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La sede liturgica: come e dove




L'importanza del "posto a sedere" del Celebrante ha scatenando spesso l'adeguamento impazzito dei presbiteri: troni barocchi posti sulle vecchie predelle d'Altare, cattedre di marmo di fronte ai Tabernacoli, e chi più ne ha, più ne metta. Chiesa che vai, sede che trovi. Ma cosa proponeva in merito la Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II? Come dovrebbe essere la sede del Celebrante nella Forma Ordinaria del Rito Romano?

Iniziamo subito col dire che, com'è intuibile, esistono specifici provvedimenti emanati dalla competente autorità per regolare questa materia. Qui ne esamineremo alcuni, partendo dalle norme approvate per la Chiesa universale, passando poi a quelle emanate dalla Conferenza Episcopale Italiana. Il riferimento principale per cominciare a capire cosa sia prescritto in tutto l'Orbe cattolico è una rubrica del Messale Romano, la numero 310 (cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, III edizione tipica, anno 2002), che recita: “La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e i fedeli riuniti, o se il tabernacolo occupa un posto centrale dietro l’altare. Si eviti ogni forma di trono. […] Nel presbiterio siano collocate inoltre le sedi per i sacerdoti concelebranti e quelle per i presbiteri che, indossando la veste corale, sono presenti alla celebrazione, senza concelebrare. […] La sede del diacono sia posta vicino alla sede del celebrante. Per gli altri ministri le sedi siano disposte in modo che si distinguano dalle sedi del clero e che sia permesso loro di esercitare con facilità il proprio ufficio.”
La nostra domanda, come notiamo, ha già ricevuto una risposta sostanziosa. La Chiesa ci dice che la sede deve esprimere con chiarezza il ruolo di colui che celebra e che pertanto è meglio essa sia rivolta verso il popolo, in modo da facilitare la comunicazione tra il sacerdote ed i fedeli. Questo, pensiamo, avviene già nella maggior parte delle chiese italiane. Ma poi: in quale parte del presbiterio è più opportuno collocarla? Ci vien risposto che il fondo del presbiterio è la parte migliore, ma che è necessario tener conto della struttura del luogo. Se, infatti, lo stesso presbiterio fosse molto ampio (come può accadere, per esempio, in una collegiata o in una chiesa di monaci o religiosi, che hanno un coro notevole per accogliere il clero, numeroso in passato), allora la sede non va collocata lì. Allo stesso modo, come accade molto spesso nelle chiese di antica costruzione, se sul fondo del presbiterio è già presente il tabernacolo, la sede non va collocata lì, nemmeno davanti ad esso: è evidente qui la volontà che il sacerdote in alcun modo possa oscurare il sacro tabernacolo, da cui promana la Presenza Reale del Signore. Ad un medesimo sentimento di modestia e semplicità pare ispirarsi la norma che vieta la forma di trono.
Infine, le norme ricordano che, qualora vi siano concelebranti o altro clero che assiste o ministri che si occupano del servizio all'altare, vanno collocate nel presbiterio sedi per loro. E' evidente che esse devono esprimere adeguatamente il ruolo di chi le occupa (ci pare dunque poco opportuno che concelebranti e ministri seggano in uno stesso luogo, poiché profondamente diverso è il loro ruolo nelle sacre cerimonie) e devono essere collocate in modo funzionale, per consentire ad ognuno di svolgere con tranquillità il ruolo proprio nella celebrazione.
Un'autorevole parere in merito è quello del cardinal Mauro Piacenza, pronunciato nel 2006 (prima di diventare prefetto della Congregazione per il Clero e cardinale): “La sua [della sede, ndr] collocazione deve essere tale da soddisfare alla sua funzione pratica e simbolica, senza diminuire l’importanza preminente dell’altare e dell’ambone. In questo caso può servire la dimensione più ridotta dell’arredo. Va poi opportunamente differenziata la sede del presbitero dalla cattedra del vescovo, soprattutto – come è ovvio – nella chiesa detta significativamente “cattedrale”. Inoltre occorre valutare lo spazio per le processioni, avendo presente un percorso per breviorem ed uno per longiorem.” (cfr. Relazione alla Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa “Il centro dello spazio liturgico e il cuore della sacralità umana: Presbiterio e Crocifisso”, n.6). Passiamo ora alla normativa – più abbondante – emanata dalla Cei. Per prima cosa esaminiamo le Precisazioni liturgiche (anno 1983), in cui al punto 15 leggiamo semplicemente: “La sede del sacerdote celebrante e dei ministri sia in diretta comunicazione con l’assemblea.” Una norma piuttosto generale, questa, che ci pare volta a ribadire la necessità che non vi siano ostacoli sostanziali alla comunicazione tra sacerdote e fedeli: elemento che, del resto, è tutelato anche dall'ampio uso delle moderne tecnologie di amplificazione. Maggiori precisazioni troviamo nella nota pastorale, sempre della Cei, “La progettazione di nuove chiese” (anno 1993). Ecco cosa si dovrebbe osservare nel progettare la sede nei nuovi edifici sacri (n. 10): “[...] Per collocazione [la sede, ndr] sia ben visibile a tutti, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l'animazione. Essa deve designare il presidente non solo come capo, ma anche come parte integrante dell'assemblea: per questo dovrà essere in diretta comunicazione con l'assemblea dei fedeli, pur restando abitualmente collocata in presbiterio.Si ricordi però che non è la cattedra del vescovo, e che comunque non è un trono. [...]”. Anche nelle parti che qui non abbiamo riportato, ricaviamo l'impressione che non siano qui espresse grandi novità: la sede deve essere in diretta comunicazione coi fedeli e deve poter essere vista dagli stessi. L'ultima frase che abbiamo riportato pare essere un velato richiamo a certi abusi nel frattempo avvenuti: per cui si rammenta al celebrante la modestia della sede. Tre anni dopo, nel 1996, la Conferenza Episcopale Italiana emanò un nuovo documento, dedicato questa volta non ai nuovi edifici sacri, ma alle modifiche da eseguirsi in quelli costruiti prima della riforma liturgica. Si tratta della nota pastorale “L'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica”, che al n. 19 riporta: “[...] Per la sua collocazione, essa [la sede, ndr] deve essere ben visibile da tutti e in diretta comunicazione con l'assemblea, in modo da favorire la guida della preghiera, il dialogo e l'animazione. La sede del presidente é unica e non abbia forma di trono; possibilmente, non sia collocata né a ridosso dell'altare preesistente, né davanti a quello in uso, ma in uno spazio proprio e adatto. [...]” Oltre a ribadire elementi già noti, viene qui messo in chiaro che la sede non dovrebbe – se la struttura del presbiterio lo consente – essere collocata davanti all'altare antico (che molto spesso è pure la sede del tabernacolo) e nemmeno davanti a quello moderno, ma in un luogo diverso.

Dopo tutte queste citazioni, è agevole giungere a qualche conclusione: la sede del celebrante, secondo le diverse norme, non deve oscurare il ruolo dell'altare, ara del Sommo Sacrificio e Mensa del banchetto eucaristico; né deve sminuire l'importanza del tabernacolo, ove viene conservato il Santissimo Sacramento. Si tratta quindi di individuare un luogo visibile, in cui non siano presenti ostacoli tra il celebrante e l'assemblea dei fedeli, ma senza usurpare spazi che non gli competono. 

C'è da dire che a seguito del Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI, una buona (e moderna) prospettiva liturgica è quella di adeguare i presbiteri permettendo la convivenza ordinata di entrambe le Forme del Rito Romano.

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