Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Il demonio e la monaca: la Beata Eustochio




Tanti non ne conoscono l'esistenza, ma la Diocesi di Padova, anche grazie al prezioso lavoro di Mons. Brazzale, prosegue nel divulgare le virtù eroiche della monaca patavina, beatificata da Papa Clemente XIII.
Una Beata, Eustochio che merita sicuramente di essere scoperta, in un epoca in cui molti credenti (e molti sacerdoti) non credono all'esistenza del demonio e delle sue possessioni. Di seguito riportiamo qualche cenno sulla vita della Beata Eustochio (testo tratto da santiebeati.it): 
La sua nascita non fu proprio legittima, Lucrezia Bellini nacque a Padova nel 1444, da una monaca del monastero benedettino di S. Prosdocimo e da Bartolomeo Bellini; a quattro anni il demonio s’impadronì del suo corpo, senza toglierle l’uso della ragione, tormentandola praticamente per tutta la vita. A sette anni fu affidata alle monache di San Prosdocimo che gestivano nel monastero una forma di educandato; la condotta della comunità non era proprio esemplare, ma Lucrezia agli svaghi mondani, preferiva il ritiro, il lavoro e la preghiera, era molto devota alla Madonna, a s. Girolamo e a s. Luca. Nel 1460 il vescovo Jacopo Zeno, alla morte della badessa, tentò d’imporre al monastero una maggiore disciplina, ma sia le monache, sia le educande, se ne ritornarono alle proprie case, rimase solo Lucrezia Bellini.
Giunsero allora in sostituzione nel monastero, le Benedettine provenienti dal convento di S. Maria della Misericordia, sotto la guida della badessa Giustina da Lazzara. Lucrezia ormai diciottenne, chiese di entrare nel loro Ordine e il 15 gennaio 1461, ebbe il nero abito benedettino, prendendo il nome di Eustochio; il demonio che da qualche tempo la lasciava in pace, si riaffacciò nel suo corpo, costringendola a fare atti contrari alla Regola, facendola addirittura esplodere in atti così chiassosi e violenti, che le consorelle ne furono terrorizzate e dovettero legarla per molti giorni ad una colonna.
Ma la quiete durò poco, dopo che Eustochio fu liberata, la badessa si ammalò di una strana malattia, fu incolpata lei, quasi considerandola un’ipocrita strega; fu chiusa in una prigione per tre mesi a pane ed acqua.
Ma tutte queste prove non avvilirono la novizia e a chi gli diceva di ritornare nel mondo o cambiare monastero, rispose che tutte quelle tribolazioni erano bene accette e che intendeva espiare la colpa da cui era nata, proprio là dov’era stata commessa; nella sua solitudine si confortava con la recita di un rosario o corona di salmi e preghiere, da lei stessa composte.
Una volta liberata, tornò ad essere tormentata dal demonio, con flagellazioni sanguinose, incontrollabili vomiti e altri strani patimenti che lei sopportava con inossidabile pazienza, ciò convinse le consorelle delle sue virtù e finalmente il 25 marzo 1465 fu ammessa alla professione solenne e come era usanza dell’epoca, due anni dopo gli fu imposto il velo nero delle benedettine.
La sua vita non fu lunga, era stata di grande bellezza ma le possessioni diaboliche, le malattie e le penitenze, l’avevano ormai ridotta ad uno scheletro vivente; gli ultimi anni di vita li trascorse quasi sempre a letto ammalata, assorta nella preghiera e nella meditazione della Passione di Gesù.
Morì il 13 febbraio 1469 a soli 25 anni, la sua fine fu così serena che il suo volto poté riacquistare l’antica bellezza; il demonio poche ore prima l’aveva lasciata finalmente in pace.
Eustochio è l’unico esempio che si conosca di una fedele arrivata alla santità, anche se per tutta la vita fu posseduta dal demonio.
Quattro anni dopo la sua morte, il corpo fu riesumato dal primitivo sepolcro, il quale cominciò a riempirsi d’acqua purissima e miracolosa, che cessò di sorgere solo quando fu soppresso il monastero.
Nel 1475 il corpo fu portato nella chiesa e dal 1720 fu collocato, visibile in un’arca di cristallo. Il monastero di S. Prosdocimo fu soppresso nel 1806 e il corpo della beata benedettina fu traslato nella chiesa di San Pietro sempre in Padova; sopra il marmoreo altare che contiene il suo corpo, sovrasta la pala dipinta del Guglielmi che rappresenta la beata, mentre calpesta il demonio.
Papa Clemente XIII, già vescovo di Padova, confermò il suo culto nel 1760, prima alla città patavina e poi esteso nel 1767 a tutti gli Stati della Repubblica Veneta.
La sua festa religiosa, ancora oggi officiata in tutta la diocesi di Padova, è al 13 febbraio.

Alla preziosa figura è stato dedicato un interessante blog, ricco di contenuti e preghiere.

Mozzette, stole, pantofole e camauri.





Avranno sicuramente suscitato curiosità i due interessanti articoli di Mons. Sanchirico, comparsi sull'Osservatore Romano nelle scorse settimane: il Cerimoniere papale ha delineato con precisione le origini (non cardinalizie, a quanto pare) dei colori e delle fogge degli abiti "pubblici" papali con qualche nota molto interessante, anche alla luce delle recenti disposizioni del Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Mons. Guido Marini, scatenate dal "revival" benedettiano degli ultimi anni. Un recupero quello di Benedetto XVI, secondo quanto scritto da Mons. Sanchirico, che soffre di un qualche disordine, come nell'impartire l'Urbi et orbi in stola e mozzetta anche se "non costituiscono abito liturgico in senso stretto; pertanto, non dovrebbero mai essere usate in sostituzione dei paramenti liturgici o del manto papale (piviale) per presiedere la liturgia delle Ore, per assistere a celebrazioni pontificali e dare la benedizioni Urbi et orbi". Sull'articolo del 24 luglio si precisa anche che "il colore della stola e degli altri accessori è in relazione al colore della mozzetta e non già del tempo liturgico, seguendo in ciò la simbologia dei colori papali", cosa che non corrisponde con gli attuali usi. Ma allora: un po' di chiarezza sul guardaroba papale o frecciatine a Mons. Guido? Staremo a vedere. Intanto, il Papa legge...




Immagini da Corbis e Daylife. Citazioni da "L'Osservatore Romano"

Papa Pio VI a Venezia (parte II)

La seconda parte della cronaca del viaggio di Pio VI in Venezia:


"Entrò il Doge , coi Proccuratori di S. Marco , i Cavalieri della Stola d’ oro , il Collegio, le Presidenze, e tutto il Corpo del Senato nella gran Sala d’ udienza . V’ era il Pontefice assiso in trono di veluto cremisino guernito d’oro , a cui si ascendeva per sette gradini coperti d’ uno strato di simil veluto, con fregi d’oro."

Il dì seguente desiderò il Pontefice di veder l’Arsenale: quel prezioso deposito, che fu il baloardo più stabile opposto alla prepotenza degl’ Infedeli . Vi fu condotto il Santo Padre in una superbissima gondola d’ oro , che i nostri antichi avrebber preso pel cocchio di Nettuno . I due Cavalieri Procuratori gli sedevano a lato . Venivan dietro in altre due gondole d’oro i suoi Prelati domestici , e Corte nobile . S. E. Stefano Valmarana Patron di Guardia , vale a dire , Presidente in quel mese alla Casa dell’Arsenale, lo accolse alle porte, lo complimentò, egli servì di guida insieme coi due Deputati, che 1′ avevano accompagnato . L’ ingresso fu rigorosamente vietato in tal incontro a chichesia . Vi si trattenne ben due ore Sua Santità , vedendo e ammirando i preziosi depositi, che vi si conservano , e que’ cantieri famosi , da cui sortirono le flotte poderose , che unite al generosi soccorsi de’ Pontefici suoi predecessori fiaccarono 1′ orgoglio Turchesco ai Curzolari . Visitò le gran sale d’armi , dove osservò ì trofei formati colle spoglie degl’Infedeli , e le armature de’ più valorosi Veneti campioni di Cristo . Il rinfresco preparato a Sua Santità dall’ Eccellentissimo patron di guardia fu magnifico , e squisito . A 16 ore il Santo Padre uscì dall’Arsenale lasciandovi contrasegni da Principe generoso , e andò a visitare la Chiesa Patriarcale di Castello . Entrò in Patriarcato , dove gli fu baciata la mano dalla Nobil Donna Giulia Calbo Giovanelll madre di Monsignor Patriarca . Le dimostrazioni di paterno affetto di Sua Santità verso quel santo Prelato diedero a conoscere quanto Pio VI apprezzi e veneri la cristiana virtù. Da Castello passò al Convento di Santa Caterina, volendo onorare la memoria di Clemente XIII nella persona di una nipote di lui , che vive monaca , Abbadessa di quel Convento di Dame. Erano già le 18 quando Sua Santità entrò di nuovo in Convento a SS. Giovanni , e Paolo . Allora furon ammesse nella Sala d’ udienza al bacio della mano molte Dame Venete , e Forestiere . Altri riguardevoll Soggetti furon dopo ammessi da Sua Beatitudine nelle stanze del suo appartamento . Prima di pranzare diede al popolo numerosissimo la benedizione . Riposò , e alle 20 ammise diversi altri Patrizj Veneti al bacio della mano, ed a quello del piede altre persone de’ ranghi inferiori ; ceremonia, ch’ebbe luogo fino alle tre della sera. La mattina del Sabato nelle sue gondole dorate fu condotto alla Chiesa di S. Marco , accompagnato dai due Cavalieri Procuratori Deputati , e da molti Vescovi , e Prelati . La Basilica era tutta illuminata e fornita , come suol essere nella notte di Natale . Vi fu ricevuto da S. E. Niccolò Errizo Procurator di S. Marco . All’ ingresso del Sommo Pontefice nella Chiesa fu cantato al solito 1′ Ecce Sacerdos magnus . Osservò Sua Santità con attenzione il tesoro dell’ altar di S. Marco i mosaici , e que’ fregj preziosi che rendono celebre quest’ antichissimo Tempio . Benedisse replicatamente il popolo , e per la parte della piazza di S. Marco denominata la piazzetta passò di nuovo nelle sue gondole, che lo tragitarono a S. Giorgio Maggiore , isoletta a mezzodì della Piazza, e contigua alla punta orientale della Zuecca, che non è lontana più di un quarto di miglio. Su questa isoletta s’erge un antico Monastero di Benedettini, fondato dalla pietà de’ Dogi di Venezia . Il Tempio che vi è annesso è celebrato per l’architettura , e per le pitture che l’adornano , ond’è che volle vederlo il Santo Padre . L’ accolsero que’ Monaci rispettabili con gran decoro , e furono da Sua Beatitudine ammessi al bacio della mano. Desiderò di visitar parimenti il Redentore , votivo grandioso Tempio fabbricato nella Zuecca a spese della Repubblica, e custodito da PP. Cappuccini. Partendo da S.Giorgio vi fu condotto . Quantunque non sia questa Chiesa paragonabile alle maggiori di Roma , ne ammirò la struttura il Santo Padre sul giusto riflesso d’ esser piantata in mezzo al mare , e appoggiata sopra un molle, e fangoso terreno. Prima di partire permise a que’ Religiosi il bacio del piede. Si sperava che visitasse anche la Salute altro magnifico Tempio alzato per voto pubblico sul principio del Canalizzo a spese del Principato . Ebbe anche in pensiere di andarvi il Santo Padre il Giovedì antecedente ; allorché altre più gravi occupazioni lo trattennero nelle sue stanze . Ma volendo Sua Beatitudine onorare di visita la Chiesa de’ SS. Gervasio , e Protasio , che diciam S. Trovaso, parocchiale della Contrada, in cui sta il palazzo di S. E. Cavaliere Procuratore Alvise Contarini , tralasciò di recarsi alla Salute . Non volle però ommettere di vedere la Confraternità , o Scuola di San Rocco , e la sua Chiesa contigua, ricche di reliquie, e di pitture. Osservò le opere de’ più valenti penelli che ivi conservansì, e mentre dopo aver ammessi al bacio del piede il Signor Guardiano Francesco Curnis, e gli altri Confratelli , stava per uscire, vide con sorpresa, e con aggradimento nel luogo stesso, dove prima aveva ammirato un quadro insigne, una lapida di marmo, dove lesse la seguente iscrizione

PIO VI. P. O. M. Religiosa peregrinatione confecta AEdem hanc Perhumaniter invisenti Sodalitium ad gratiam beneficii Ad AETERNAM POSTERITATIS MEMORIAM P. Anno MDCCLXXXII. 
Più dello stile piacque al Santo Padre l’improvisa esecuzione di questo primo monumento eretto stabilmente in marmo per memoria del suo viaggio. Ritornato all’alloggio benedisse replicatamente il popolo, e permise il bacio del piede al ogni rango fino all’ ora solita . Non intervenne il Santo Padre alla Cantata fatta fare dal Procuratore Cavaliere Manin , ch’ebbe luogo quella sera stessa con invito di tutta la Nobiltà, e con isquisito cautissimo rinfresco . Lo spettacolo fu grandioso , e corrispondente al merito del Personaggio, pur cui era stato ideato. Furono anche regalati a tutti i libretti della poetica Composizione elegantemente impressi, e ornati, come cosa interessante nell’occasione, benché in se stessa di poco conto. Volle S. E. Procurator Cavaliere, che la Cantata fosse ripetuta la sera susseguente per divertimento anche della classe de’ Cittadini , che non ebbero l’acceso là prima volta: atto di cortesia molto gradito dalla città. La Domenica era il giorno fissato da Sua Santità per la partenza, non essendo stato possibile il trattenerlo più lungamente. Era il dì delle Pentecoste, in cui la Chiesa commemora la discesa del Divino Spirito ; e il Santo Padre volle in persona celebrare la solennità d’un tal giorno, coll’ assistere in persona la messa pontificalmente celebrata da Monsignor Patriarca .


il Doge Paolo Renier

V’intervenne il Doge Renier col Senato, e tutto il fiore della Veneta Nobiltà . Assistevano al Santo Padre vestito cogli abiti pontificali i due Cardinali Buoncompagni , e Corner, tutti i Vescovi dello Stato , e Monsignor Ranucci. Fosse prevenzione, o verità fu osservato che il concorso delle Donne, benché grande, non era tanto straordinario, quanto si supponeva, e si atribuì al timore di qualche rovina nel tetto della Chiesa . Questo timore non era già fondato sulla poca solidità di quel tempio ; ma appoggiato su certa denominata dal volgo profezia , che dovesse in un giorno di straordinaria funzione rovinare un tempio dedicato a due Santi . Vi entrava il sospetto , che toccasse la sorte alla Chiesa de’ SS. Giovanni, e Paolo , e ciò , che pare incredibile , bastò a parecchi per non entrare quel giorno in questo tempio. Terminata la Messa si fece la funzione di benedir solennemente il Popolo . Era impossibile , che l’ immensa popolazione di Venezia capisse nella piazza di quel tempio , la quale è delle meno spaziose della città , e quantunque fosse stato coperto d’ un tavolato tutto il largo canale , che la fiancheggia , non fu possibile che tutti vi avesser luogo . Queste diffìcoltà erano state prevedute , e perciò si era pensato di eseguire tal cerimonia nella gran piazza di S. Marco . A tale oggetto era stata con maestrevole industria fabbricata una magnifica facciata di legno sul modello di quella di S. Marco, con loggia , e scale magnifiche, dall’ alto della quale Sua Santità potesse dar solennemente 1′ Apostolica sua benedizione . Ma avendo Sua Beatitudine desiderato di far ciò dalla Chiesa del Convento dove abitava , colà fu trasportata , e accomodata la stessa facciata , e loggia . Allorché apparve il Sommo Pontelìce il silenzio fu profondo, e universale. Stavano nella tribuna il Doge, i Cardinali, e il Nunzio Apostolico , i Senatori , e i Prelati erano inginocchiati sulle due scale. Recitò il Santo Padre alcune;, orazioni, e letta dai Cardinali 1′ indulgenza plenaria diede tre volte la benedizione al Popolo. Migliaja di spari ne avvertirono tutta la città. Le voci di giubbilo, e le acclamazioni fur ripetute più volte. Sua Santità a benefizio d’ un popolo tanto divoto , volle concedere un giubileo di 15 giorni a tutta la città . Congedatosi il Doge , ed il Senato dal Santo Padre per ritornare ai Palazzo Ducale Sua Beatitudine prese qualche momento di riposo . Indi entrato nella sua gondola, seguita dalle altre del suo seguito passò direttamente al Palazzo Ducale per fare alla Repubblica i suoi ringraziamenti per 1′ onorifico , e regio trattamento ricevuto. Trovò il Doge Renier nelle sue camere colla Serenissima Signoria , dinanzi a cui gli fece un graziosissimo complimento . Mostrò piacere di veder le belle pitture della Sala del Maggior Consiglio , e delle altre che adornano tutto il Palazzo ducale . A 20 ore sì staccò dal molo della Piazzetta nella barca de’ due Deputati Cavalieri Procuratori , che gli sedevano a lato. Il Patriarca , e tutti i Vescovi lo stavano aspettando in terra a Fusina sul margine della Laguna. Quando ebbe posto piede a terra Sua Santità espresse a Monsignor Giovanelli , e agli altri Prelati il suo aggradimento con umanissime parole . Il popolo che vi era accorso ricevette per l’ ultima volta la pontificia benedizione. Sua Santità montò nella sua carrozza : la precedevano i Dragoni a cavallo, e i Corrieri della Serenissima Repubblica. La seguivano l’altre carrozze dei due Deputati, e del seguito. Con tal corteggio arrivò al Portello, porta di Padova per cui entrò verso notte , e vide passando tutta quella lunghissima strada , che conduce a Santa Giustina illuminata con cera . Il Pra della Valle era di nuovo illuminato anch’ esso con tre ordini di lumiere nel circo della Fiera, e con tre macchine di fuochi all’ Inglese . Alla porta si unirono al seguito di Sua Santità più di 200 carrozze, che l’accompagnarono fino all’alloggio. S. E. Rappresentante, e il P. Abate lo ricevettero, e lo condussero al suo appartamento. Prima di cenare Sua Santità ammise al bacio della mano alquante persone di condizione . Il trattamento fatto preparare da S.E. Rappresentante fu al solito grandioso, e lautissimo. Vi furono a tavola separata 54 Prelati, o Nobili . Quattrocento persone alloggiarono quella notte nel Monastero. La Chiesa, e la facciata furono illuminate a spese de’ Monaci. A sì replicate dimostrazioni di generosi sentimenti , e di divozione fu molto sensibile 1′ animo grande di Pio VI, e ne dimostrò speciale aggradimento. La mattina seguente diede distinti contrassegni di benevolenza a S. E. Cavaliere Rappresentante , cui dopo aver udita la Messa in Santa Giustina , e data al Popolo la benedizione , baciò in fronte , e regalò di ricca corona da Cavaliere. Non obbliò la Dama Sposa di S. E. la Nobil Donna Polissena Contarini Mocenigo , ch’ ebbe da Sua Beatitudine in regalo altra corona d’ agata , con medaglia d’ oro : ma dell’ oro più preziose furono per loro Eccellenze le affettuose parole , che lor diresse Sua Santità. Alle 13 il Santo Padre era già in viaggio di nuovo , dirigendo la sua marcia a Ferrara per la via di Conselve e d’ Anguillara . Al passo del Canal bianco trovò un rinfresco fattogli preparare da S. E. Rappresentante . A Rovigo fu ricevuto e complimentato da S. E. Marco Moro Podestà , e Capitanio del Polesine , e da Monsignor Vescovo d’ Adria , Residente in quella città . Di là proseguì il suo viaggio verso Ferrara . I due Deputati della Serenissima Repubblica , che accompagnato 1′ avevano dappertutto si congedarono da Sua Santità a Canaro, luogo di confine col Ferrarese . Passò il Po io stesso giorno , ed arrivò felicemente ne’ suoi Stati settantadue giorni dopo che n’ era uscito , e ottantatre dacché avea lasciata Roma . Quale sia stato il frutto di questo viaggio straordinario , e 1′ esito de’ colloquj di Pio VI con Giuseppe II , il tempo solo potrà dimostrarlo . 



"A tale oggetto era stata con maestrevole industria fabbricata una magnifica facciata di legno sul modello di quella di S. Marco, con loggia , e scale magnifiche, dall’ alto della quale Sua Santità potesse dar solennemente 1′ Apostolica sua benedizione"

testo tratto dal blog CASATO RENIER

Veneti episcopi: Lorenzo Giustiniani





Lorenzo Giustiniani, primo Vescovo di Venezia a portare il titolo di Patriarca,
in un ritratto di Gentile Bellini.


Canonizzato il 16 ottobre 1690 da Papa Alessandro VIII.

Papa Pio VI a Venezia (parte I)

Riportiamo, suddivisa in parti per agevolarne la lettura, l'interessantissima cronaca del viaggio di Pio VI in Venezia:



da
STORIA DEL VIAGGIO DEL SOMMO PONTEFICE PIO VI
Colla descrizione delle accoglienze, cerimònie, e funzioni seguite in tutti i luoghi, dove sì fermò, e spezialmente nello Stato Veneto. nell’Anno 1782.


Il viaggio per acqua da Padova a Venezia è facile , e dilettevole . L’amenità, e la verdura delle campagne intersecata di passo in passo da deliziosi giardini, e da superbi palazzi, accorciano per così dire il viaggio, col dilettare perpetuamente con vaghi oggetti la vista . Alla Mira si congedò il Rappresentante, per non oltrepassare le frontiere della sua provincia [patavina] . Frattanto il Doge Renier co’ suoi Consiglieri , i Capi della Quarantia Criminale, i Savj, che formano ciò che si chiama il Collegio o Serenissima Signoria , e rappresentano la Repubblica, si erano staccati da Venezia per andar incontro al Santo Padre . Le barche seguivano a migliaja. A mezzodì si vider serrate tutte le botteghe della città , ch’ era tutta in movimento . Si fermò il Doge coll’ Eccellentissimo Collegio all’isoletta di S. Giorgio d’ Alega , situata sulla sponda di quel vasto , e profondo canale , che da Fusina conduce a Venezia , e vi scese per aspettarvi Sua Santità. Alcuni spari , fatti nel momento del suo arrivo nell’isola, furono creduti in Venezia i segnali dell’ avvicinamento del Sommo Pontefice , e ad un tratto tutte le campane della città fur suonate alla distesa. Tutti i Vescovi dello Stato Veneto invitati alla Dominante in quest’occasione, e prima di tutti il Patriarca si avvanzarono fino al Moranzano. Il Papa non arrivò a S. Giorgio, che verso le ore 22. Il Doge Renier vedendolo avvicinarsi s’ accostò alla riva per accoglierlo , e complimentarlo . Il Sommo Pontefice lo sostenne nel momento che voleva prostrarsegli , ed insieme con lui entrò ad orare per breve tempo nella Chiesa del Convento di quell’ isoletta. Il Serenissimo invitò Sua Santità ad entrare nella barca ducale , che diciam Peattone ; barca molto capace, fregiata d’ intagli dorati , e ricoperta di veluto cremisino ; ma pesantissima , e condotta a rimurchio . Vi entrarono con Sua Beatitudine anche Monsignor Patriarca , e i Nunzj Garampi, e Ranucci. Benché l’isola di S. Giorgio non sia due miglia lontana da Venezia il viaggio durò buona pezza per la lentezza delle barche ducali ; ma questa lentezza appunto rese lo spettacolo più grandioso, e più bello . Il ritardo accrebbe la curiosità . Una flotta innumerabile di barche s’ era radunata nel Canale della Zuecca , ch’ è poco men largo dell’ alveo del Po. In questo canale , che più d’ un miglio si estende in lunghezza, e separa da Venezia la catena d’ isolette, che hanno quel nome, e quella di S.Giorgio Maggiore, erano state disposte in cordone sette galere , parecchie fuste , e molti altri vascelli, che colla loro artiglieria dovevano salutare il Santo Padre , e la Serenissima Signoria , mentre passavano . Le più picciole barche , che vi concorsero lo cuoprivano da una sponda all’ altra, e sembravano una specie d’ isola natante carica d’ uomini , che s’avanzasse verso il cuore della città . I nostri annali non fan memoria d’altro spettacolo , che sia l’immagine di questo . Le rive del gran canale eran tutte coperte di popolo , n’ eran piene le finestre , n’ eran carichi i tetti . Romoreggiava sull’ acque il rimbombo dell’ artiglieria de’ naviglj , lo strepito delle campane , il mormorio dell’ onde spezzate da’ tanti remi, e l’eco delle acclamazioni d’un popolo grande e pìen di giubbilo . La commozione degli animi penetrati dai sentimenti della religione , retaggio del Popolo Veneto , aumentava l’ impressione d’ un tale spettacolo . Con questo trionfale apparato entrò Pio VI nel canal della Zuecca dentro la barca ducale. Quella che l’aveva condotto a S. Giorgio veniva in seguito , con 1′ altre del Pubblico, del Patriarca, de’ Vescovi , e del Nunzio Apostolico , e una flotta di gondole . Le Galere schierate nell’ ingresso del canale fra Santa Marta , e la Zuecca salutarono Sua Santità con 21 spari , e questa salva fu replicata da tutti i vascelli del porto . Dal canal della Zuecca piegaron le barche nel Canalazzo , che attraversa serpeggiando tutta la città , e che ha comunicazione con tutti gli altri interni canali che rendon Venezia un gruppo d’ isolette coperte di palazzi , e di case. La struttura piatta delle barche Ducali non permisero, che il Santo Padre godesse la magnifica prospettiva de’ bei palazzi di marmo , che fiancheggiano il canal grande , e ciò che più rincrebbe al popolo , di non poter esser veduto liberamente, e dare a tutta la gente, che stava schierata sulle rive, l’Apostolica sua benedizione. Passò sotto il gran ponte di Rialto, l’unico che sia sul Canalazzo, ed entrò nel rio di Noale, che per la denominata Sacca della Misericordia conduce all’ altra parte della Laguna verso settentrione delle città. In quella entrato, costeggiando la spaziosa riva detta delle Fondamente nuove , imboccò il canale de’ Mendicanti , che conduce a dirittura al Convento di San Giovanni e Paolo . Il giorno era già finito, allorché il Santo Padre con Sua Serenità , e suo seguito pose piede in terra a quella riva comodamente aggiustata per tal oggetto . Il Convento era già tutto illuminato . Ventiquattro livree colle torcie lo scortarono all’ appartamento , dove congedossi il Doge Renier, e il Collegio per ritornarsene a palazzo. La cena non fu a lungo diferita , e fu sontuosamente imbandita. La mattina seguente non tardò il Senato a portarsi in corpo a far visita , e complimentare Sua Santità . Entrò il Doge , coi Proccuratori di S. Marco , i Cavalieri della Stola d’ oro , il Collegio, le Presidenze, e tutto il Corpo del Senato nella gran Sala d’ udienza . V’ era il Pontefice assiso in trono di veluto cremisino guernito d’oro , a cui si ascendeva per sette gradini coperti d’ uno strato di simil veluto, con fregi d’oro. Il Doge Paolo Renier si avanzò a piè del trono , e indirizzò a Sua Santità qualche parola di complimento a nome della Repubblica , che fu accolto dal Santo Padre con soavi , e gentilissime espressioni . Il Papa , e il Doge si posero a sedere accanto 1′ uno all’ altro , stando la sedia dì Sua Serenità alquanto obliquamente collocata , e si trattennero per quasi un’ ora in offizioso colloquio . La presenza del Sommo Pontefice , la maestà del Senato , e del Doge coll’ insegne del Principato, ventidue Vescovi dello Stato Veneto, ed altri Soggetti riguardevolissimi , formavano un’ augusta assemblea . Gli occhi d’ognuno eran fisi in Pio VI. Spira dal suo viso la grandezza d’ un animo nobile , la pietà , e certi tratti che annunziano in lui un cuor sensibile , e uno spirito pronto. Alla sua naturale avvenenza gran risalto dava l’abito ch’ egli portava . Aveva i capelli decentemente innanellati , ed in capo un bianco berrettino , una purpurea mantellina sulle spalle , sottoveste bianca , calze di seta bianche , e scarpe di velluto rosso segnate dì croce bianca . Tal suo vestito sembrava mostrar assai bene in lui il suo carattere di Sommo Sacerdote del Dio della Pace . Terminata la visita di complimento discese Sua Santità col Doge , e preceduti dal Patriarca , dai Vescovi , e dal Clero della Basilica di S. Marco , venuto in piviali a far omaggio a Sua Santità, entrarono nella Chiesa de’ SS. Giovanni e Paolo . La nave di mezzo di questa Chiesa era stata separata con tre steccati . Il Papa col Doge , e il Senato occuparono il primo . I Patrizj in toga nera empivano il secondo ; e nel terzo stavan le Dame . L’ingresso in questi due steccati non fu permesso che alla Nobiltà nazionale e forestiera . Le persone di minor rango e gli ecclesiastici furon ammessi nelle altre due navi laterali . All’entrar del Pontefice si udì cantare dai Musici l’ Ecce Sacerdos magnus . Giunto all’ Altar maggiore fu intuonato dal Patriarca il Te Deum , che venne cantato dalla Cappella Ducale . La musica fu strepitosa, ed eccellente , diretta dal Buranello [Baldassarre Galuppi], e accompagnata da 100 strumenti . Tutta questa truppa di Musici , e Suonatori era disposta in due artefatte cantorìe di mirabil invenzione , eseguite con impareggiabile maestria in pochi giorni , e ornate riccamente di nobilissimi fregj . I spari furono continui , finché durò la funzione . Ritornato Sua Santità in Convento , si congedò il Doge Renier e il Senato . Ammise poscia il Santo Padre all’ udienza il Corpo Diplomatico residente presso la Repubblica , e tutti i Cavalieri e Prelati forestieri. Alle ore 18 diede al popolo, che empiva la corte del Convento , 1′ Appostolica Benedizione da una loggia del Chiostro , formatavi per tal oggetto . La replicò verso sera , non avendo voluto uscir di Convento quel giorno , come dapprincipio si era proposto di fare . Si traspirò che i dispacci recatigli da suoi Stati aveano più dell’ ordinario occupato il Santo Padre . I più curiosi parlarono anche di certe novità , che il fatto provò non essere d’ alcuna conseguenza . Al cominciar della sera vi fu baciamano nella gran Sala d’ udienza per tutto il Corpo Aristocratico . Si calcolò che 700 Patrizj vestiti in toga nera vi concorressero quella sera , oltre molt’ altra Nobiltà forestiera . Alle 3 ore Sua Santità si ritirò nelle sue stanze.

Pio VI benedice la folla a San Zanipolo

Veneti episcopi: Bernardo de' Rossi





Bernardo de' Rossi, Vescovo di Treviso ritratto da Lorenzo Lotto, nel 1505.

Amplificazione acustica e Forma Extraordinaria




L'amplificazione acustica è stata sicuramente una delle più grandi novità del'900, anche in campo chiesastico: i moderni apparecchi comparvero sugli Altari già agli inizi degli anni '40 e a Roma, dove la novità fu accolta positivamente, finalmente tutti potevano udire chiaramente la voce del Pontefice. Il microfono conquistò in poco tempo una posizione di notevole riguardo tra presbiteri ed Altari, almeno nelle Basiliche e nelle Cattedrali, tanto da giocare un ruolo molto influente nella Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II, affermandosi come strumento importante per diffondere la Liturgia della Parola in modo omogeneo, a tutti i fedeli.



Pio XII celebra la Messa Papale: sull'Altare della Confessione sono visibili tre microfoni.

Oggi i microfoni nei presbiteri sono quadruplicati e tante chiese sono state dotate di super impianti da far invidia alle balere e alle discoteche, con casse di diffusione e cavi sparsi un po' ovunque con risultati molto discutibili. Ma assieme ai numerosi parroci contagiati dalla "microfonomania" possiamo benissimo accostare anche quei Sacerdoti che Celebrano con la Forma Extraordinaria del Rito Romano colpiti dalla "microfonofobia". A questi ultimi, forse spaventati da un apparecchio che può sembrare chiassoso o legato a "spiriti liturgici" non consoni alla Messa Gregoriana, consigliamo la lettura del documento della S. Congregazione dei Riti, l'Instructio de Musica sacra et sacra Liturgia (...) datato 3 settembre 1958:


"E' lecito l'uso degli apparecchi chiamati "amplificatori", anche nelle azioni liturgiche e nei pii esercizi, se si tratta di amplificare la viva voce del Sacerdote celebrante oppure del "commentatore" o di altri che, secondo le rubriche o per ordine del rettore della chiesa, possono parlare" 
Il microfono dunque non è incompatibile con il Messale del 1962 ma anzi, in chiese ampie può essere un valido aiuto per la buona comprensione del Rito da parte dei fedeli e per i Sacerdote celebrante, non costretto ad aumentare a dismisura i toni nelle preghiere che le rubriche prevedono pronunciate ad alta voce. Per amplificare al meglio l'Altare, è quindi consigliabile l'uso di due apparecchi, disposti all'Epistola e al Vangelo, assicurando così anche uno spazio "inamplificato" per le parole da recitare in secreto. Perfetti quei piccoli microfoni panoramici (disponibili anche di forma piatta) spesso poco ingombranti, che assicurano una delicata amplificazione, e facili da posizionare sulle mensole dell'Altare all'occorrenza.



Memento mori




Padova, Chiesa degli Eremitani, sepolcro.

foto B. R.

Come servire la Santa Messa nella Forma Ordinaria del Rito Romano: parte I





Questa serie di articoli è dedicata a tutti quei ragazzi e fanciulli che hanno desiderio di imparare a Servire Messa nella maniera più corretta e dignitosa possibile. Nel mio intento vuole essere un aiuto a tutti quei chierichetti che fanno ancora fatica a destreggiarsi tra messali e ampolline.

Caro chierichetto: innanzitutto è buona norma che tu arrivi in chiesa per tempo, vale a dire mezz’ora prima dell’inizio della celebrazione.
Per prima cosa ti rivestirai della talare e della cotta; oppure della veste bianca o della tarcisiana se nella tua chiesa vige quest’uso. È altresì conveniente fare il segno di croce prima di indossare le vesti, accompagnando quest’atto con una breve preghiera: 
Indue me, Dómine, novum hóminem, qui secúndum Deum creátus
est in iustítia et sanctitáte veritátis.
Rivestimi, Signore, dell'uomo nuovo che è stato creato secondo Dio
nella giustizia e nella santità della verità.

Dopo di ciò raccogliti in silenzio a pregare e a prepararti per l’alto compito a cui sei chiamato.
Prima della Messa, quando il Sacerdote avrà indossato i sacri paramenti farete un inchino al crocifisso o altra immagine sacra presente in sacrestia, dopodiché, al suono della campanella vi incamminerete in processione, tu davanti e il Sacerdote dietro. 
Ecco come servire correttamente la S. Messa, ad uso di un solo ministrante:
Giunti processionalmente in presbiterio, farai assieme al sacerdote una genuflessione nella direzione del tabernacolo. Successivamente farete un inchino verso l’altare (se l’altare è lo stesso sopra cui è presente il tabernacolo si fa solo la genuflessione.) e prenderai posto alla sede, davanti allo sgabello posto alla destra del celebrante.
Il Sacerdote poi comincerà i riti di introduzione, in questo momento della Messa devi ricordarti di fare alcune cose:
1) chinerai il capo ogni volta che verrà menzionato il nome Santissimo di Gesù, cosa che dovrai continuare a fare per tutto l’arco della celebrazione.
2) Al “confesso” ti batterai leggermente il petto per tre volte alle parole: "Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
3) Al momento del kyrie (Signore Pietà) risonderai dopo il Celebrante: Signore pietà, - Cristo pietà, -Signore pietà.
4) Reciterai il Gloria assieme al Sacerdote, ricordandoti di fare un segno di croce alle parole: “Nella gloria di Dio Padre. Amen.”
5) Farai un leggero inchino alle parole: “Preghiamo” e alla fine dell’orazione.

Finita l’orazione, comincia la liturgia della Parola. In questo momento ti siederai sullo scranno, non prima di aver sollevato leggermente la casula o la pianeta del Celebrante, di modo che non abbia a stropicciarsi contro lo schienale della sede.
Risponderai: “rendiamo grazie a Dio” alla fine della prima e della seconda lettura e ripeterai assieme ai fedeli il ritornello del salmo responsoriale.
Finita la seconda lettura ti alzerai assieme al Celebrante e ai fedeli per il canto dell’alleluia.
Dopo il canto dell’alleluia, il celebrante o un altro sacerdote o diacono se presenti, daranno inizio alla proclamazione del vangelo con le parole: “Il Signore sia con voi” a cui tu risponderai “e con il tuo spirito” poi continuerà:”Dal Vangelo secondo (N…)” e tu risponderai: “Gloria a te o Signore” facendoti al contempo tre piccoli segni di croce sulla fronte, sulle labbra e sul petto con il pollice della mano destra.
Finito il vangelo risponderai :“Lode a te o Cristo” e ti porrai a sedere sullo scranno durante l’omelia.
Finita l’omelia, dopo che il celebrante avrà ripreso posto sullo scanno e fatto una breve pausa di silenzio ti alzerai assieme a lui per la recita del Credo. Durante questa preghiera devi ricordarti di inchinarti (genufletterti il giorno di Natale e il 25 Marzo) dalle parole: “discese dal cielo” alle parole “si è fatto uomo”.

Finita la recita del Credo inizierà la preghiera universale, comunemente detta “preghiera dei fedeli".
Finita questa, anche la liturgia della Parola si è conclusa e inizia l’offertorio.
Appena finita la preghiera universale ti recherai alla credenza dove prenderai il messale e lo porterai sull'altare, posizionandolo leggermente a sinistra rispetto al centro; poi, tornato alla credenza, prenderai il Calice con la mano destra all’altezza del nodo e la sinistra leggermente posata sulla sommità e lo poserai sull’altare, in modo che il celebrante possa prenderlo.
Dopo aver posato il calice, prenderai le pissidi, se ci sono e le porterai nello steso modo all’altare. Poi, prenderai il manutergio, se non lo hai già in mano, e lo stenderai vicino al bordo dell’altare, in modo da poter appoggiarci sopra le ampolline che andrai a prelevare dalla credenza non prima di aver tolto loro il tappo e posato sulla credenza stessa. Una volta che il Sacerdote avrà versato il vino nel calice, prenderai l’ampollina e la riporterai alla credenza, Poi tornerai per prendere anche l’ampollina dell’acqua e il manutergio.
Fatto questo prenderai con la mano sinistra il piattino delle ampolline tenendo contemporaneamente tra le dita un angolo del manutergio, in modo che penda sotto la mano e con la destra l’ampollina del’acqua. In questo modo ti avvicinerai al Sacerdote, verserai delicatamente l’acqua sulle sue mani tenendo sotto il piattino. Solleverai leggermente la mano sinistra in modo che il sacerdote possa asciugarsi con comodo le mani con il manutergio e, fatto un leggero inchino tornerai alla credenza dove ripiegherai il manutergio, verserai l’acqua del piattino nell’apposito vasetto e rimetterai a posto le ampolline, prenderai il campanello e ti posizionerai alla destra del sacerdote, leggermente indietro.
Quando il sacerdote dirà: pregate fratelli perché questo sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente, tu risponderai: Il Signore riceva dalle tu mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa chiesa.
Quando terminerà il canto o la recita del Sanctus e comincerà il Sacro Canone: darai un segnale con il campanello e ti metterai in ginocchio. Suonerai il campanello tre volte alla elevazione dell’Ostia e tre volte all’elevazione del Calice. Dopo che il Sacerdote ha dette le parole: “Mistero della fede”, darai un ultimo segnale con il campanello e ti alzerai in piedi prima di rispondere: “ Annunciamo la tua morte Signore… etc.” (Sarebbe buona norma, ma non obbligatorio che rimanessi in ginocchio per tutta la durata del canone, in tal caso, non suonerai il campanello a “Mistero della Fede” ma alla fine: Per Cristo, con Cristo e in Cristo……Amen.” Dopo di che ti alzerai.)
Terminato il Canone reciterai o canterai assieme al Sacerdote e alla Congregazione dei fedeli il Padre nostro. Dopo che il Celebrante pronuncerà una breve invocazione e tu risponderai: “tuo è il regno, tua è la potenza e la gloria nei secoli.
Quando il Sacerdote distribuisce la comunione, tu prenderai l'apposito piattino e ti metterai alla destra del Sacerdote e posizionerai il piattino sotto il mento del fedele che si comunica, affnchè briciole di Ostia contenenti lapresenza Reale di Nostro Signore non cadano per terra; altrimenti ritirati a lato del presbiterio, presso la credenza. Li, prega il Signore e ringrazialo per il dono che ha fatto nella SS. Eucarestia.
Quando il Sacerdote, dopo aver distribuito la comunione sarà rientrato nel presbiterio e avrà riposto le Particole avanzate nel tabernacolo, tu avvicinati a lui reggendo l’ampollina dell’acqua e versagliene un po’ nel Calice che lui ti porgerà, in modo che possa purificarlo. Fatto questo, riporta l’ampollina alla credenza.
Quando il Sacerdote avrà finito di purificare il calice e avrà ripiegato il corporale sopra di esso, tu prendilo e riportalo alla credenza, assieme alle eventuali pissidi vuote. Finito ciò, torna alla sede facendo prima un inchino verso l’altare.
Alla fine della messa, dopo il canto finale, assieme al Sacerdote avvicinati all’altare e fai un inchino, poi, sempre assieme al Sacerdote farai una genuflessione verso il Tabernacolo e ritornerai in sagrestia sempre precedendo il Sacerdote.
In sagrestia farai un inchino al crocifisso assieme al Sacerdote e pronuncerai la parola “Prosit” o in alternativa: “proficiat” entrambe queste parole significano: [questa messa] ti sia di giovamento. 
Completato anche ciò, puoi andare a riporre la veste.

Splendori patavini: Vallotti e le Lamentazioni





Praticamente sconosciuto hai più, Fra Francesco Antonio Vallotti fu compositore e teorico musicale assai illustre ai suoi tempi, tanto da richiamare a Padova, ove lavorava come Maestro della Cappella Musicale della Basilica di Sant'Antonio, anche i Mozart, lanciati nel loro tour italiano. Nato a Vercelli nel 1697 passò gran parte della sua vita tra le splendide cantorie della Basilica e le celle del Convento del Santo. Autore di una vastissima raccolta di musica sacra, questa è conservata negli archivi della Cappella Musicale e  gelosamente custoditi tra gli splendidi scaffali della Pontificia Biblioteca Antoniana. Oggi, grazie al Centro Studi Antoniani è possibile accedere al vasto catalogo musicale di Fra Vallotti. 

"Vallotti, oltre ad aver detto che la sua teoria è scientifica, ha anche detto che la musica scientifica è la base della pratica ben regolata. (..) Vallotti è convinto che di fronte a qualsiasi dissonanza può stare l'intero accordo consonante, compresa la nota sulla quale deve risolvere. Vallotti applica questa dottrina, questa regola ma a modo suo (?) Poi vi sono i privilegi goduti da quella settima minore (?) la quale è di natura ambigua, né consonanza né perfetta e vera dissonanza. Da questa dottrina dei privilegi goduti dalla settima minore derivano moltissime conseguenze, tanti accordi del tipo di quelli dell'Ave verum corpus di Mozart (?) passare da consonanza a dissonanza senza muoversi ecc. E'un'estetica propria, non romantica, che merita ogni interesse e porta a scoprire che Vallotti non era un altro Bach, un altro Tartini o Vivaldi; era l'originale e unico Vallotti" 
prof. Mark Lindley 
Proponiamo dunque la "Lezione II per il Venerdì Santo" per violoncello, basso continuo e alto, parte della serie di Lamentazioni della Settimana Santa composte e probabilmente eseguite in Basilica nel 1740:






Sino alla Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II la lettura di questi cinque poemi "Lamentazioni",veniva proposta durante la Settimana Santa nell'ufficio notturno del Breviario. I poemi descrivono la desolazione vissuta dal popolo ebraico, il loro lamento sulle rovine della Gerusalemme distrutta, come i cristiani lamentano la Passione di Gesù Cristo. Una tradizione del II sec. le attribuisce a Geremia, ma verosimilmente furono composte dopo la distruzione del 587 a.C.

La Festa del Redentore





Ieri, puntualmente, migliaia di persone si sono riversate tra le calli veneziane pronte a sfidare l'afa estiva per godersi il grandioso spettacolo di fochi d'artifizio che ogni anno, nel sabato che precede la terza domenica di luglio, trova cornice nel Bacino di San Marco. Migliaia di persone probabilmente inconsapevoli di assistere ad una delle più solenni tradizioni cristiane in Venezia, che trae le sue origini dal lontano 1576. Propongo di seguito un efficace scritto di Fabio Bortoli che delinea in modo esaustivo le origini della Festa:

La Festa del Redentore ricorda ogni anno ai Veneziani il flagello della peste che dal 1575 al 1577 provocò oltre 45.000 vittime in meno di 2 anni, tra cui forse quella di Tiziano. Sull’origine del morbo, che aveva già devastato l’Europa e lo Stato Veneto nel 1348 (la famosa “peste nera”), c’erano diverse teorie, la Serenissima, tuttavia, aveva acquisito la certezza che la malattia fosse contagiosa. I Provveditori alla Sanità, costituiti nel 1486, effettuarono, oltre ad energiche misure coercitive e moderne funzioni di prevenzione, interventi per limitarne la diffusione, vietando l’ingresso in città a chi provenisse da luoghi infetti ed inviando le persone colpite, o sospettate di aver contratto il morbo, in luoghi appositi. Questi centri di ricovero erano situati in due diverse isole lagunari: il Lazzaretto Vecchio dal 1423 (deformazione dal nome della chiesa dedicata a Santa Maria di Nazareth) ed il Lazzaretto Novo entrato in funzione nel 1471. L’organizzazione sanitaria, nonostante errori ed esitazioni, si dimostrerà più tempestiva ed efficiente di quella degli altri stati europei. Scrive in proposito lo studioso R.J. Palmer: “Le misure pur non essendo fondate su una completa comprensione della malattia… erano straordinariamente appropriate allo scopo”. Tra le più efficaci si ricordano, oltre alle quarantene nei lazzaretti (termine e funzione che si diffuse in tutto il mondo), le maschere a protezione delle vie respiratorie indossate dai medici (una sorta di DPI antilitteram), la calcinazione dei cadaveri in fosse comuni, l’evacuazione delle case degli appestati, le quali erano poi fumigate con zolfo, mirra e pece. Visto che questi ed altri interventi avevano scarsissimi risultati, il Senato Veneto fece voto al Cristo redentore di edificare una nuova chiesa, quale segno di “umiltà supplicata”, affinché mettesse fine alla pestilenza, con promessa solenne di ringraziamento perpetuo nella ricorrenza della salvezza di Venezia dal contagio. Il 4 settembre 1576, infatti, il Senato avvertendo la peste come una percossa di Dio così si esprimeva:

“Da cuelo ke se lexe nela Sacra Scrittura come nell‘istoria de le cose pasate, se conose chiaramente ke cuando la Maestà de Dio flagella publicamente un popolo, non si placa prima ke non sia publicamente con segno d’umiltà suplicata”.



Ma solo dopo il 21 luglio 1578, accertata la fine della pestilenza, la Serenissima decretò che ogni terza domenica di tal mese fosse in perpetuo destinata alla visita del nuovo tempio. Nel frattempo per ringraziare il Redentore fu allestita in pochi giorni una chiesa provvisoria in legno abbellita con frasche, dorature, arazzi, spalliere d’oro, d’argento, seta e con una immagine di Gesù. La Piazzetta San Marco fu addobbata con tappeti, stendardi, festoni, stemmi, ritratti di sedici pontefici e quadri allegorici della sciagura. Dalla porta della Carta si costruì una serie di arcate coperte di panni preziosi fino al ponte, allestito con 80 galere, che dal molo di S. Marco arrivava fino a punta S. Giovanni alla Giudecca. La Processione fu aperta dal Doge Sebastiano Venier (vestito in bianco) dai Senatori, dagli Ambasciatori, dai Procuratori di San Marco, dai Provveditori alla sanità, dalle Scuole Grandi, dalle Confraternite di Arti e Mestieri e da tutto il popolo, accompagnati dal rimbombo di tamburi, dagli squilli di trombe e dallo sventolio di bandiere, stendardi ed arazzi. Nell’improvvisata chiesa fu celebrata la prima Messa solenne con Te Deum di ringraziamento al Cristo Redentore, musicata dal celebre maestro di Cappella Zarlino. Vista la notevole distanza da collegare, il ponte unico di barche fu successivamente sostituito da due più corti: uno per attraversare il Canal Grando (dal Giglio a San Gregorio), l’altro per passare il canale della Giudecca (dalla Chiesa dello Spirito Santo, poi abbattuta per edificare la Chiesa della Salute, alla riva del Redentore). Scriveva lo Stringa nel 1614: “Tanta è la frequenza di esso popolo che va a rendere gratie a Dio di un tanto beneficio”. Oggi essendo stato costruito il ponte dell’Accademia, si installa solo il ponte di galleggianti attraverso il canale della Giudecca.


Fin dalla fine del Cinquecento la cerimonia, che era un misto di festa, preghiera e di riti precristiani degli antichi veneti, iniziava la sera della vigilia. La sera del terzo sabato di luglio si attendeva la mezzanotte a bordo delle imbarcazioni addobbate con frasche ed illuminate con palloncini di carta colorata. A bordo erano allestiti banchetti con anatra arrosto ripiena, sardele e sfogi in saor, pasta e fagioli, anguria e vino rallegrato da canti e suoni (quelli che poi sarebbero diventate le famose canzoni da batelo veneziane). Prima della mezzanotte scoppiavano i famosissimi Fogi de el Redentor, conclusi i quali era aperto il portone della Chiesa per la messa di mezzanotte, quindi le barche vogavano al Lido per assistere alla levata del Sole. L’attesa era ravvivata da canti e balli attorno ai falò, oppure sotto al secolare albero detto “Del Diavolo”, che sorgeva fino a vent’anni fa a San Nicoleto. Il consuetudine di vogare verso il sole nascente, che sembra aver dato inizio alle regate (quella del Redentore si svolge ancora oggi la domenica pomeriggio lungo il canale della Giudecca) sembra un rito legato al ciclo della vita, di morte e rinascita. Il giorno seguente i frati cappuccini suonavano, in segno di giubilo, ininterrottamente per tutta la giornata le campane della chiesa del Redentore. I fedeli durante il pellegrinaggio, passavano anche nel vicino convento dei cappuccini a bere l’acqua del pozzo, simile a quella che si prelevava dal pozzo della vicina chiesa del Santo Spirito e che era ritenuta miracolosa. La celebrazione continua a svolgersi ogni anno la terza domenica di luglio, nonostante lo stravolgimento portato da un turismo sempre più invadente, inconsapevole e miscredente. La predisposizione dell’itinerario devozionale (ponte su galleggianti) rappresenta un preciso richiamo al profeta Isaia, il quale esorta a preparare le vie del Signore una volta sconfitte le iniquità da Gerusalemme. A conclusione di questo “traghetto”, si entra nell’aula del tempio progettato dal Palladio, dove è celebrato il trionfo di Cristo Redentore che muore per la salvezza dell’umanità. Al termine della Messa, con il sole al tramonto, il Patriarca, dall’alto della scalinata, benedice con il Santissimo la città, la laguna, il mare e tutti gli abitanti.





immagini tratte da wikipedia, google.

Preci in occasione di temporale




Estate, tempo di calura, tempo di temporali. Approfittando di questa occasione, voglio proporvi, estratto dal manuale di Filotea di Giuseppe Riva, la preghiera da recitarsi in occasione di temporale, pratica diffusa negli ambienti rurali del Triveneto e altrove; testimonianza di una fede radicata nella vita quotidiana della povera gente delle campagne e mirabile riconoscimento della Potestà Divina sul creato, sopravvissuta nella Forma Extraordinaria del Rito Romano nelle cerimonie processionali delle rogazioni, fatte la settimana che precede l'Ascensione, all'inizio della stagione estiva.
Ancora oggi nei nostri borghi, qualche pia vecchietta, si ricorda ancora che, allo scatenarsi della folgore, la madre o la nonna compivano gli antichi gesti tramandatigli: con cura si raccoglievano alcune braci dal focolare nella paletta del camino, ci si recava sull'uscio di casa gettandoci sopra alcune foglie dell'ulivo benedetto e con questo improvvisato incensiere si tracciavano tre segni di croce verso le nubi minacciose, mentre la famigla intera recitava le apposite preci e le litanie dei Santi.

Ecco dunque questo tesoro dimanticato della Pietà genuina e popolare:


+Nel Nome del Padre, sel Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

I. Pietosissimo Iddio, che quando giustamente vi adirate per le nostre colpe, altrettanto benignamente ci riguardate appena ne facciamo penitenza, piegatevi adesso alle preghiere del vostro popolo, che sinceramente compunto dei propri falli, ve ne domanda perdono; e in vista della sua umiliazione e del suo ravvedimento, degnatevi di preservarlo da tutti quei mali che gli minacciano le tempestose nuvole addensate sopra il suo capo; e ridonando all’aria che lo circonda la sua primitiva serenità, fate che convertasi in santa allegrezza la sua presente afflizione.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


II. Pietosissimo Iddio, al cui cenno si acquietano i tuoni e si estinguono i fulmini, si dissipa la grandine e si sciolgono in pioggia fecondatrice i turbini più minacciosi: degnatevi di purgare tutta l’aria che ci circonda da quei malefici umori, che a nostro danni vi ha condensato il comun nostro nemico, e così risolvasi in nuovo tratto di vostra infinita misericordia ciò che era ordinato a manifestazione di vostra tremenda giustizia.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


III. Pietosissimo Iddio, che a mostrare la vostra predilezione per il vostro popolo, or lo faceste camminare nella luce mentre gli Egiziani brancolavano nelle tenebre, ora lo rallegraste col ciel sereno mentre sui Cananei infieriva una tempesta di sassi, or lo conservaste nella più florida sanità mentre i Filistei venivano travagliati dalle piaghe più schifose; degnatevi di mostrare a noi pure la tenerezza della vostra bontà, preservando noi e le nostre terre da ogni dsastro che seco porta il diluviar della pioggia, l’unfuriare del vento, il tempestar della grandine e lo scoppiare del fulmine da cui siam ora minacciati; e così ai gemiti che ora mandiamo per l’apprensione dei vostri castighi, succedano i cantici che vi promettiamo in ringraziamento dei vostri favori.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


Quindi si possono recitare le litanie della Madonna e quelle dei santi, alcuni Pater ai Santi protettori, e specialmente a Santa Barbara e Santa Irene protettrici contro il fulmine; a Santa Genoveffa, a S.Agapito e S. Grato intercessori di serenità. – un Angele Dei, all’Angelo Custode, e un De Profundis per le anime purganti.

Splendori veneziani: Galuppi e il Salmo 121




Baldassarre Galuppi fu un compositore dalla vita movimentata, sempre pronto a viaggiare da una parte all'altra di un Europa impazzita per l'opera teatrale. Tra Firenze, Londra e San Pietroburgo ebbe anche il tempo, dal 1762 di coprire l'incarico di maestro di Cappella a San Marco nella Venezia che lo definiva "il Buranello" (nacque infatti nell'isola di Burano, nel 1706), in seguito fu organista privato della famiglia Gritti e direttore della cappella musicale dell'Ospitale degli Incurabili. Nella vasta e in gran parte sconosciuta produzione chiesastica del Galuppi si annovera anche il Laetatus sum (Salmo 121) in La maggiore per coro, soli, archi, fagotto e basso continuo che proponiamo oggi:






Il Salmo 121, il "saluto a Gerusalemme" fu probabilmente scritto dopo la riscostruzione del tempio e le mura della città nel periodo del grande ritorno dall'esilio:


Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi:
in domum D
omini ibimus.

Stantes erant pedes nostri:
in atriis tuis Ierusalem.

Ierusalem quae aedificatur ut civitas:
cuius participatio eius in idipsum.

Illuc enim ascenderunt tribus, tribus Domini:
testimonium Israel
ad confitendum
nomini Domini.

Quia illic sederunt sedes in iudicio:
sedes supe
r domum David.

Rogate quae ad pacem sunt Ierusalem:
et abundantia diligentibus
te.

Fiat pax in virtute tua:
et abundan
tia in turribus tuis.

Propter fratres meos et proximos meos:
loquebar pacem de te.

Propter domum Domini Dei nostri:
quaesivi bona tibi.


Quale gioia quando mi dissero:
"andremo alla casa del Signore!".

Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte Gerusalemme!

Gerusalemme è co
struita
come una città unita e compatta.

E' là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.

Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;

sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
dirò "su di te sia pace!".

Per la casa del Signore nostro Dio
chiederò per te il bene.




Le ragioni di un nome: l'Inno Sacris Solemniis


Dal mattutino della solennità del Corpus Domini:

  1. Sacris solemniis juncta sint gaudia,
    Et ex præcordiis sonent præconia;
    Recedant vetera, nova sint omnia,
    Corda, voces, et opera.
  2. Noctis recolitur cœna novissima,
    Qua Christus creditur agnum et azyma
    Dedisse fratribus, juxta legitima
    Priscis indulta patribus.
  3. Post agnum typicum, expletis epulis,
    Corpus Dominicum datum discipulis,
    Sic totum omnibus, quod totum singulis,
    Ejus fatemur manibus.
  4. Dedit fragilibus corporis ferculum,
    Dedit et tristibus sanguinis poculum,
    Dicens: accipite quod trado vasculum;
    Omnes ex eo bibite.
  5. Sic sacrificium istud instituit,
    Cujus officium committi voluit
    Solis presbyteris, quibus sic congruit,
    Ut sumant, et dent ceteris.
  6. Panis angelicus fit panis hominum;
    Dat panis cœlicus figuris terminum;
    O res mirabilis: manducat Dominum
    Pauper, servus et humilis.
  7. Te, trina Deitas unaque, poscimus:
    Sic nos tu visita, sicut te colimus;
    Per tuas semitas duc nos quo tendimus,
    Ad lucem, quam inhabitas.

La traduzione in poesia del Sacerdote milanese Giuseppe Riva, estratta dal suo manuale di Filotea:

Ai riti solenni la gloria risponda;
si esterni quel gaudio che il cuore ci innonda
del patto vetusto non più si favelli,
sol cantisi il metro dei riti novelli;
Sia nuova ogni cosa nel labbro, nel cuore,
nell’opra che spieghi dell’alma il fervore.
La notte ricordasi dell’ultima cena,
lorquando con fronte tra mesta e serena,
coll’azzimo pane, Dio fatto mortale
mangiò co’suoi fidi l’agnello pasquale,
secondo la legge già data a Israele,
quand’era in Egitto suo servo fedele.
Compiuta la cena col tipico agnello,
Diè Cristo ai discepoli un Agno novello
Nel divo suo corpo, che ombrato dal pane,
spartito anche in fustoli intatto rimane,
e ognun lo riceve sì inter, sì grazioso
qual è su nel ciel Dio-Uomo glorioso.
Diè Cristo il suo corpo qual cibo ai suoi cari,
e il sacro suo Sangue lo porse del pari,
qual bibita in tazza, dicendo, bevete
voi tutti del vino che quivi vedete,
e in mia rimembranza poi fate altrettanto
piamente rimembrando tali giorni di pianto.
Così il sacrificio si vide istituito,
quel sol che all’Altissimo tornar può gradito
e ai soli Presbiteri fidossi l’uffizio
di poi rinnovare sì gran benefizio,
perché sen giovassero i primi suoi unti,
poi quanti lor fossero per fede congiunti.
Il pane degli angioli è fatto alimento
D’ogni uom che partecipa al gran Sacramento
Col pane celeste la fine si assegna
Ad ogni figura di Dio non più degna,
stupendo prodigio! A un vil servitore
sé stesso da in pascolo l’eterno Signore.
Dio unico e Trino che umil t’adora
Di ambita e perpetua tua visita onora,
sicchè le tue vie, battendo costante,
la meta raggiunga cui sempre è anelante,
e quella gran gloria in cui in ciel ti circonda
su ognun de’tuoi servi sempre si effonda.

L'Inno in canto:

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