Nuova crisi diplomatica tra la Santa Sede e un Paese europeo dalla forte identità cattolica: dopo l'Irlanda, ai ferri corti con il Vaticano in seguito alla pubblicazione del rapporto sugli abusi su minori nella diocesi di Cloyne, è la volta della Croazia, Paese visitato appena due mesi fa da papa Benedetto XVI. A scatenare la crisi è stata la decisione del pontefice di risolvere una volta per tutte una disputa legale che andava avanti da oltre un decennio tra la diocesi croata di Pola e Parenzo e l'abbazia benedettina di Praglia (Pd), in Italia. Oggetto del contendere: la proprietà di un monastero – circondato da ampi terreni – a Dajla, in Istria, una penisola affacciata sul Mar Adriatico passata dal controllo dell'Italia a quello croato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il terreno del monastero era stato donato ai benedettini di Praglia, a metà del XIX secolo, dal conte Francesco Grisoni. Successivamente, le proprietà dei benedettini di Dajla erano state nazionalizzate dal Governo jugoslavo come gran parte dei beni ecclesiastici. Dopo il collasso della Jugoslavia e il ritorno della Croazia all'indipendenza – con il sostegno non secondario proprio della diplomazia vaticana – nel 1999 Zagabria, in base alla legge sulla de-nazionalizzazione e ai suoi accordi con la Chiesa croata, aveva assegnato la tenuta di Dajla alla diocesi croata di Pola e Parenzo. Una decisione però che non era mai stata accettata dai benedettini di Praglia, che avevano cercato di rientrare in possesso dell'abbazia e dei terreni circostanti. Per risolvere la questione, papa Ratzinger aveva creato nel novembre 2008 una apposita Commissione formata da tre cardinali: l'arcivescovo di Zagabria, cardinale Josip Bozanic, il presidente del Patrimonio vaticano, cardinale Attilio Nicora, e il giurista cardinale Urbano Navarrete.
Il caso si era ancora complicato quando il vescovo di Pola e Parenzo, monsignor Ivan Milovan, aveva deciso di vendere alcune dei terreni dell'abbazia ad una società che voleva realizzare un golf resort nell'area.
La soluzione trovata dai cardinali era chiara: restituzione dei beni ancora in possesso della diocesi ai benedettini, compensazione per le imposte e le spese giudiziarie, e risarcimento per i beni venduti. Il totale sembrerebbe aggirarsi intorno ai 25 milioni di euro.
Come spiegato oggi dal Vaticano in una lunga nota, “le proprietà immobiliari interessate ancora in possesso della diocesi” dovevano essere “trasferite in capo all’ente croato (ma con conto corrente in Germania, ndr) Abbazia d.o.o. interamente partecipato dall’Abbazia di Praglia, ripristinando così, per quanto ad oggi possibile, la condizione determinata dalla volontà testamentaria del donatore originario che, a causa di vicissitudini storiche, per molti anni non è stata rispettata”. “Inoltre – proseguiva la nota -, è stato richiesto alla Diocesi di risarcire l’Abbazia di Praglia, a titolo di indennizzo per i beni che la Diocesi ha previamente alienato o che comunque non sono restituibili. La misura di tale indennizzo è da ritenersi meramente forfettaria, in quanto il valore dei beni già alienati dalla Diocesi è di gran lunga superiore”. Monsignor Milovan però non ha accettato una soluzione che avrebbe messo, a suo dire, la sua diocesi sull'orlo della bancarotta e Benedetto XVI è allora ricorso ad una soluzione di forza: lo scorso 6 luglio, ha sospeso il presule per il tempo necessario a far firmare l'accordo ad un commissario appositamente nominato, il prelato spagnolo monsignor Santos Abril y Castelló, vice camerlengo ed ex nunzio nei Balcani.
Il vescovo di Pola e Parenzo, però, non si è rassegnato e ha incassato il supporto delle massima autorità croate – compreso il primo ministro Jadranka Kosor, che lo ha ricevuto ieri e ha scritto una lettera di protesta al papa. Per il Vaticano, la “questione è di natura propriamente ecclesiastica” e perciò “dispiace... che sia stata strumentalizzata a fini che cercano di presentarla in chiave politica e demagogica, come se intendesse danneggiare la Croazia”. “La decisione della Santa Sede – precisa la nota - mira esclusivamente a ristabilire la giustizia dentro la Chiesa, peraltro con un risarcimento solo parziale”.
In Croazia, però, la vicenda è tutta politica, e tocca un nervo scoperto per il Paese: la sua stessa legittimità internazionale. La chiave della questione sta nel fatto che i benedettini avevano già ricevuto 1,7 miliardi di lire come risarcimento per la perdita di Dajla in base agli Accordi di Osimo del 1975 tra Jugoslavia e Italia: un trattato che metteva la parola fine a decenni di dispute e contenziosi rimasti aperti dopo la Seconda Guerra Mondiale.Per l'ex presidente della Croazia, Stipe Mesic, il Vaticano vuole ''rivedere o addirittura abrogare gli Accordi di Osimo''. ”La richiesta di un secondo indennizzo – per Mesic -, non è altro che un tentativo nascosto male di revisione o di abrogazione degli Accordi di Osimo che sono la base dei rapporti tra la Croazia e l'Italia''. L'ex-presidente ha anche accusato il Vaticano di volersi mettere ''al di sopra della Corte suprema croata''.
Opinione condivisa anche dal presidente della regione Istriana, Ivan Jakovcic, per cui il risarcimento è “un tentativo di alcuni ambienti politici ed ecclesiastici italiani che, usando l'autorita' del Santo Padre, vogliono arrivare a una revisione degli Accordi di Osimo''. Per il politico istriano ''il Vaticano ha agito in modo unilaterale, violando di fatto i Concordati tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia''.
La preoccupazione di fondo è che la vicenda del monastero di Dajla crei un pericoloso precedente giuridico, dando il via a decine di migliaia di richieste di risarcimento per beni in Istria, Fiume e in Dalmazia.
Il premier Kosor, dopo il comunicato vaticano, ha annunciato che userà tutti i mezzi diplomatici per aiutare il vescovo di Pola e anche il presidente croato, Ivo Josipovic, ha avvertito che non si possono violare gli accordi internazionali, sottoponendo il caso anche alla magistratura. Il nunzio vaticano in Croazia è stato convocato dal governo, mentre l'ambasciatore croato presso la Santa Sede, Filip Vucjak, è stato richiamato d'urgenza dalle sue vacanze in Dalmazia ed è tornato a Roma, dove oggi è stato ricevuto in Segreteria di Stato.
Anche la Chiesa croata ha reagito con durezza alla decisione vaticana, malgrado il silenzio del cardinale Bozanic, uno dei tre membri della Commissione incaricata da papa Ratzinger. ''Sono convinto che il Papa non e' informato bene e che qualcuno gli abbia suggerito questa soluzione'', ha affermato il vicario della arcidiocesi di Spalato ed esperto di diritto, don Ivan Cubelic, ''la questione non riguarda il dogma, e quando il Papa sarà meglio informato saprà prendere una decisione migliore''. La Santa Sede ha assicurato oggi che “le ragioni esposte dalla Diocesi di Parenzo e Pola sono state sempre tenute in debita considerazione e recepite, secondo criteri di equità e di giustizia, nella decisione pontificia. Duole pertanto che la decisione della Santa Sede venga contestata come se fosse di parte, o addirittura non avesse adeguato fondamento”. Ma in Croazia nessuno vuole mettere la parola fine a questa vicenda.
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