Ieri, puntualmente, migliaia di persone si sono riversate tra le calli veneziane pronte a sfidare l'afa estiva per godersi il grandioso spettacolo di fochi d'artifizio che ogni anno, nel sabato che precede la terza domenica di luglio, trova cornice nel Bacino di San Marco. Migliaia di persone probabilmente inconsapevoli di assistere ad una delle più solenni tradizioni cristiane in Venezia, che trae le sue origini dal lontano 1576. Propongo di seguito un efficace scritto di Fabio Bortoli che delinea in modo esaustivo le origini della Festa:
La Festa del Redentore ricorda ogni anno ai Veneziani il flagello della peste che dal 1575 al 1577 provocò oltre 45.000 vittime in meno di 2 anni, tra cui forse quella di Tiziano. Sull’origine del morbo, che aveva già devastato l’Europa e lo Stato Veneto nel 1348 (la famosa “peste nera”), c’erano diverse teorie, la Serenissima, tuttavia, aveva acquisito la certezza che la malattia fosse contagiosa. I Provveditori alla Sanità, costituiti nel 1486, effettuarono, oltre ad energiche misure coercitive e moderne funzioni di prevenzione, interventi per limitarne la diffusione, vietando l’ingresso in città a chi provenisse da luoghi infetti ed inviando le persone colpite, o sospettate di aver contratto il morbo, in luoghi appositi. Questi centri di ricovero erano situati in due diverse isole lagunari: il Lazzaretto Vecchio dal 1423 (deformazione dal nome della chiesa dedicata a Santa Maria di Nazareth) ed il Lazzaretto Novo entrato in funzione nel 1471. L’organizzazione sanitaria, nonostante errori ed esitazioni, si dimostrerà più tempestiva ed efficiente di quella degli altri stati europei. Scrive in proposito lo studioso R.J. Palmer: “Le misure pur non essendo fondate su una completa comprensione della malattia… erano straordinariamente appropriate allo scopo”. Tra le più efficaci si ricordano, oltre alle quarantene nei lazzaretti (termine e funzione che si diffuse in tutto il mondo), le maschere a protezione delle vie respiratorie indossate dai medici (una sorta di DPI antilitteram), la calcinazione dei cadaveri in fosse comuni, l’evacuazione delle case degli appestati, le quali erano poi fumigate con zolfo, mirra e pece. Visto che questi ed altri interventi avevano scarsissimi risultati, il Senato Veneto fece voto al Cristo redentore di edificare una nuova chiesa, quale segno di “umiltà supplicata”, affinché mettesse fine alla pestilenza, con promessa solenne di ringraziamento perpetuo nella ricorrenza della salvezza di Venezia dal contagio. Il 4 settembre 1576, infatti, il Senato avvertendo la peste come una percossa di Dio così si esprimeva:“Da cuelo ke se lexe nela Sacra Scrittura come nell‘istoria de le cose pasate, se conose chiaramente ke cuando la Maestà de Dio flagella publicamente un popolo, non si placa prima ke non sia publicamente con segno d’umiltà suplicata”.
Ma solo dopo il 21 luglio 1578, accertata la fine della pestilenza, la Serenissima decretò che ogni terza domenica di tal mese fosse in perpetuo destinata alla visita del nuovo tempio. Nel frattempo per ringraziare il Redentore fu allestita in pochi giorni una chiesa provvisoria in legno abbellita con frasche, dorature, arazzi, spalliere d’oro, d’argento, seta e con una immagine di Gesù. La Piazzetta San Marco fu addobbata con tappeti, stendardi, festoni, stemmi, ritratti di sedici pontefici e quadri allegorici della sciagura. Dalla porta della Carta si costruì una serie di arcate coperte di panni preziosi fino al ponte, allestito con 80 galere, che dal molo di S. Marco arrivava fino a punta S. Giovanni alla Giudecca. La Processione fu aperta dal Doge Sebastiano Venier (vestito in bianco) dai Senatori, dagli Ambasciatori, dai Procuratori di San Marco, dai Provveditori alla sanità, dalle Scuole Grandi, dalle Confraternite di Arti e Mestieri e da tutto il popolo, accompagnati dal rimbombo di tamburi, dagli squilli di trombe e dallo sventolio di bandiere, stendardi ed arazzi. Nell’improvvisata chiesa fu celebrata la prima Messa solenne con Te Deum di ringraziamento al Cristo Redentore, musicata dal celebre maestro di Cappella Zarlino. Vista la notevole distanza da collegare, il ponte unico di barche fu successivamente sostituito da due più corti: uno per attraversare il Canal Grando (dal Giglio a San Gregorio), l’altro per passare il canale della Giudecca (dalla Chiesa dello Spirito Santo, poi abbattuta per edificare la Chiesa della Salute, alla riva del Redentore). Scriveva lo Stringa nel 1614: “Tanta è la frequenza di esso popolo che va a rendere gratie a Dio di un tanto beneficio”. Oggi essendo stato costruito il ponte dell’Accademia, si installa solo il ponte di galleggianti attraverso il canale della Giudecca.
Fin dalla fine del Cinquecento la cerimonia, che era un misto di festa, preghiera e di riti precristiani degli antichi veneti, iniziava la sera della vigilia. La sera del terzo sabato di luglio si attendeva la mezzanotte a bordo delle imbarcazioni addobbate con frasche ed illuminate con palloncini di carta colorata. A bordo erano allestiti banchetti con anatra arrosto ripiena, sardele e sfogi in saor, pasta e fagioli, anguria e vino rallegrato da canti e suoni (quelli che poi sarebbero diventate le famose canzoni da batelo veneziane). Prima della mezzanotte scoppiavano i famosissimi Fogi de el Redentor, conclusi i quali era aperto il portone della Chiesa per la messa di mezzanotte, quindi le barche vogavano al Lido per assistere alla levata del Sole. L’attesa era ravvivata da canti e balli attorno ai falò, oppure sotto al secolare albero detto “Del Diavolo”, che sorgeva fino a vent’anni fa a San Nicoleto. Il consuetudine di vogare verso il sole nascente, che sembra aver dato inizio alle regate (quella del Redentore si svolge ancora oggi la domenica pomeriggio lungo il canale della Giudecca) sembra un rito legato al ciclo della vita, di morte e rinascita. Il giorno seguente i frati cappuccini suonavano, in segno di giubilo, ininterrottamente per tutta la giornata le campane della chiesa del Redentore. I fedeli durante il pellegrinaggio, passavano anche nel vicino convento dei cappuccini a bere l’acqua del pozzo, simile a quella che si prelevava dal pozzo della vicina chiesa del Santo Spirito e che era ritenuta miracolosa. La celebrazione continua a svolgersi ogni anno la terza domenica di luglio, nonostante lo stravolgimento portato da un turismo sempre più invadente, inconsapevole e miscredente. La predisposizione dell’itinerario devozionale (ponte su galleggianti) rappresenta un preciso richiamo al profeta Isaia, il quale esorta a preparare le vie del Signore una volta sconfitte le iniquità da Gerusalemme. A conclusione di questo “traghetto”, si entra nell’aula del tempio progettato dal Palladio, dove è celebrato il trionfo di Cristo Redentore che muore per la salvezza dell’umanità. Al termine della Messa, con il sole al tramonto, il Patriarca, dall’alto della scalinata, benedice con il Santissimo la città, la laguna, il mare e tutti gli abitanti.
immagini tratte da wikipedia, google.
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