Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Per una Chiesa "senza paludamenti"



Preti disobbedienti nel Natale patavino, col vessillo del Vaticano II (loro).


di Filippo Tosatto (per Il Mattino di Padova)

L’atrio della stazione ferroviaria, pur capace, non basta ad accogliere i fedeli. Giovani, giovanissimi, coppie, famiglie: alle 22 si celebra la messa notturna di Natale, fra display pubblicitari e annunci sonori dei treni in arrivo. Presto però il coro e le chitarre hanno ragione dei rumori fuori scena. Il via vai continua ma diventa uno sfondo. Sul palco, ad officiare, una rappresentanza dei “preti di frontiera del Nordest”.
Dieci parroci, da sempre a contatto con gli emarginati e spesso balzati alle cronache per posizioni eterodosse rispetto al Magistero. Sono Albino Bizzotto (Padova), Pierluigi Di Piazza (Udine, Franco Saccavini (Udine), Mario Vatta (Trieste), Giacomo Tolot (Pordenone), Piergiorgio Rigolo (Pordenone), Alberto De Nadai (Gorizia), Andrea Bellavite (Gorizia), Luigi Fontanot (Gorizia) e Antonio Santini (Vicenza). La Lettera di Natale che hanno sottoscritto chiede una Chiesa «che apra le porte alle donne prete e ai preti sposati»; una Chiesa «povera, senza titoli nobiliari, senza paludamenti e libera dai vincoli di potere»; una Chiesa «che paghi le tasse e chieda perdono agli omosessuali e alle vittime di pedofilia»; una Chiesa più democratica, «luogo di perdono che accolga tutti».
Non sono ribelli ostili, i preti di frontiera. E rivendicano, anzi, l’appartenenza alla comunità ecclesiale. Che vorrebbero diversa, però. Più in sintonia con l’annuncio del Vangelo, più vicina agli ultimi. «La nostra lettera è ispirata al Concilio Vaticano II», spiegherà don Di Piazza «l’abbiamo scritta per comunicare ciò che le persone comunicano a noi, un modo per mantenere vive le sollecitazioni e continuare il dialogo».
Quest'anno il messaggio è incentrato sulla Chiesa «cui siamo profondamente grati», si legge «ed è questa gratitudine che ci sostiene nel considerare le ombre e i tradimenti al Vangelo. Quando la Chiesa riceve potere perde la forza di denunciare l'illegalità, l'ingiustizia, l'immoralità, il razzismo, come avviene nella nostra Regione a livello politico e legislativo».
Parole come pietre, senza enfasi, tuttavia. Quasi la naturale conseguenza di un cammino cristiano che ha come interlocutori privilegiati coloro che meno hanno e meno contano. Così, nell’omelia, la parola corre subito «ai fatti di Firenze e di Torino», l’assassinio degli ambulanti senegalesi e la caccia selvaggia ai rom, lampi di orrore per i quali viene chiesto perdono. Poi l’odissea degli immigrati, i rifugiati in attesa di asilo, i nati in Italia ancora privati («Crudele ingiustizia») dei diritti di cittadinanza. Rimbalzano temi d’attualità, dal ripensamento dell'ora di religione (che dovrebbe diventare «studio del fenomeno religioso») al nodo dei cappellani militari («Perché resta l’incompatibilità tra Vangelo e armi»).
Ma anche la congiuntura sociale e il rapporto Chiesa-politica: «Una Chiesa che tace di fronte alle tragedie del mondo è lontana anni luce da Gesù. La crisi attuale è etica e culturale prima che economica. I cristiani devono impegnarsi per un mondo nuovo, ma non è pensabile un partito di cattolici». La folla dei fedeli annuisce, scambia pensieri, si stringe ai celebranti. Adulti di colore e ragazzine con piumino e piercing, madri di famiglia. E quando una giovane coppia alza sull’altare Ginevra, neonata in fasce, l’applauso scroscia liberatorio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Don Vatta, triestino, nel suo pauperismo purista e in armonia coerente con le sue posizioni, ha appena ricevuto da un ente pubblico (Regione o Provincia) una bella sommetta per l'acquisto di un furgoncino per le necessità delle sue Opere ... certo, è contrarissimo alla collaborazione tra Chiesa e Stato, ma quando si tratta di lui ... i parametri cambiano! Un altro di questi geni, udinese, è stato chiamato dall'Arcivescovo a un posto di responsabilità ... Mazzocato, interpellato da un confratello perplesso avrebbe dichiarato "ma io pensavo che avendolo vicino sarebbe cambiato" ... non solo geni di preti, ma pure geni di vescovi !

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