Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Un conclave a Venezia: l'incoronazione e la partenza




La condizione di eccezionalità che la Chiesa cattolica veneziana aveva vissuto fino al momento dell’elezione di Pio VII si prolungò ancora per poche settimane durante le quali Chiaramonti compì i primi passi del suo pontificato. Priva del patriarca, la diocesi veneziana visse in qualche modo raccolta attorno al nuovo papa. L’incoronazione di Chiaramonti ebbe luogo il giorno dedicato dal calendario cattolico alla memoria di San Benedetto nella chiesa di San Giorgio Maggiore, sull’omonima isola, dato che la richiesta di potere utilizzare la basilica marciana per la celebrazione non fu accolta dal governo, verosimilmente a causa dell’irritazione creata dall’esito del conclave, non favorevole a Vienna, e forse anche per non prestare il fianco a istanze patriottiche, stante il ruolo simbolico di chiesa della Repubblica di Venezia che San Marco aveva rivestito per secoli. La partecipazione popolare fu amplissima, a San Giorgio e sulle rive del bacino di San Marco antistanti l’isola. 






Nei giorni seguenti Pio VII cominciò a recarsi in chiese e soprattutto in monasteri maschili e femminili di Venezia, con un occhio di riguardo a quelli benedettini. Le visite, a partire dal 26 marzo (Pio VII si recò dai benedettini camaldolesi di San Michele di Murano) e fino al 5 giugno 1800 (visita al monastero di Ognissanti), si susseguirono con un ritmo incalzante e costituirono quasi una singolare visita pastorale di Pio VII, in particolare ai regolari della città verso cui si indirizzarono la maggioranza delle uscite di Chiaramonti da San Giorgio. Inoltre a queste visite vanno aggiunti i ripetuti incontri avuti nel corso di quelle settimane con la comunità monastica benedettina dell’isola di San Giorgio, dove Pio VII continuò a risiedere nei mesi passati a Venezia dopo l’elezione. Il 15 maggio Pio VII emanò da San Giorgio Maggiore la sua prima enciclica, la Diu satis videmur. Il 30 maggio il vicario capitolare Bortolatti impartì disposizioni a tutti i rettori di chiese 
e di luoghi pii del Patriarcato in vista della partenza di Pio VII da Venezia e per 
accompagnarne il viaggio con la preghiera:
 
Nel giorno della partenza per Roma di Nostro Signore Pio Papa VII. si compiacerà V. S. M. Reverend. di ordinare intorno alla sua Chiesa una Processione col divoto Canto delle Litanie della Beata Vergine, chiudendolo poi mutatis mutandis coll’Itinerario, che si ha in fondo del Breviario. In seguito poi far recitare ogni giorno la Colletta pro Papa in tutte le Messe, sinattantoché ci giunga la sicura notizia del di Lui felice arrivo. 
Il 6 giugno 1800 Pio VII lasciò Venezia e si trasferì sulla fregata Bellona, ancorata alla bocca di Porto di Malamocco, donde, attesi i venti favorevoli, partì alla volta di Pesaro la notte tra il 9 e il 10 giugno.


«Studi Veneziani», n. s., 43 (2002), pp. 299 – 308



La pianeta che indossò Pio VII nel giorno dalla sua coronazione.
Il parato, completo di accessori e dalmatiche, fu donato da Clemente XIII alla cattedrale patavina e prestato ed inviato a San Giorgio Maggiore per la solenne evenienza.






Extra omnes




Sacrum Ritum Conclavis.



Un conclave a Venezia: il Sacro Collegio a San Giorgio Maggiore




L’indizione del conclave a Venezia nell'autunno 1799 fu letta dal clero lagunare come un segno della benevolenza divina che riscattava la città dallo stato di lutto in cui era precipitata due anni prima, secondo un modello «provvidenziale» di interpretazione della storia che attribuiva agli eventi lieti il significato di ricompensa divina per la fedeltà degli uomini ai principi cattolici e a quelli tristi l’espressione della collera del giudice supremo contro i peccati. Era stato il patriarca Giovanelli a introdurre ufficialmente questa lettura nella circolare con la quale il 20 novembre 1799 aveva annunciato l’imminente svolgimento del conclave. La morte di Pio VI, argomentava Giovanelli, si volgeva in un’esaltazione di Venezia:
Che perciò dilettissimi non cessate di ricordare al Popolo alla vostra cura affidato, che se Noi ci troviamo in un ben giusto timore, che questa Città, non sia presentemente del tutto cara, ed accetta al Signore, non cessiamo però di nutrire le più vive speranze, ed una certa fiducia, che tale sarà per essere, dopo una grazia si segnalata. 
E ancora nel 1801, in occasione del primo anniversario dell’elezione di Pio VII, il provinciale dei cappuccini Marino da Canale teneva un discorso nella chiesa del Redentore nel quale, in relazione allo svolgimento del conclave in città, esclamava con enfasi: «Ah Venezia, Venezia! In tanta squallidezza e mestizia, che ti ricopre, e comprime, pensi tu di non essere ancora a Dio cara, e diletta?» E osservava che se in altro tempo la città era stata chiamata la «nuova Alessandria» perché in essa erano custodite le spoglie dell’evangelista Marco ora la si sarebbe potuta appellare «Roma novella». Da quando si diffuse la notizia che il conclave per eleggere il successore di Pio VI si sarebbe tenuto a Venezia fino al momento in cui il nuovo papa lasciò la città lagunare, la vita della Chiesa cattolica veneziana fu dominata da fatti straordinari: quelli che accompagnarono la preparazione del conclave e, dopo la sua conclusione, i primi passi del pontificato Chiaramonti. 
Tra i primi si inseriscono a pieno titolo, oltre ai preparativi pratici del conclave, l’afflusso graduale dei cardinali in città e lo svolgimento dei novendiali per Pio VI. A partire da settembre 1799 i vertici della Chiesa cattolica (futuri conclavisti e prelati di Curia) si trasferirono gradualmente nelle isole lagunari. I cardinali che, con i loro seguiti, giunsero prima dell’inizio del conclave presero alloggio distribuendosi in diversi luoghi della città, in conventi di regolari, in locali del Patriarcato, in locande o in appartamenti privati e qualcuno scelse anche la vicina isola di Murano. Il 16 settembre 1799 risultavano già presenti quattordici cardinali. Tre erano alloggiati nella canonica di San Salvador (i due fratelli Doria Pamphilj, arrivati quel giorno, e Pignatelli); Albani risiedeva nel palazzo patriarcale a San Pietro di Castello ospite di Giovanelli; quattro in case private (Vincenti Mareri e Braschi Onesti avevano una loro abitazione rispettivamente ai Santi Apostoli e a Santa Maria Formosa, Flangini prese alloggio nel palazzo di famiglia a San Geremia, Caprara in casa Pagan a San Fantin, Valenti Gonzaga in casa Corner a San Cassiano). Nei conventi si recarono Maury (ai Frari), Livizzani (dai carmelitani), Archetti (dai somaschi alla Salute), Caraffa (dai girolamini a San Sebastiano). Invece Antonelli prese dimora nell’isola di Murano. 
Nelle settimane successive gli altri cardinali sopraggiunti in città si fermarono nella Locande de’ tre Re a San Beneto (Borgia), nell’ex collegio dei gesuiti (della Somaglia), nel convento dei serviti (Rinuccini e Roverella), presso l’abitazione del gran priore dell’ordine di Malta (Mattei), nel convento dei domenicani ai Santi Giovanni e Paolo (Bellisomi, Chiaramonti, Calcagnini), nella Locanda dello Scudo di Francia (de Lorenzana e della Martiniana), in quella della Regina d’Inghilterra (Zelada), dai camaldolesi a Murano (Giovannetti), ai Carmini (Carandini), da teatini (Gerdil), a San Salvador (di York), dai somaschi (Dugnani), a palazzo Camerata (Bussi de Pretis e Onorati), dai minori a San Francesco della Vigna (Busca), a palazzo Flangini (Ruffo). 
Intanto mercoledì 23 ottobre 1799 avevano avuto inizio i novendiali per Pio VI, celebrati in tutte le chiese veneziane e con maggiore solennità nella basilica patriarcale di San Pietro di Castello. Le autorità pubbliche presero disposizioni specifiche per manifestare la partecipazione al lutto che aveva colpito la Chiesa cattolica: fu ordinata la chiusura per otto sere di tutti i teatri d’opera e di commedia, riaperti solamente la sera del 31 ottobre, dopo che in giornata furono concluse le funzioni esequiali. Inoltre durante quei nove giorni furono fatte suonare a morto le campane delle chiese cittadine.
Nonostante il maltempo che imperversò durante i primi dei nove giorni, la partecipazione dei veneziani alle celebrazioni fu considerevole e crebbe notevolmente negli ultimi giorni, dopo il miglioramento delle condizioni atmosferiche: le cronache riferiscono, non senza un pizzico di esagerazione, di un popolo «folto ed immenso». Anche il patriarca Giovanelli emanò alcune disposizioni per coinvolgere spiritualmente i veneziani che dipendevano dalla sua giurisdizione nel conclave ormai imminente. Dopo la messa cardinalizia «dello Spirito Santo» fece celebrare in ogni chiesa una messa pro eligendo summo pontifice; esortò di fare pregare per l’elezione del nuovo papa in ogni messa finché fosse durato il conclave; indisse per lo stesso periodo la processione quotidiana di una parrocchia, una comunità religiosa e una confraternita dalla basilica di San Marco alla patriarcale di San Pietro di Castello, fissandone le litanie, i canti e le preghiere da svolgere, raccomandando inoltre il decoro religioso, la semplicità del canto e la rinuncia a ogni sfarzo e invitando i secolari a prendervi parte. Ma precisava: «Alle Donne resta assolutamente proibito d’associarsi a queste Processioni: sono però esortate di recitare ogni giorno una terza parte del S. Rosario, secondo la Nostra intenzione, e di fare tutto quello di più, a che a verranno consigliate dal loro Confessore.» Infine ricordava di implorare da Cristo, con la purezza di vita, la frequenza ai sacramenti, le opere di carità e l’orazione perseverante e fervorosa, un papa che in quei «tempi calamitosissimi», come giudicava, «Et plebem suam virtutibus instruat, et fidelium mentes spiritualium aromatum odore perfundat»; e di pregare per l’imperatore, la sua famiglia e se medesimo.
L’8 dicembre 1799, a conclave già iniziato, ultimo tra i cardinali che avrebbero partecipato all'elezione di Pio VII, giunse a Venezia l’arcivescovo di Vienna Hertzan, che prese alloggio al n. 1 della Procuratia. Il favore che gli era riservato dalle autorità imperiali, per rinforzarne il ruolo di grande ispiratore dei conclavisti nella scelta del nuovo papa, fu reso evidente anche dalla scenografia che ne accompagnò l’ingresso in conclave a San Giorgio il 12 dicembre: infatti compì il breve tragitto seguito da un numeroso corteo di gondole. Tre giorni più tardi, domenica 15 dicembre il primicerio di San Marco, che continuava a svolgere la funzione di chiesa di riferimento del potere politico anche sotto l’Austria, celebrò alla presenza di autorità civili e militari, di prelati, nobili e popolazione, una solenne messa di ringraziamento, con il canto dell’inno ambrosiano, per festeggiare la resa della fortezza di Cuneo alle armi austriache. Non ho potuto riscontrare alcuna reazione da parte della Chiesa cattolica veneziana al diffondersi della voce, nella giornata del 19 dicembre 1799, che ormai era stato raggiunto un accordo che avrebbe portato all’elezione del nuovo papa il giorno seguente. Quasi certamente la prudenza indusse i responsabili della diocesi e del primiceriato di San Marco ad attendere che i fatti confermassero la notizia, cosa che come è noto non si verificò per le difficoltà che la candidatura del vescovo di Cesena card. Bellisomi incontrò in quei frangenti.



Il patriarca Federico Maria Giovanelli



Il 10 gennaio 1800, a conclave ancora in corso, morì l’anziano patriarca Giovanelli, che reggeva la diocesi lagunare dal 1776. Per rendere omaggio alla figura dello scomparso il conclave decise di farne celebrare le esequie a proprie spese, il 16 gennaio, a San Francesco della Vigna, dove pontificò Antonio Despuig, patriarca d’Antiochia. La diocesi ne celebrò i funerali solenni solamente il 13 marzo, nella cattedrale di San Pietro di Castello, al termine di una processione che aveva preso le mosse da San Marco. La Chiesa veneziana sarebbe rimasta senza patriarca per quasi due anni, fino a quando il 23 dicembre 1801 la corte di Vienna, rivendicando per l’imperatore l’eredità dei diritti di giurisdizione sulle sedi episcopali che erano state sottoposte all’autorità della Repubblica di Venezia, avrebbe nominato direttamente come successore di Giovanelli il cardinale di sentimenti filoimperiali Ludovico Flangini, suscitando le proteste di Pio VII. Nel frattempo la guida della diocesi fu tenuta da mons. Nicolò Bortolatti, eletto vicario capitolare il 13 gennaio 1800. Fu lui ad assumere le principali disposizioni a livello locale in occasione dell’elezione di Pio VII e nei mesi in cui il papa si trattenne a Venezia. La sua lettera al clero con la quale il 22 febbraio 1800 comunicava l’indulto quaresimale diventò un’occasione per denunciare le nuove correnti di pensiero e i comportamenti moderni in materia di religione che si erano diffusi nella popolazione durante quegli anni: 
«non possiamo dissimulare la nostra interna amarezza nel riconoscere così diverse da quelle de’ lor Maggiori le Idee della maggior parte de’ moderni Fedeli rispetto alla osservanza della Quaresima, la quale dove a’ tempi di S. Leone era accolta come un oggetto di santo giubilo, e di vero conforto anche dalle anime più deboli e men fervorose, ora viene riguardata comunemente come un argumento di tristezza, e un peso troppo difficile a sostenersi.» E Bortolatti individuava la causa di questo atteggiamento negativo nel fatto che si era «indolenti e irriflessivi sopra i grandi oggetti di questa Apostolica istituzione». 
Il 14 marzo 1800, all’annuncio ufficiale dell’elezione di Chiaramonti – in realtà la notizia del raggiunto accordo sul suo nome era trapelata già la sera precedente ed era stata divulgata dalla «Gazzetta Veneta Privilegiata» del 14, che però ovviamente non era stata in grado di indicare il nome prescelto dal nuovo papa mons. Bortolatti ordinava si cantasse il Te Deum in tutte le chiese del Patriarcato.
L’elezione di Pio VII fu occasione di un nuovo screzio tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa veneziane. Le tensioni tra le due Chiese si erano manifestate a più riprese nel corso del Settecento e da ultimo l’esperienza della municipalità democratica, con la concessione della libertà di culto anche agli acattolici, aveva registrato un nuovo momento di tensione tra le due Chiese a proposito della questione dei funerali dei greci. Ha scritto Bartolomeo Cecchetti: «Nell’occasione dell’elezione di Pio VII […] i greci di S. Giorgio non presero parte ai di lui pontificali, e fecero così publica prova di quella divisione dalla Santa Sede che intimamente non riconobbero mai.»
Tuttavia le autorità imperiali imposero ai greci di suonare le campane della loro chiesa in segno di festa il 21 marzo 1800, giorno dell’incoronazione papale:  

Si dice, che non si avesse voluto suonare le campane della Chiesa di S. Giorgio de’ Greci, supposti cattolici, ma che sia loro venuto un’ordine che debbano pure essi Greci far suonare le campane della loro Chiesa, per comparire almeno in ciò uniformi ai cattolici Romani; e tanto eseguirono prontamente. 
Inoltre Pio VII reagì all'atteggiamento dei greci decidendo di assegnare ai monaci mechitaristi armeni il canto in greco dell’epistola e del vangelo durante la messa del 21.
L’elezione di Chiaramonti portò anche a una modifica straordinaria del calendario liturgico patriarcale. Infatti il vicario capitolare dispose che il giorno in cui sarebbe stata svolta l’incoronazione del nuovo papa, fosse considerato festa di precetto, «essendovi in tal circostanza da gran tempo il pio costume di solennizzar tal giornata nella Città, dove vien fatta detta sacra Funzione».

«Studi Veneziani», n. s., 43 (2002), pp. 299 – 308



La "Sala del Conclave" a San Giorgio Maggiore dove fu eletto papa Pio VII.

Veneti episcopi: Gregorio XII




Gregorio XII, duecentocinquesimo papa della Chiesa Cattolica, 
poi Angelo Cardinal Correr, Vescovo di Frascati e Legato ad Ancona. 

Prima dell'ascesa al Soglio, Vescovo di Castello e Patriarca di Costantinopoli.



Piccoli vaticanisti crescono ...




... sperando lavorino meglio di quei colleghi impegnati a fare gossip e "campagna elettorale" in questi giorni di cimento. 



Buon lavoro!


Un conclave a Venezia: il Patriarcato nella bufera




Non sono molte le fonti documentarie che permettono di cogliere l’atteggiamento della Chiesa veneziana durante il conclave tenuto a San Giorgio Maggiore nell’autunno-inverno 1799-1800 e forse questo spiega perché anche  la storiografia non vi ha insistito particolarmente, dedicando invece la propria attenzione allo studio dell’elezione di Pio VII.

Sull’ambiente veneziano, anche quello ecclesiale, pesavano drammaticamente i fatti di fine Settecento: la città viveva allora sotto lo choc dell’inaspettata fine della Repubblica aristocratica il 12 maggio 1797, seguita dalla  breve e tumultuosa parentesi democratica sotto il controllo delle truppe francesi e infine dal rovesciamento di clima politico-culturale e di fronte militare con la cessione del Veneto all’Austria. Si sa che fu proprio quest’ultimo passaggio, oltre che la situazione in cui si trovava Roma, a porre le precondizioni perché alla morte di Pio VI si individuasse nella città lagunare il luogo più adatto per indire il conclave.
Nella difficile situazione di quegli anni l’arrivo degli imperiali a Venezia nel gennaio 1798 aveva almeno tranquillizzato il patriarca Giovanelli, il primicerio di San Marco Foscari e gran parte del clero sul futuro che sarebbe stato riservato al cattolicesimo e alle istituzioni ecclesiastiche dai  nuovi governanti, anche se in realtà negli anni successivi Vienna avrebbe fatto sentire anche nel Veneto tutto il peso della propria politica ecclesiastica ispirata ai principi del giurisdizionalismo. Come è noto, alla fine del Settecento l’amministrazione ecclesiastica dell’area veneziana era suddivisa tra più soggetti. Gran parte di Venezia, con la Giudecca e altre isole lagunari, dipendevano dal Patriarcato, la cui cattedrale, la basilica di San Pietro di Castello, si trovava all’estremo lembo orientale della città. Anche l’isola di San Giorgio Maggiore, teatro del futuro conclave, cadeva sotto la giurisdizione del patriarca, poiché faceva parte della parrocchia della Giudecca.
Invece il centro di Venezia, con la basilica marciana e poche chiese a essa collegate costituivano la piccola, ma prestigiosa Chiesa ducale, una specie di diocesi nullius fondata sul giuspatronato del doge (secondo un diritto riconosciuto in modo incerto a partire dal IX secolo e definitivamente dal Trecento) e retta dal primicerio di San Marco, che aveva prerogative cresciute nel tempo fino a renderne l’ufficio quasi equiparabile a quello di un vescovo: tra l’altro il primicerio poteva celebrare i pontificali, conferire la prima tonsura e gli ordini minori e per un breve periodo della sua storia gli era stata attribuita anche la facoltà di ordinare i presbiteri. Perciò la Chiesa ducale era dotata di un suo clero e di un seminario (il seminario «gregoriano») deputato alla sua formazione.
Invece la laguna a nord di Venezia, con Murano, Burano e altre isole minori, formava la diocesi di Torcello, allora retta dal vescovo Nicolò Sagredo. Per limitare il campo d’indagine alla città,  va osservato che la Chiesa primiceriale e quella patriarcale si erano trovate entrambe in serie difficoltà durante i mesi della municipalità democratica provvisoria per la politica ecclesiastica che essa aveva adottato. Allora Giovanelli e Foscari avevano cercato di individuare un  modus vivendi che permettesse di tutelare nel migliore dei modi possibili le istituzioni ecclesiastiche poste sotto il loro rispettivo controllo. Alla Chiesa patriarcale l’operazione era riuscita, anche per l’interesse dei municipalisti a coltivare buoni rapporti con la Chiesa cattolica per ottenere, con il concorso del clero, un rafforzamento del consenso popolare verso le nuove autorità politiche.
Invece la manovra era risultata più ardua per il Primiceriato marciano non solo perché la fine della Repubblica aristocratica aveva comportato l’abolizione ipso facto della figura del giuspatrono, il doge, ma anche perché i nuovi governanti nel settembre 1797 progettarono la soppressione dell’ex Chiesa ducale e il suo accorpamento al Patriarcato: un’iniziativa di politica ecclesiastica che rientrava nei più ampi progetti di riordino della presenza delle istituzioni cattoliche sul territorio che solo la rapida fine della stagione giacobina veneziana impedì di realizzare in quei mesi, ma che fu poi ripresa e condotta a termine dal governo del napoleonico Regno d’Italia nel 1807. Tuttavia all’iniziale stato di smarrimento durante i mesi della municipalità democratica nelle autorità del Primiceriato di San Marco subentrò, dopo l’arrivo degli austriaci, un atteggiamento di resistenza volto a garantire la continuità dell’antica istituzione. Sul versante della stabilità giuridica il primicerio e la sua Curia si attrezzarono a trovare un’alternativa che, oltre a garantire formalmente sotto il profilo canonico la sopravvivenza della piccola enclave all’interno dal Patriarcato, le assicurasse l’appoggio dei nuovi governanti. Fu così che, non senza oscillazioni, l’ex Chiesa ducale fu ribattezzata «Chiesa imperiale» e si favorì il subentro dell’imperatore nei diritti di patronato che erano appartenuti in precedenza al doge.

«Studi Veneziani», n. s., 43 (2002), pp. 299 – 308 


L'abdicazione del Doge Ludovico Manin: il crollo del sistema politico veneto, ma anche dell'assetto ecclesiastico veneziano.
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