoltare la corale. Il problema è che non esistono persone qualificate per trasmettere il nostro patrimonio. Per questo ho da tanti anni auspicato la creazione di un organismo pontificio, ma senza risultati pratici. Anni e anni di conferenze in giro per il mondo, ma nessun riscontro. Eppure son convinto che se creo un coro di giovani e faccio conoscer loro il gregoriano, si gaserebbero subito. Perché i giovani ti seguono quando sono coinvolti in progetti di qualità. La bontà oggettiva del gregoriano si impone da sé e non è vittima delle mode musicali del momento.



intervista da La Bussola Quotidiana, immagini da Flickr, g. immage

Si parte dai Santuari: al via il piano del Cardinal Piacenza



"mi faccio anzitutto interprete dei sentimenti del Santo Padre Benedetto XVI"

Diffondiamo, seguendo i passi del blog messainlatino.it, l'imperdibile lettera indirizzata dal Cardinal Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, ai Rettori dei Santuari. 

Reverendi Rettori,

Desidero rivolgere a ciascuno di Voi il mio cordiale saluto, che estendo volentieri a quanti Vi affiancano nella cura pastorale dei Santuari, assieme all'espressione della mia sincera gratitudine per la premurosa dedizione con la quale quotidianamente accudite alle necessità pastorali dei pellegrini che, da ogni parte del mondo, accorrono sempre più numerosi nei luoghi di culto a Voi affidati. Mediante questa Lettera, mi faccio anzitutto interprete dei sentimenti del Santo Padre Benedetto XVI che considera di grande importanza la presenza dei Santuari, preziosi nella vita della Chiesa, poiché, in quanto meta di pellegrinaggio, sono soprattutto luoghi «di richiamo, che attraggono un numero crescente di pellegrini e turisti religiosi, alcuni dei quali si trovano in situazioni umane e spirituali complesse, alquanto lontani dal vissuto di fede e con una debole appartenenza ecclesiale» (Lettera in occasione del II Congresso Mondiale di pastorale dei pellegrinaggi e Santuari, Santiago de Compostela, 27-30 settembre 2010). Affermava il Beato Papa Giovanni Paolo II: «sempre e dovunque, i Santuari cristiani sono stati o hanno voluto essere i segni di Dio, della Sua irruzione nella storia umana» (Discorso ai Rettori di santuari, 22 gennaio 1981). I santuari, quindi, sono «un segno del Cristo vivente fra noi, ed in questo segno i cristiani hanno sempre riconosciuto l'iniziativa dell'amore del Dio vivente per gli uomini» (Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, // Santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente, 8 maggio 1999, n. 5). Consapevole, dunque, del peculiare valore che i sanatari rivestono nell'esperienza di fede di ogni cristiano, la Congregazione per il Clero, competente in materia (cfr. Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Pastor bonus, 28 giugno 1988, art. 97, 1°), intende proporre alla Vostra attenzione alcune considerazioni tese a donare un rinnovato e più efficace impulso alle attività ordinarie della pastorale che in essi si svolgono. In un clima di diffuso secolarismo, il santuario continua, infatti, ancora oggi, a rappresentare un luogo privilegiato in cui l'uomo, pellegrino su questa terra, fa esperienza della presenza amorevole e salvifica di Dio. In esso egli trova uno spazio fecondo, lontano dagli affanni quotidiani, ove potersi raccogliere e riacquistare vigore spirituale per riprendere il cammino di fede con maggiore ardore e cercare, trovare ed amare Cristo nella vita ordinaria, nel mezzo del mondo. Qual è il cuore delle attività pastorali in un Santuario ? La normativa canonica, a proposito di questi luoghi di culto, con profonda saggezza teologica ed esperienza ecclesiale, prevede che in essi «si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la Parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica, soprattutto con la celebrazione dell'Eucaristia e della Penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare» (can. 1234, §1). La norma canonica, tracciando, quindi,una preziosa sintesi della pastorale specifica dei Santuari, fornisce un interessante spunto per riflettere brevemente su alcuni elementi fondamentali caratterizzanti l'ufficio che la Chiesa Vi ha affidato.

1. Annuncio della Parola, preghiera e pietà popolare Il santuario è il luogo in cui risuona con singolare potenza la Parola di Dio. Il Santo Padre Benedetto XVI, nell'Esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Domini, di recente pubblicazione (30 settembre 2010), ribadisce che la Chiesa «si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa» (n. 3). Essa è la "casa" (cfr. ibidem, n. 52) in cui la divina Parola è accolta, meditata, annunciata e celebrata (cfr. ibidem, n. 121). Quanto il Pontefice dice della Chiesa può analogamente affermarsi del Santuario.
L'annuncio della Parola assume un ruolo essenziale nella vita pastorale del Santuario. I ministri sacri hanno pertanto il compito di preparare tale annuncio, nella preghiera e nella meditazione, filtrando il contenuto dell'annuncio con l'aiuto della Teologia spirituale, alla scuola del Magistero e dei Santi. Le fonti principali della loro predicazione saranno costituite dalla Sacra Scrittura e dalla Liturgia (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 35), alle quali si uniscono il prezioso Catechismo della Chiesa Cattolica ed il Compendio di esso. Il ministero della Parola, esercitato in forme diverse- e conformi al deposito rivelato, sarà poi tanto più efficace ed incisivo quanto più nascerà dal cuore, nella preghiera e sarà espresso mediante linguaggi accessibili e belli, che sappiano mostrare correttamente la perenne attualità del Verbo eterno.
La risposta umana ad un fecondo annuncio della Parola di Dio è la preghiera. «I Santuari, per i pellegrini che sono alla ricerca delle loro vive sorgenti, sono luoghi eccezionali per vivere "come Chiesa" le forme della preghiera cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 11 ottobre 1992, n. 2691).
La vita di preghiera si sviluppa in diversi modi, tra i quali troviamo varie forme di pietà popolare che sempre devono lasciare «spazio adeguato alla proclamazione e all'ascolto della Parola di Dio; infatti, "nella parola biblica, la pietà popolare troverà una fonte inesauribile di ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e feconde proposte tematiche"» {Verbum Domini, n. 65).
Il Direttorio su pietà popolare e liturgia (Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, 9 aprile 2002) dedica un capitolo ai Santuari e ai pellegrinaggi, auspicando «un corretto rapporto tra le azioni liturgiche e i pii esercizi» (n. 261). La pietà popolare è di grande rilievo per la fede, la cultura e l'identità cristiana di molti popoli. Essa è espressione della fede di un popolo, «vero tesoro del popolo di Dio» (ibidem, n. 9), nella e per la Chiesa: per capirlo, basti immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della spiritualità cristiana d'Occidente l'assenza del "Rosario" o della "Via Crucis", come delle processioni. Sono soltanto esempi, ma sufficientemente evidenti per rilevarne l'imprescindibilità.
Svolgendo il Vostro ministero presso un Santuario, spesso avete occasione di osservare i gesti di pietà, tanto peculiari, quanto espressivi, con cui i pellegrini usano esprimere visibilmente la fede che li anima. Le molteplici e variegate forme di devozione, derivanti sovente da altrettante sensibilità e tradizioni culturali, testimoniano l'intensità fervente di una vita spirituale alimentata da una costante preghiera e dall'intimo desiderio di aderire sempre più strettamente a Cristo.
La Chiesa, consapevole della significativa incidenza di tali manifestazioni religiose nella vita spirituale dei fedeli, ha sempre riconosciuto il valore di esse e ne ha rispettato le genuine espressioni. Anzi, anche mediante gli insegnamenti dei Romani Pontefici e dei Concili, le ha raccomandate e favorite. Allo stesso tempo, però, laddove Essa ha riscontrato atteggiamenti o mentalità non riconducibili al sano senso religioso, ha avvertito la necessità di intervenire, purificando tali atti da elementi fuorviami o fornendo meditazioni, corsi, lezioni, ecc. La pietà popolare, infatti, soltanto se radicata in un'originaria tradizione cattolica, potrà essere locus fidei, fecondo strumento di evangelizzazione, nel quale anche gli elementi della cultura ambientale indigena potranno sinergicamente trovare accoglienza e dignità.
Come responsabili della pastorale nei Santuari, quindi, è Vostro compito istruire i pellegrini sul carattere assolutamente preminente che la celebrazione liturgica deve assumere nella vita di ogni credente. La pratica personale di forme di pietà popolare non va assolutamente ostacolata o rigettata, anzi va favorita, ma non può sostituirsi alla partecipazione al culto liturgico. Tali espressioni, infatti, piuttosto che contrapporsi alla centralità della Liturgia, devono affiancarsi ed essere sempre orientate ad essa. È infatti nella celebrazione liturgica dei Sacri Misteri che si esprime la preghiera comune della Chiesa tutta.

2. Misericordia di Dio nel sacramento della Penitenza La memoria dell'amore di Dio, che si fa presente in modo eminente nel santuario, conduce alla richiesta di perdono per i peccati e al desiderio di implorare il dono della fedeltà al deposito della fede. Il Santuario è pure il luogo della permanente attualizzazione della misericordia di Dio. È luogo ospitale in cui l'uomo può avere un'incontro reale con Cristo, sperimentando la Verità del Suo insegnamento e del Suo perdono, per avvicinarsi degnamente, e quindi fruttuosamente, all'Eucarestia.
Occorre a tale scopo favorire e dove sia possibile intensificare la presenza costante di sacerdoti che, con animo umile ed accogliente, si dedichino generosamente all'ascolto delle confessioni sacramentali.
Nell'amministrare il sacramento del Perdono e della Riconciliazione, i confessori, che agiscono come «il segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore» (CCC, n. 1465), aiutino i penitenti a sperimentare la tenerezza di Dio, a percepire la bellezza e la grandezza della Sua bontà e a riscoprire nei propri cuori il desiderio intimo della santità, vocazione universale e meta ultima per ogni credente (cfr. Congregazione per il Clero, // Sacerdote ministro della misericordia divina, 9 marzo 2011, n. 22).
I confessori, illuminando la coscienza dei penitenti, pongano pure in evidenza il vincolo stretto che lega la Confessione sacramentale ad un'esistenza nuova, orientata verso una decisa conversione. Esortino perciò i fedeli ad avvicinarsi con regolare frequenza e fervente devozione a questo sacramento, affinché, sorretti dalla grazia che in esso è donata, possano alimentare costantemente il loro fedele impegno di adesione a Cristo, progredendo nella perfezione evangelica. I ministri della Penitenza siano disponibili ed accessibili, coltivando un atteggiamento comprensivo, accogliente ed incoraggiante (cfr. // Sacerdote ministro della misericordia divina, nn. 51-57). Per rispettare la libertà di ogni fedele ed anche per favorire la propria piena sincerità nel foro sacramentale, è opportuno che siano, in luoghi adatti (ad esempio, possibilmente, cappella della Riconciliazione), disponibili dei confessionali provvisti di una grata fissa. Come insegna il Beato Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Misericordia Dei (7 aprile 2002): «La sede per le confessioni è disciplinata dalle norme emanate dalle rispettive conferenze episcopali, le quali garantiranno che essa sia collocata in un luogo visibile e sia anche provvista di grata fissa, così da consentire ai fedeli ed agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire» (n. 9, b - cfr. can. 964, § 2; Pontificio Consiglio per l'Interpretazione dei testi Legislativi, Responsa ad propositum dubium: de loco excipiendi sacramentales confessiones de loco excipiendi sacramentales confessiones [7 luglio 1998]: AAS 90 [1998] 711; cfr. // Sacerdote ministro della misericordia divina, n. 41). I ministri, inoltre, si premurino di far comprendere i frutti spirituali derivanti dalla remissione dei peccati. Il sacramento della Penitenza, infatti, «opera una autentica "risurrezione spirituale", restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l'amicizia con Dio» (CCC, n. 1468). In considerazione del fatto che i Santuari sono luoghi di vera conversione, può essere opportuno che sia potenziata la formazione dei confessori per la cura pastorale di chi non ha rispettato la vita umana dal concepimento fino al naturale suo termine.
I sacerdoti, poi, nel dispensare la misericordia divina, adempiano debitamente questo peculiare ministero aderendo con fedeltà all'insegnamento genuino della Chiesa. Siano ben formati nella dottrina e non trascurino di aggiornarsi periodicamente su questioni attinenti soprattutto all'ambito morale e bioetico (cfr. CCC, n. 1466). Anche nel campo matrimoniale, rispettino quanto autorevolmente insegna il Magistero ecclesiale. Evitino quindi di manifestare in sede sacramentale dottrine private, opinioni personali o valutazioni arbitrarie non conformi a ciò che la Chiesa crede ed insegna. Per la loro formazione permanente sarà utile incoraggiarli a partecipare a corsi specializzati, quali, ad esempio, potrebbero essere quelli organizzati dalla Penitenzieria Apostolica e da alcune Pontificie Università (cfr. // Sacerdote ministro della misericordia divina, n. 63).

3. L'Eucarestia, fonte e culmine della vita cristiana La Parola di Dio e la celebrazione della Penitenza sono intimamente unite alla Santa Eucarestia, mistero centrale in cui «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 5). La celebrazione Eucaristica costituisce il cuore della vita sacramentale del Santuario. In essa il Signore si dona a noi. I pellegrini che visitano i santuari siano allora resi consapevoli che, se accolgono fiduciosamente il Cristo eucaristico nel proprio intimo, Egli offre loro la possibilità di una reale trasformazione dell'esistenza.
La dignità della celebrazione Eucaristica venga anche opportunamente messa in risalto mediante il canto gregoriano, polifonico o popolare (cfr. Sacrosanctum Concilium, nn. 116 e 118); ma anche selezionando adeguatamente sia gli strumenti musicali più nobili (organo a canne ed affini, cfr. ibidem, n. 120), sia le vesti che vengono indossate dai ministri unitamente alle suppellettili utilizzate nella Liturgia.-Esse devono rispondere a canoni di nobiltà e di sacralità. Nel caso delle concelebrazioni, si prenda cura che ci sia un Maestro di cerimonia, che non concelebri, e si faccia il possibile affinché ogni concelebrante indossi la casula, o pianeta, quale paramento proprio del sacerdote che celebra i divini misteri.
Il Santo Padre Benedetto XVI scriveva, nell'Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007), che «la migliore catechesi sull'Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata» (n. 64). Nella Santa Messa, allora, i ministri rispettino fedelmente quanto stabilito dalle norme dei Libri liturgici. Le rubriche, infatti, non rappresentano indicazioni facoltative per il celebrante bensì prescrizioni obbligatorie che egli deve accuratamente osservare con fedeltà ad ogni gesto o segno. Ad ogni norma, infatti, è sotteso un senso teologico profondo, che non può essere sminuito o comunque misconosciuto. Uno stile celebrativo, che introduca innovazioni liturgiche arbitrarie, oltre a generare confusione e divisione tra i fedeli, lede la veneranda Tradizione e l'autorità stessa della Chiesa, nonché l'unità ecclesiale.
Il sacerdote che presiede l'Eucaristia non è, però, neppure un mero esecutore di rubriche rituali. Piuttosto, l'intensa e devota partecipazione interiore con la quale celebrerà i divini misteri, accompagnata dall'opportuna valorizzazione dei segni e gesti liturgici stabiliti, plasmerà non solo il suo spirito orante, ma si rivelerà feconda anche per la fede eucaristica dei credenti che prendono parte alla celebrazione con la loro actuosa partecipatio (cfr. Sacrosanctum Concilium, n.14). Come frutto del Suo dono nell'Eucarestia, Gesù Cristo rimane sotto le specie del pane. Le celebrazioni come l'Adorazione eucaristica al di fuori della santa Messa, con l'esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento, manifestano quello che sta nel cuore della celebrazione: l'Adorazione, ossia l'unione con Gesù Ostia.
A tal riguardo, insegna il Papa Benedetto XVI che «nell'Eucarestia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione stessa, la quale è in sé il più grande atto di adorazione della Chiesa» (Sacramentum Caritatis, n. 66), altresì aggiungendo: «L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto si è realizzato nella Celebrazione liturgica stessa» (ivi).
In tal modo, si attribuisca notevolissima importanza al luogo del tabernacolo nel Santuario (o anche di una cappella destinata esclusivamente all'adorazione del Santissùno) poiché è in sé "calamita", invito e stimolo alla preghiera, all'adorazione, alla meditazione, all'intimità con il Signore. Il Sommo Pontefice, nella summenzionata Esortazione, sottolinea che «la corretta posizione del tabernacolo, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario, pertanto, che il luogo in cui vengono conservate le Specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa» (ibidem, n. 69). Il tabernacolo, custodia eucaristica, occupi un posto preminente nei Santuari, così come anche, nel ricordare la relazione tra arte, fede e celebrazione, si ponga attenzione a «l'unità tra gli elementi propri del presbiterio: altare, crocifisso, tabernacolo, ambone, sede» (ibidem, n. 41). La retta collocazione dei segni eloquenti della nostra fede, nell'architettura dei luoghi di culto, favorisce indubbiamente, in particolare nei santuari, la giusta priorità a Cristo, pietra viva, prima del saluto alla Vergine o ai Santi giustamente venerati in quel luogo, dando così occasione alla pietà popolare di manifestare le sue radici veramente eucaristiche e cristiane.

4. Un nuovo dinamismo per l'evangelizzazione Infine, mi è gradito rilevare che ancora oggi i Santuari conservano uno straordinario fascino, testimoniato dal numero crescente di pellegrini che vi si recano. Non raramente si tratta di uomini e donne di tutte le età e condizioni, con situazioni umane e spirituali complesse, alquanto lontani da una vita di fede solida, o con un fragile senso di d'appartenenza ecclesiale. Fare visita ad un Santuario può rivelarsi per essi una preziosa pportunità per incontrare Cristo e per riscoprire il senso profondo della propria vocazione attesimale o per sentirne un richiamo salutare. Esorto perciò ciascuno di Voi a rivolgere a queste persone uno sguardo particolarmente ccogliente e premuroso. Anche a questo riguardo, nulla sia lasciato all'improvvisazione. Con sapienza evangelica e con ampia sensibilità, sarebbe altamente educativo farsi compagni di viaggio con i pellegrini e i visitatori, individuando le ragioni del cuore e le attese dello spirito. In tale servizio la collaborazione di persone, con compiti specifici lotate di umanità accogliente, di perspicacia spirituale, di intelligenza teologale, gioverà a ntrodurre i pellegrini al Santuario come ad un evento di grazia, luogo di esperienz religiosa, di gioia ritrovata. A tal riguardo sarà conveniente considerare la possibilità e creare appuntamenti spirituali anche in serata o di notte (adorazioni notturne o veglie e preghiera), laddove l'affluenza di pellegrini si rilevi di notevole entità e di flussi permanente. La Vostra carità pastorale potrà costituire provvida occasione e forte stimolo perché el loro cuore zampilli il desiderio di intraprendere un cammino di fede serio ed intenso. Mediante le varie forme di catechesi, potrete far comprendere che la fede, lungi dall'essere n vago ed astratto sentimento religioso, è concretamente tangibile e si esprime sempre eli'amore e nella giustizia degli uni verso gli altri.
Così, presso i Santuari, l'insegnamento della Parola di Dio e della dottrina della Chiesa, per mezzo delle predicazioni, delle catechesi, della direzione spirituale, dei ritiri, ostituisce un'ottima preparazione per accogliere il perdono di Dio nel sacramento della 'enitenza e la partecipazione attiva e fruttuosa alla celebrazione del Sacrificio dell'altare.
L'Adorazione eucaristica, la pia pratica della Via Crucis e la preghiera cristologica e nariana del Santo Rosario, saranno, con i sacramentali e le benedizioni votive, estimonianze della pietà umana e cammino con Gesù verso l'amore misericordioso del Padre nello Spirito. Così la pastorale della famiglia sarà rinvigorita, e sarà provvidamente feconda la preghiera della Chiesa al «Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 38): sante e numerose vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione!
I Santuari, inoltre, nella fedeltà alla loro gloriosa tradizione, non dimentichino di essere impegnati nelle opere caritative e nel servizio assistenziale, nella promozione umana, nella salvaguardia dei diritti della persona, nell'impegno per la giustizia, secondo la dottrina sociale della Chiesa. Attorno ad essi è bene che fioriscano anche iniziative culturali, quali convegni, seminari, mostre, rassegne, concorsi e manifestazioni artistiche su temi religiosi. In questo modo i Santuari diventeranno anche promotori di cultura, sia dotta che popolare, contribuendo, per la loro parte, al progetto culturale orientato in senso cristiano della Chiesa.
Così Essa, sotto la guida della Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione mediante la quale la Grazia stessa si comunica all'umanità bisognosa di redenzione, si prepara, ovunque nel mondo, alla venuta del Salvatore. I Santuari, luoghi nei quali ci si reca per cercare, per ascoltare, per pregare, diventeranno misteriosamente i luoghi nei quali si sarà veramente toccati da Dio attraverso la Sua Parola, il sacramento della Riconciliazione e dell'Eucarestia, l'intercessione della Madre di Dio e dei Santi.
Soltanto in questo modo, tra i marosi e le tempeste della storia, sfidando il pervicace senso di relativismo imperante, essi saranno fautori di un rinnovato dinamismo in vista della tanto desiderata nuova evangelizzazione.
Ringraziando ancora ciascun Rettore per la dedizione e la carità pastorale affinché ogni Santuario sia sempre più segno dell'amorosa presenza del Verbo Incarnato, si assicura la più cordiale vicinanza nel Signore, sotto lo sguardo della Beata Vergine Maria.
Dal Vaticano, 15 agosto 2011
Assunzione della Beata Maria Vergine Maria
Mauro Card. Piacenza Prefetto
Celso Morga Iruzubieta, Segretario

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