Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Curie venete: le nomine estive




Giro di nomine nell'arsa estate veneta. Riportiamo gli elenchi comparsi nei giornali e nei siti delle Diocesi di Venezia, Verona e Trevisto.
a Venezia:
Don Valentino Cagnin
Vicario parrocchiale di “S. Maria Ausiliatrice” (Mestre-Gazzera), trasferito dall’ufficio di Vicario parrocchiale di “S. Ignazio di Loyola” (Venezia-Lido).  
Don Stefano Cannizzaro
Vicario parrocchiale di “S. Barbara” (Mestre), trasferito dall’ufficio di Vicario parrocchiale di “Ss. Gervasio e Protasio” (Carpenedo).  
Don Francesco Marchesi
Vicario parrocchiale di “S. Stefano” (Caorle) e Collaboratore pastorale di “Regina della Pace” (Castello di Caorle) e di “S. Bartolomeo” (Brussa di Caorle).  
Don Mauro Margagliotti
Vicario parrocchiale di “S. Nicolò” (Mira Taglio).  
Don Marco De Rossi
Amministratore parrocchiale di “SS. Risurrezione” (Marghera). Mantiene l’ufficio di Parroco di “Ss. Francesco e Chiara di Assisi” (Marghera).  
Don Fabrizio Favaro
Amministratore parrocchiale di “S. Antonio di Padova” (Lido), trasferito dall’ufficio di Vicario parrocchiale di “S. Maria Elisabetta” (Lido).  
Don Piotr Mikulski
Amministratore parrocchiale di “Purificazione di Maria (S. Maria Formosa)” (Venezia), trasferito dall’ufficio di Vicario parrocchiale di “S. Maria Concetta” (Eraclea).  
Don Alessandro Rosin
Amministratore parrocchiale di “Ss. Maria Assunta, Donato e Cipriano” (Murano) e di “S. Pietro” (Murano), trasferito dall’ufficio di vicario parrocchiale di “S. Nicolò” (Mira Taglio).  
Mons. Giuseppe Manzato
Amministratore parrocchiale di “Regina della Pace” (Castello di Caorle) e di “S. Bartolomeo” (Brussa di Caorle). Mantiene l’ufficio di Parroco Arciprete di “S. Stefano” (Caorle).  
Don Carlo Gusso
Parroco Arciprete di “S. Maria Assunta” (Borbiago), trasferito dagli uffici di Parroco Arciprete di “Ss. Maria Assunta, Donato e Cipriano” (Murano) e di “S. Pietro” (Murano).  
Don Renzo Mazzuia
Parroco di “S. Simeon Profeta (S. Simon Grande)” (Venezia), trasferito dagli uffici di Parroco Arciprete di “S. Martino” (Burano) e Amministratore parrocchiale di San Pietro e Santa Caterina di Mazzorbo.  
Don Raffaele Muresu
Parroco di “S. Maria del Rosario (Gesuati)” (Venezia). Mantiene gli incarichi precedenti.  
Don Mirco (Marco) Pasini
Parroco di “S. Maria Immacolata di Lourdes” (Mestre), trasferito dagli uffici di Amministratore parrocchiale di “Regina della Pace” (Castello di Caorle) e di “S. Bartolomeo” (Brussa di Caorle).  
Don Enzo Piasentin
Parroco Arciprete di “S. Martino” (Burano) e Amministratore parrocchiale di “Ss. Pietro e Caterina” (Mazzorbo), trasferito dall’ufficio di Parroco Arciprete di “S. Maria Assunta” (Borbiago).  
Don Paolo Socal
Parroco di “S. Felice” (Venezia) e Rettore di “S. Sofia” (Venezia), trasferito dall’ufficio di Parroco di “SS. Resurrezione” (Marghera).  
Don Nandino Capovilla
Collaboratore pastorale delle parrocchie “SS. Risurrezione” (Marghera) e “Ss. Francesco e Chiara (Marghera).  
Don Diego Sartorelli
Cappellano delle Residenze per anziani “San Lorenzo”, “Ca’ di Dio”, “Zitelle” e “San Giovanni e Paolo” di Venezia e Notaio di curia addetto all’Ufficio Matrimoni di Mestre, trasferito dagli uffici di Pro-Cancelliere Patriarcale e Aiuto del moderator curiae. Mantiene gli uffici di Direttore dell’Archivio Storico Diocesano e di Incaricato Diocesano FACI.  
Don Gilberto Sabbadin
Responsabile dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria e Assistente Spirituale del “Centro di Pastorale Universitaria S. Fosca” nonché Amministratore parrocchiale dei Tolentini. 
Don Marco Scarpa
cessa da questi uffici e mantiene tutti gli altri incarichi.  
Don Luigi Vitturi
Rettore di “S. Maria del Giglio” (Venezia), trasferito dall’ufficio di Parroco di “S. Antonio di Padova” (Lido).  
Mons. Giovanni Favaretto
Cappellano dell’Ospedale “Ss. Giovanni e Paolo” (Venezia). Mantiene l’ufficio di Parroco di “S. Giovanni Battista in Bragora” (Venezia).  
Don Marino Gallina
Canonico penitenziere della Basilica Cattedrale di San Marco (Venezia), trasferito dall’ufficio di Parroco di “S. Maria Immacolata di Lourdes” (Mestre).  
Don Angelo Pagan
Cancelliere Patriarcale. Mantiene gli uffici di Vicario giudiziale aggiunto e Rettore del Convitto Internazionale “Beato Giovanni XXIII”.  
Mons. Dino Pistolato
Delegato del Patriarca per gli affari economici, con funzione di vigilanza e controllo sull’amministrazione di beni ecclesiastici non sottratti alla potestà di governo del Vescovo diocesano, salve le competenze attribuite – ipso iure o dal Patriarca – all’Economo diocesano o ad altra Persona o Ufficio e la funzione di concedere le licenze previste della vigente legislazione canonica in materia amministrativa. Mantiene gli uffici già conferiti.
Il Patriarca ha riservato a sé stesso il compito di supplenza ai sensi dei canoni 1278 e 1279 § 2.   
Diac. Gianfranco Fiorin
Pro-direttore della Caritas Diocesana. Mantiene gli uffici già attribuiti.  
Mons. Guido Scattolin
Il Patriarca ha disposto che mantenendo gli uffici di Economo Diocesano, con tutte le funzioni annesse ipso iure all’ufficio, di Direttore dell’Ufficio Amministrativo Diocesano e gli altri uffici, incarichi e competenze, venga così formulato l’incarico di vigilanza attribuitogli ai sensi dei canoni 1278 e 1276 § 1: vigilanza sull’amministrazione dei beni appartenenti alle parrocchie, rettorie e realtà analoghe ai sensi dei canoni 1278 e 1276 § 1.
Il Patriarca ha riservato a sé stesso il compito di supplenza ai sensi dei canoni 1278 e 1279 § 2.   
Mons. Mario Ronzini
Il Patriarca lo ha incaricato, in quanto Delegato del Patriarca “ad universitatem negotiorum”, della vigilanza sulla Caritas Diocesana ai sensi del canone 1276 § 1.  
Don Umberto Bertola
Il Patriarca ha accettato la rinuncia all’ufficio di parroco di “S. Simeon Profeta” (Venezia) presentata ai sensi del canone 538 § 1.  
Mons. Giacinto Danieli
Il Patriarca lo ha incaricato di Collaborare con il Patriarca Emerito Marco Cè e con mons. Valerio Comin nella gestione degli Esercizi Spirituali Diocesani. Mantiene l’ufficio di Padre Spirituale in Seminario. Cessa dall’ufficio di parroco di “S. Maria del Rosario (Gesuati)”. 






A Verona: 
ANDRIOLO mons. Giuseppe Andriolo è nominato canonico onorario e trasferito dall’ufficio di Parroco di Legnago-Duomo all’ufficio di Parroco di Cerea  
BATTISTIN don Gabriele è trasferito dall’ufficio di segretario particolare del Vescovo e inviato per lo studio del Diritto Canonico a Venezia, assumendo nel contempo l’ufficio di Vicario parrocchiale di Raldon  
BELLINAZZO dom Nicola, n.d. è trasferito dall’ufficio di Collaboratore a Sant’Anastasia in Verona all’ufficio di Collaboratore del Parroco di Casaleone-Venera per Venera  
BONI don Federico Sacerdote novello, è nominato Segretario particolare del Vescovo  
BREDA don Stefano Sacerdote novello, è nominato Collaboratore a Croce Bianca in Verona  
DALLA VERDE don Carlo Sacerdote novello, è nominato Vicario parrocchiale di San Massimo in Verona  
FERRARI mons. Matteo è trasferito dall’ufficio di Parroco di Lugo e incaricato dell’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole superiori, proseguendo gli studi in Teologia dogmatica
GIOVANNELLI don Paolo Sacerdote novello, è nominato Vicario parrocchiale di Gesù Divino Lavoratore in Verona 
GIRADI don Andrea è nominato anche Vice-assistente dell’Azione Cattolica diocesana per il settore giovani  
LUCCHI don Massimiliano è trasferito dall’ufficio di Vicario parrocchiale di San Massimo in Verona al monastero di Pra’d Mill (Cuneo) per un’esperienza monastica  
MARCHESI mons. Giorgio è nominato canonico onorario e trasferito dall’ufficio di Parroco di Cerea all’ufficio di Parroco di Bovolone  
MATTUZZI don Andrea Sacerdote novello, è nominato Vicario parrocchiale di Domegliara, Ponton e Volargne 
PASETTO don Paolo Sacerdote novello, è nominato Vicario parrocchiale di Pozzo  
RADIVO mons. Giacomo è nominato Direttore spirituale in Seminario Maggiore  
RIGHETTI don Diego è trasferito dall’ufficio di Direttore spirituale del Seminario Maggiore all’ufficio di Parroco di Legnago-Duomo, e nominato delegato vescovile per l’Ecumeniscmo e il dialogo interreligioso  
TRESSINO don Michele è trasferito dall’ufficio di Vicario Parrocchiale di Porto di Legnago all’ufficio di Parroco di Lugo  
TURCO don Tarcisio è trasferito dall’ufficio di Parroco di Ponton all’ufficio di Collaboratore a Domegliara, Ponton e Volargne  
TURRI don Marco Sacerdote novello, è nominato Vicario parrocchiale dell’UP Caprino-Lubiara-Pazzon  
UGOLINI mons. Luciano Sono accolte le sue dimissioni. E’ incaricato del ministro pastorale a Ospedaletto di Pescantina  
ZANOLA don Davide Sacerdote novello, è nominato vicario parrocchiale di Tomba Extra in Verona





a Treviso: 
Sacerdoti che concludono il ministero di parroci o altri servizi pastorali per raggiunti limiti di età o per trasferimento ad altro ministero 
Padre Saverio Fabiano, OMI, parroco di Onè di Fonte
Don Domenico Trivellin, arciprete di Marcon
Don Giorgio Morlin, parroco di Mazzocco di Mogliano
Mons. Vittorio Simeoni, arciprete di Mogliano
Don Elio Girotto, parroco di S. Liberale di Marcon
Don Umberto Modulo, parroco di Sambughè
Don Angelo Faliva, parroco di Negrisia
Don Adolfo Giacomelli, arciprete di Padernello
Don Lino Michieletto, cappellano dell’Ospedale di S. Donà di Piave

Nuovi parroci o parroci trasferiti ad altra parrocchia
 
Don Giuseppe Durigon, finora arciprete di Monigo, è nominato parroco di Mazzocco di Mogliano.

Don Giuseppe Mazzocato, finora amministratore parrocchiale di Scandolara è nominato arciprete di Monigo.

Don Daniele Michieli, finora arciprete di Zero Branco e parroco di S. Alberto, è nominato parroco di Onè di Fonte.

Don Mario Basso, finora arciprete di Castelcucco e parroco di Monfumo , è nominato arciprete di Zero Branco e parroco di S. Alberto e Scandolara.

Don Marco Cagnin, finora parroco di Loreggiola, è nominato arciprete di Castelcucco e parroco di Monfumo.

Don Piergiorgio Guarnier, finora arciprete di Cavaso e amministratore parrocchiale di Possagno, è nominato arciprete di Padernello.

Don Pierangelo Salviato, finora parroco di Camalò è nominato arciprete di Possagno e di Cavaso.

Don Giovanni Kirschner, parroco di Santandrà e di Povegliano, e don Corrado Cazzin, arciprete di Arcade, sono nominati parroci “in solido” di Arcade, Camalò, Povegliano e Santandrà.

Mons. Leone Cecchetto, arciprete di Loreggia, è nominato anche parroco di Loreggiola.

Don Samuele Facci, finora arciprete di Ponte di Piave e parroco di Campobernardo, è nominato arciprete di Mogliano e di S. Marco in Ronzinella di Mogliano.

Don Giampaolo Bano, finora parroco di Massanzago, è nominato arciprete di Ponte di Piave e parroco di Campobernardo.

Don Germino Zamprogna, finora parroco di Lovadina, è nominato parroco di Massanzago.

Don Giovanni Stasi, finora vicario parrocchiale di Silea è nominato parroco di Lovadina.

Don Silvano Filippetto, finora arciprete di Ormelle e di Roncadelle, è nominato arciprete di Marcon.

Don Silvano Perissinotto, parroco di Gaggio e Direttore dell’Ufficio missionario è nominato anche amministratore parrocchiale di S. Liberale di Marcon.

Don Gianni Biasi, finora vicario parrocchiale di Riese-Spineda-Poggiana, e don Alberto Gasparini, finora vicario parrocchiale di Mirano, sono nominati parroci “in solido” di Ormelle, Roncadelle, Negrisia

Don Fervido Cauzzo, arciprete di Preganziol e don Graziano Santolin, vicario parrocchiale della stessa parrocchia, sono nominati parroci “in solido”di Preganziol e Sambughè.

Altri ministeri e servizi pastorali
 
Don Michele Marcato, docente dell’Istituto Teologico interdiocesano e Segretario Istituto Superiore di Scienze religiose, viene nominato anche pro-Direttore dell’Istituto Teologico Interdiocesano, succedendo a don Giuseppe Mazzocato

Don Eros Pellizzari, che rientra da un tempo di servizio presso le comunità italiane in Australia, viene nominato cappellano dell’Ospedale di S.Donà

Nomina nuovi Vicari Foranei ad tempus
 
Don Edmondo Lanciarotta è nominato Vicario foraneo del Vicariato di Mogliano Veneto in sostituzione di don Domenico Trivellin.

Mons. Maurizio De Pieri è nominato Vicario foraneo del Vicariato di Monastier in sostituzione di don Samuele Facci.

Don Artemio Favaro è nominato Vicario foraneo del Vicariato di Paese in sostituzione di don Daniele Michieli.


Benedetto e il "pro multis"





"Questa fusione di traduzione e interpretazione appartiene, in un certo senso, ai principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontani dal mondo del parlare e del pensare dell’uomo d’oggi, così che anche tradotti essi sarebbero rimasti ampiamente incomprensibili ai partecipanti alla liturgia.
Era un’impresa nuova che i testi sacri fossero resi accessibili, in traduzione, ai partecipanti alla liturgia, pur rimanendo, tuttavia, a una grande distanza dal loro mondo; anzi, in questo modo, i testi sacri apparivano proprio nella loro grande distanza. Così, ci si sentì non solo autorizzati, ma addirittura in obbligo di fondere già nella traduzione l’interpretazione, e di accorciare in questo modo la strada verso gli uomini, il cui cuore ed intelletto si voleva fossero raggiunti appunto da queste parole.
Fino ad un certo punto, il principio di una traduzione contenutistica e non necessariamente letterale del testo di base rimane giustificato.
Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite.
Così, nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti.
Seguendo considerazioni di questo genere, l’Istruzione sulle traduzioni “Liturgiam authenticam”, emanata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 28 marzo 2001, ha posto di nuovo in primo piano il principio della corrispondenza letterale, senza ovviamente prescrivere un verbalismo unilaterale.
L’acquisizione importante che è alla base di questa Istruzione consiste nella distinzione, a cui ho già accennato all’inizio, fra traduzione e interpretazione.
Essa è necessaria sia nei confronti della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e con le domande che porta in sé; dall’altro lato, è alla Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione, affinché – nei limiti della nostra attuale comprensione – ci raggiunga quel messaggio che il Signore ci ha destinato.
Neppure la traduzione più accurata può sostituire l’interpretazione: rientra nella struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e che fedeltà e attualizzazione siano legate reciprocamente. La Parola deve essere presente quale essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea; l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla accessibile all’ascoltatore di oggi.
In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale e non insieme già interpretata.
Al posto della versione interpretativa “per tutti” deve andare la semplice traduzione “per molti”. 
Vorrei qui far notare che né in Matteo, né in Marco c’è l’articolo, quindi non “per i molti”, ma “per molti”. Se questa decisione è, come spero, assolutamente comprensibile alla luce della fondamentale correlazione tra traduzione e interpretazione, sono tuttavia consapevole che essa rappresenta una sfida enorme per tutti coloro che hanno il compito di esporre la Parola di Dio nella Chiesa. Infatti, per coloro che abitualmente partecipano alla Santa Messa questo appare quasi inevitabilmente come una rottura proprio nel cuore del Sacro.
Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? Può ed è autorizzata a farlo? E’ qui in atto una reazione che vuole distruggere l’eredità del Concilio?
Per l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto fortemente possa inquietare le persone una modifica del testo in un punto così centrale.
Per questo motivo, nel momento in cui, in base alla differenza tra traduzione e interpretazione, si scelse la traduzione “molti”, si decise, al tempo stesso, che questa traduzione dovesse essere preceduta, nelle singole aree linguistiche, da una catechesi accurata, per mezzo della quale i Vescovi avrebbero dovuto far comprendere concretamente ai loro sacerdoti e, attraverso di loro, a tutti i fedeli, di che cosa si trattasse. 
Il far precedere la catechesi è la condizione essenziale per l’entrata in vigore della nuova traduzione. Per quanto ne so, una tale catechesi finora non è stata fatta nell’area linguistica tedesca. L’intento della mia lettera è chiedere con la più grande urgenza a Voi tutti, cari confratelli, di elaborare ora una tale catechesi, per parlarne poi con i sacerdoti e renderla contemporaneamente accessibile ai fedeli.
In una tale catechesi si dovrà forse, in primo luogo, spiegare brevemente perché nella traduzione del Messale dopo il Concilio, la parola “molti” venne resa con “tutti”: per esprimere in modo inequivocabile, nel senso voluto da Gesù, l’universalità della salvezza che proviene da Lui. Ma poi sorge subito la domanda: se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole dell’Ultima Cena Egli ha detto “per molti”? E perché allora noi ci atteniamo a queste parole di istituzione di Gesù? A questo punto bisogna anzitutto aggiungere ancora che, secondo Matteo e Marco, Gesù ha detto “per molti”, mentre secondo Luca e Paolo ha detto “per voi”. Così il cerchio, apparentemente, si stringe ancora di più.
Invece, proprio partendo da questo si può andare verso la soluzione. I discepoli sanno che la missione di Gesù va oltre loro e la loro cerchia; che Egli era venuto per riunire da tutto il mondo i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52). Il “per voi”, rende, però, la missione di Gesù assolutamente concreta per i presenti. Essi non sono degli elementi anonimi qualsiasi di un’enorme totalità, bensì ogni singolo sa che il Signore è morto proprio “per me”, “per noi”. “Per voi” si estende al passato e al futuro, si riferisce a me del tutto personalmente; noi, che siamo qui riuniti, siamo conosciuti ed amati da Gesù in quanto tali.
Quindi questo “per voi” non è una restrizione, bensì una concretizzazione, che vale per ogni comunità che celebra l’Eucaristia e che la unisce concretamente all’amore di Gesù. 
Il Canone Romano ha unito tra loro, nelle parole della consacrazione, le due letture bibliche e, conformemente a ciò, dice: “per voi e per molti”. Questa formula è stata poi ripresa, nella riforma liturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche.
Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signore non è forse morto per tutti? Il fatto che Gesù Cristo, in quanto Figlio di Dio fatto uomo, sia l’uomo per tutti gli uomini, sia il nuovo Adamo, fa parte delle certezze fondamentali della nostra fede.
Su questo punto vorrei solamente ricordare tre testi della Scrittura: Dio ha consegnato suo Figlio “per tutti”, afferma Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8,32). “Uno è morto per tutti”, dice nella Seconda Lettera ai Corinzi, parlando della morte di Gesù (2 Cor 5,14). Gesù “ha dato se stesso in riscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera a Timoteo (1 Tm 2,6).
Ma allora, a maggior ragione ci si deve chiedere, ancora una volta: se questo è così chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica è scritto “per molti”?
Ora, la Chiesa ha ripreso questa formulazione dai racconti dell’istituzione nel Nuovo Testamento. Essa dice così per rispetto verso la parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera Eucaristica.
Ma allora noi ci chiediamo: perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha dimostrato di essere quella figura che la parola del profeta stava aspettando. 
Rispetto reverenziale della Chiesa per la parola di Gesù, fedeltà di Gesù alla parola della “Scrittura”: questa doppia fedeltà è la ragione concreta della formulazione “per molti”. In questa catena di fedeltà reverenziale, noi ci inseriamo con la traduzione letterale delle parole della Scrittura.
Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi” della traduzione lucano-paolina non restringe, ma concretizza; così ora possiamo riconoscere che la dialettica “molti” – “tutti” ha il suo proprio significato. “Tutti” si muove sul piano ontologico – l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti”." 


dalla Lettera di Sua Santità Benedetto XVI   
al presidente della Conferenza Episcopale Tedesca  
14 aprile 2012 


Lefevriani: sine qua non




di Andrea Tornielli (per Vatican Insider)
Il capitolo generale dei lefebvriani si è concluso da alcuni giorni, la Santa Sede aveva sollecitato una risposta da parte del gruppo tradizionalista, chiamato a sottoscrivere il preambolo dottrinale che avrebbe portato al riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X e alla piena comunione con Roma. Ma il percorso appare ancora in alto mare. Con una lettera datata 18 luglio, il segretario generale della Fraternità, don Christian Thouvenot, ha inviato a tutti i superiori dei distretti un riassunto della situazione dei rapporti con il Vaticano, mettendo nero su bianco quelle che sono considerate le condizioni irrinunciabili (sine qua non) che la Fraternità ha stabilito e che richiede alle autorità romane prima del riconoscimento canonico. 

La prima condizione: «Libertà di custodire, trasmettere e insegnare la sana dottrina del Magistero costante della Chiesa e la verità immutabile della Tradizione divina; la libertà di difendere, correggere, riprendere, anche pubblicamente, i fautori di errori o delle novità del modernismo, del liberalismo, del Concilio Vaticano II e delle loro conseguenze».
La seconda condizione: «L’uso esclusivo della liturgia del 1962. Custodire la pratica sacramentale che noi abbiamo attualmente (e incluso: ordinazioni, cresime, matrimoni). La terza condizione, «la garanzia di almeno un vescovo».
Nella lettera sono citate anche altre tre condizioni, considerate però non vincolanti: la possibilità di avere tribunali ecclesiastici propri di prima istanza; l’esenzione delle case della Fraternità dal rapporto con i vescovi diocesani, una commissione pontificia per la Tradizione dipendente dal Papa, con la maggioranza dei membri e il presidente favorevoli alla Tradizione.
Per quanto riguarda le tre condizioni considerate irrinunciabili, si comprende immediatamente come tutti i problemi siano rappresentati dalla prima. Dopo il motu proprio Summorum Pontificum è chiaro che i lefebvriani potrebbero continuare a celebrare con il vecchio rito, ed è anche evidente che – nel caso di regolarizzazione – non farebbe difficoltà la nomina di un nuovo vescovo.
Sia in questa lettera che è stata divulgata ma non era destinata alla pubblicazione, sia nel comunicato conclusivo del capitolo generale, si parla di errori del modernismo e dello stesso Concilio Ecumenico Vaticano II. Nell’ultima versione del preambolo, che lo scorso 13 giugno l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale William Levada, aveva consegnato nelle mani del superiore lefebvriano Bernard Fellay, si chiedeva alla Fraternità di non criticare la nuova messa riconoscendone la validità e la liceità; di accettare il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica; di leggere non soltanto il Vaticano II alla luce della tradizione precedente, ma anche la tradizione precedente alla luca del Vaticano II.
Nel lungo colloquio avuto nel palazzo del Sant’Uffizio con Levada, Fellay già il 13 giugno aveva detto alle autorità romane che avrebbe avuto difficoltà a sottoscrivere il preambolo. La Fraternità ne ha discusso al capitolo generale (dal quale è stato escluso l’oltranzista e negazionista Richard Williamson) e Fellay ha potuto ricompattare la sua comunità dove era emerso negli ultimi mesi un dissenso interno contrario all’accordo. Nella risposta alle autorità romane, i lefebvriani non intendono chiudere la porta al dialogo, ma chiederanno altro tempo, nuovi contatti, ulteriori chiarimenti per arrivare a modificare il testo della dichiarazione dottrinale. Nel comunicato diffuso dalla Sala Stampa vaticana la scorsa settimana si parlava dell’attesa per la risposta in vista della continuazione del dialogo. Ma non è facile immaginare che un testo discusso dai cardinali della Congregazione per la dottrina della fede, attentamente esaminato e poi approvato da Benedetto XVI, possa essere oggetto di nuove discussioni e di cambiamenti.
«Il Concilio vaticano II è vincolante», ha affermato in un’intervista il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Müller. «Si può discutere della dichiarazione sul rapporto con i media, ma le affermazioni sugli ebrei, sulla libertà di religione, sui diritti umani hanno delle implicazioni dogmatiche. Quelle non si possono rifiutare senza pregiudicare la fede cattolica».
Nella lettera inviata ai vescovi dopo il caso Williamson, nel 2009, Papa Ratzinger aveva scritto: «Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive». È l’ermeneutica della riforma nella continuità nella lettura del Vaticano II, che Benedetto XVI ha cercato di proporre subito dopo l’elezione. Rimanendo, al momento, inascoltato.

Lefevriani: forse sì, forse no





da Vatican Insider  
La dichiarazione sulla possibile normalizzazione canonica, resa pubblica oggi dal Capitolo generale dei Lefebvriani, «noi non la consideriamo, e non è, la risposta ufficiale che la Fraternità Sacerdotale San Pio X doveva dare alla Santa Sede» sull’eventuale accettazione del «preambolo dottrinale», condizione per il ritorno nella piena comunione con Roma. Lo ha detto ai giornalisti il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
«Noi aspettiamo che tale risposta arrivi - ha aggiunto – e nell'attesa di quella non commentiamo la dichiarazione di oggi».
In un comunicato, la sala stampa ha anche sottolineato che «pur essendo stata resa pubblica, tale dichiarazione rimane anzitutto un documento interno, per lo studio e la discussione fra i membri della Fraternità».
«La Santa Sede - prosegue la nota - ha preso atto di questa dichiarazione, ma resta in attesa della annunciata comunicazione ufficiale da parte della Fraternità Sacerdotale, per la continuazione del dialogo fra la Fraternità e la Commissione “Ecclesia Dei”».
Nella dichiarazione conclusiva, pubblicata oggi, del loro Capitolo generale che si è svolto a Econe, in Svizzera (9-14 luglio) i Lefebvriani avevano affermato: «Abbiamo definito ed approvato le necessarie condizioni per una eventuale regolarizzazione canonica. Si è stabilito che, in questo caso, sarà convocato prima un Capitolo straordinario deliberativo».
Rispetto a questa «regolarizzazione canonica», che il Vaticano ha assoggettato all'accettazione del «preambolo dottrinale» sul riconoscimento del Concilio Vaticano II, però, gli scismatici seguaci di mons. Lefebvre fanno trasparire ancora distanze. «Per tutte le novità del Concilio Vaticano II che restano viziate da errori, e per le riforme che ne sono derivate, la Fraternità può solo continuare ad attenersi alle affermazioni e agli insegnamenti del Magistero costante della Chiesa», si legge nella dichiarazione.
E ancora: «parimenti, la Fraternità trova la sua guida nella Tradizione costante della Chiesa, che trasmette e trasmetterà fino alla fine dei tempi l’insieme degli insegnamenti necessari al mantenimento della fede e alla salvezza, in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione».


Moraglia Patriarca: il primo Redentore








"Per i Veneziani del sedicesimo secolo essersi riferiti al Solo in grado di aiutarli, quando ogni altra risposta risulta insufficiente, ha un significato che appartiene all’uomo di ogni tempo che è intrinsecamente segnato da fragilità, debolezze, limiti creaturali a cui si aggiungono quelli che provengono dalla situazione di peccato che - rimosso col battesimo - permane nelle conseguenze come propensione al male. 
Certamente quello che poteva essere considerato un ostacolo insormontabile nel passato - ad esempio nel sedicesimo secolo - oppure lo è ancora in una determinata circostanza, può non esserlo più oggi - nel ventunesimo secolo - o in altre differenti circostanze. Secondo l’immagine biblica, l’uomo è simile a un vaso di creta che può sbrecciarsi o frantumarsi in mille pezzi. 
Oggi, noi, uomini del terzo millennio che assistiamo, quasi increduli, ai progressi  delle 
tecno-scienze, portiamo in noi - nonostante i risultati conseguiti  - le nostre tante fragilità, paure e domande che, non di rado, rimangono prive di risposte, anche se il nostro problema, oggi, non è più il contagio della peste. 
Attualmente, per noi, costituisce rilevante disagio una società che non riesce più a garantirci un futuro e si qualifica sempre meno con i caratteri della fiducia e della progettualità condivise e sempre più come incerto, un futuro che “viene meno” proprio quando ci interroghiamo su di esso. 
Il nostro timore riguarda il non “aver futuro”. Ma  non “aver futuro” significa veder precipitare nel non senso anche il proprio presente che smarrisce la sua capacità di interessarci alla vita, al bene comune, all'educazione delle nuove generazioni, nei confronti delle quali siamo chiamati a trasmettere i valori che hanno dato forma alla nostra città, alla sua storia, alla nostra convivenza civile. 
Mentre la peste portava lo sfacelo dei corpi, la mancanza di futuro, il senso diffuso della precarietà, dell’incertezza, dell’impotenza, la convinzione che nulla sia più governabile a livello economico e sociale, afferra la vita soprattutto dei giovani, che si sentono “buttati”  nell'esistenza, non più capaci di solcarla procedendo verso una meta, ma sentendosi sbattuti qua e là dalle onde dell’incertezza. 
Ora, il cristiano è plasmato dalla fede che chiama in causa tutto l’uomo; la fede si interessa di tutto ciò che appartiene all'uomo. L’annuncio cristiano, così, riguarda la retta ragione e la legge naturale ma, nello stesso tempo, non si riduce solamente a ciò, essendo, appunto, annuncio di Gesù Cristo e su di Lui. Secondo tale linea, la fede non si pone “accanto” all'umano, giustapponendosi ad esso ma, piuttosto, “intercetta” l’umano e lo porta a “compimento”, incominciando col “sanarlo”. 
Anche l’umano entra, a pieno titolo, nella salvezza; la fede non si limita, così, a considerare l’apice superiore dell’uomo, disattendendo ciò che viene prima di esso. 
La nostra esistenza di ogni giorno caratterizza quindi la vita eterna, il nostro destino ultimo; consideriamo, per esempio, che l’atto di fede non può esser posto se non da una persona che sia libera, conscia, consapevole, padrona di sé. In termini teologici: la grazia suppone la natura, la perfeziona e porta a compimento."
 
dall'Omelia del Mons. Moraglia, Patriarca.
Festa del Santissimo Redentore 2012










Sacra supellex: pianeta, dalmatica e tunicella "brocatelli de arsento"




Dalla parrocchia di San Martino in Scorzè: splendido parato in terzo del secolo XVII. Pianeta, dalmatica, tunicella, stole, manipoli, velo e borsa, tutto confezionato con prezioso tessuto broccato d'argento.






Moraglia Patriarca: l'imposizione del pallio




Il Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia riceve il pallio dalle mano del Santo Padre alla Cappella Papale dei Santi Pietro e Paolo, nella Basilica Vaticana: le immagini dall'album Flickr del Patriarcato.




La missione di Pietro, tra inferi e chiavi





"Nel Vangelo di oggi [29 giugno ndr] emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt - perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso. Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio. Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera." 


BENEDICTUS PP. XVI  

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo 

29 giugno 2012, omelia



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