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Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Storie di ordinaria contabilità: tra Croazia e Santa Sede "è un casino"


di Michele Poropat
 

«Per dirla con una parola, è un casino». Così ha commentato un esperto giuridico interrogato dal giornale Glas Istre sulla disputa tra i benedettini di Praglia da una parte e la diocesi di Parenzo-Pola e la parrocchia di Daila dall’altra. L’estemporanea decisione del Ministro della giustizia croato Bosnjakovic di decretare nulle le delibere della Regione istriana emesse dal 1999 al 2002 che avevano sancito la restituzione dei beni alla diocesi istriana, con la motivazione, tra l’altro, che l’indennizzo ricevuto dai benedettini in applicazione dei Trattati di Osimo e di Roma rende nulla la restituzione, non solo non ha portato chiarezza, ma ha reso la situazione, se mai possibile, ancora più intricata. In primo luogo, il decreto del ministro non è esecutivo, ma dovrà seguire il normale iter procedurale presso il Tribunale Municipale di Buie dopo che saranno esaurite le altre cause in corso sulla questione; inoltre su tale decreto le parti in causa, se insoddisfatte, potranno aprire un contenzioso amministrativo della durata imprevedibile. Naturalmente si dovrà tenere conto anche del parere dell’Unione Europea, la quale, è opinione diffusa, boccerà questo provvedimento e costringerà il governo croato a una nuova e imbarazzante marcia indietro.
Questo provvedimento, emesso più che altro a fini propagandistici, ha momentaneamente placato l’ira popolare, ma rischia di essere pagato a caro prezzo. Uno Stato, infatti, che delibera la restituzione di beni, e dopo quasi quindici anni ne riassume il controllo giustificando la nuova misura con errori amministrativi compiuti nel corso del processo di restituzione, fa mancare a potenziali investitori nel mercato immobiliare il principio della certezza del diritto. Va ricordato infatti che la dichiarazione di nullità delle delibere di restituzione dei beni determina automaticamente l’invalidamento dei contratti di vendita e di locazione dei beni stipulati nel frattempo. Se poi lo Stato decidesse di adottare la soluzione proposta dall’istrionesco Presidente della Regione Istriana, Jakovcic, di salvaguardare cioè la validità dei contratti già stipulati nonostante la sopravvenuta nullità delle delibere di restituzione, si creerebbe un caos amministrativo senza precedenti, e la Croazia, proprio mentre si avvicina il momento del suo ingresso nell’Unione Europea, dimostrerebbe di essere una vera e propria Repubblica delle banane.
Jakovljevic destituito
L’altra importante notizia dell’ultima settimana è sicuramente la destituzione del reverendo Ilija Jakovljevic [nella foto] dalla carica di cancelliere della diocesi istriana.
Nato in un villaggio nei pressi di Jajce, in Bosnia, Jakovljevic era l’astro nascente del clero istriano e sembrava destinato a una luminosa carriera ecclesiastica. Ordinato sacerdote nel 2003, viene subito inviato a Roma, dove studia diritto canonico presso la Gregoriana. Dopo essersi laureato, torna in Istria e diventa subito il braccio destro del vescovo Milovan. Cancelliere della diocesi dal 2005 a soli ventisei anni, gli vengono affidati numerosi altri incarichi della Curia diocesana.
A fine luglio scoppia lo scandalo di Daila. Il giovanotto conosce bene le ferite del suo popolo e quali corde toccare per volgere a proprio favore l’intera opinione pubblica, ed è abile nel manipolare i mass-media, trasmettendo le parole d’ordine che la stampa e la televisione, ivi incluso l’ente radio-televisivo pubblico, la HRT, propineranno al popolo nelle settimane successive in un impeto propagandistico mai visto dai tempi del comunismo.
Le prime parole a effetto di Jakovljevic sono drammatiche: le condizioni dell’accordo con i benedettini imposto da Roma e non sottoscritto dal vescovo Milovan provocherà la bancarotta della diocesi, i beni di questa verranno pignorati e il vescovo sarà sloggiato dalla propria sede. «Non ci rimarrà che vendere la cattedrale eufrasiana di Parenzo» conclude il cancelliere. Egli afferma inoltre che il Papa ha preso questa decisione in qualità di Capo di Stato e non di suprema autorità religiosa della Chiesa cattolica, e facendo questo egli ha danneggiato gli interessi nazionali croati a vantaggio di un soggetto giuridico straniero. Egli associa i benedettini di Praglia a un’organizzazione criminale: Il fatto che la società commerciale di riferimento dei benedettini in Istria abbia la propria sede a Pola ma il conto corrente in Germania «puzza di riciclaggio di denaro sporco». Non meno pesanti sono gli apprezzamenti che il giovanotto riserva alla commissione cardinalizia, della quale era membro l’arcivescovo di Zagabria, cardinal Josip Bozanic, le conclusioni della quale hanno rappresentato la premessa per la decisione finale del Papa: «La commissione cardinalizia ha fatto in modo che i beni della Diocesi di Parenzo-Pola vengano divisi, cioè rapinati». Dopo una riunione del clero istriano a Pisino, Jakovljevic dichiara: «Il clero istriano ha deciso all’unanimità di restituire i beni allo Stato, perché esso ne ha diritto, e anche se non ne avesse diritto, li restituiremo lo stesso».
I mass-media all’attacco
I mass-media croati raccolgono le parole d’ordine provenienti da Parenzo e le diffondono con una martellante ripetitività accompagnata da un’incessante e sistematica denigrazione dei principali nemici, vale a dire Papa Benedetto XVI, il card. Bozanic e gli italiani. Così i giornali affermano che il Vaticano «provoca la bancarotta della Diocesi di Parenzo-Pola», che il Papa, autorità straniera, ribalta le sentenze dei tribunali croati e regala la terra croata agli italiani. Seguendo per filo e per segno gli slogan suggeriti di Jakovljevic, i benedettini italiani, e in seguito, gli "italiani" diventano "irredentisti", e la posta in gioco non sono più i terreni della parrocchia di Daila, ma l’Istria e la Dalmazia. La Santa Sede viene quindi accusata di essere influenzata dalla lobby irredentista italiana e di attentare alla sovranità e all’integrità territoriale della Repubblica di Croazia, e il Vaticano viene quasi messo sullo stesso piano della Serbia che vent’anni fa aveva invaso e messo a ferro e fuoco il territorio croato e provocato moltissimi lutti. La HRT giunge ad affermare che «il Vaticano ha preso controllo della Chiesa in Croazia», fatto che alle orecchie del cittadino croato medio influenzato dalla propaganda di questi giorni suona come la presa di possesso di una porzione di territorio croato da parte di una potenza straniera.
Viene insinuato che la fedeltà al Papa sia segno di scarso attaccamento alla Patria, e per questo motivo il cardinal Bozanic viene esposto al pubblico ludibrio quale traditore della Patria, persona spregevole che vende l’interesse nazionale per ingraziarsi la Curia romana e assicurarsi una carica di prestigio presso il Vaticano. Ricordando la sua nomina a sorpresa ad arcivescovo di Zagabria nel 1997 - in precedenza era stato vescovo della piccola Diocesi di Veglia, nel Quarnero - la stampa giunge perfino ad affermare che il Vaticano lo abbia inviato a Zagabria al solo scopo di favorire i nemici della Croazia.
Il punto più basso del giornalismo-spazzatura croato di queste settimane viene tuttavia raggiunto dal Vecernji List il quale riporta la raccomandazione di «amici molto stretti» - così si esprime il giornale - del vescovo Milovan a quest’ultimo di non andare in giro, soprattutto di non circolare in automobile «affinché non avvenga un "casuale" incidente stradale» poiché egli «si è trovato nella situazione poco invidiabile di essersi messo di traverso a interessi molto cospicui». In parole povere, si accusa la Santa Sede, il cardinale Bozanic e i benedettini italiani di progettare ll'omicidio di mons. Milovan. Ogni commento è del tutto superfluo.
Pure dei cattolici
In queste settimane tempestose anche molti ambienti cattolici hanno aderito appieno a questa improvvisa orgia nazionalistica, anti-italiana e anti-romana che ha preso possesso del popolo croato, da sempre animato da nobilissimi sentimenti di amore per la Patria e contemporaneamente da un legame a doppio e triplo filo alla Sede Apostolica e al Papa, e che in passato assai raramente era stato conquistato dal demone del nazionalismo.In un manifesto pubblicato da sedicenti "intellettuali cattolici" (tra i non molti firmatari vi sono anche ex calciatori, pensionati, militari in pensione, qualche ingegnere, sembra insomma che il concetto di "intellettuale" in Croazia abbia un significato estremamente elastico) si afferma tra l’altro che «il fatto che gli italiani abbiano dietro le quinte una grandissima influenza in Vaticano è segno che hanno deciso di venire a prendersi una parte del litorale e della Dalmazia, e il modello Daila rappresenta solamente il primo passo».In un'intervista al quotidiano Jutarnji List, il noto teologo e sacerdote Adalbert Rebic, dopo avere affermato che non fa parte del servizio petrino decidere su questioni di proprietà, accusa il cardinal Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, di avere agito nella questione Daila contro gli interessi croati in quanto di nazionalità slovena. Sui benedettini un tempo residenti nel convento di Daila, sebbene perseguitati ingiustamente, Rebic osserva che nessuno li ha obbligati a lasciare l’Istria - il cardinal Stepinac aveva preferito rimanere prigioniero pur di non lasciare il proprio Paese. A questo proposito commenta Jurica Pavicic sul giornale Slobodna Dalmacija: “Adalbert Rebic non è capace di mostrare la benché minima compassione né verso persone della sua stessa fede, sacerdoti della sua stessa confessione, né verso persone che sono fuggite dinanzi a un'ideologia che egli stesso considera odiosa, e della quale esse sono state vittime. Tuttavia, vi è un motivo, senza possibilità di appello, per cui tutti questi motivi di empatia non valgono più e che fa in modo che i monaci di Praglia siano nemici: essi sono italiani, e in Istria, come in Dalmazia, si sa che gli italiani sono nemici».Ivan Markesic, laico, professore presso la Facoltà di filosofia della Società di Gesù a Zagabria, ha scritto sul portale cattolico-progressista Križ Života: «Dopo tutto quello che fa Papa Benedetto XVI ai croati, ai sacerdoti istriani e al loro vescovo, e di conseguenza allo Stato croato e ai suoi cittadini, in verità ogni croato cattolico, ma anche ogni altro cittadino croato di qualsiasi religione, dovrebbe dirgli: grazie, Santo Padre, davvero grazie per averci rapinato».
Sembra incredibile, ma anche per la maggioranza dei cattolici croati, la richiesta di un ordine religioso italiano affinché gli vengano restituiti terreni dei quali un tempo era proprietario, rappresenta una minaccia all’integrità territoriale della Croazia e diventa il primo passo verso una fantomatica invasione italiana del Paese. Essi sono talmente condizionati dalla propaganda, che servirebbe a poco spiegare loro che, seguendo questo linea di pensiero, la Croazia minaccerebbe l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina giacché la diocesi croata di Gospic-Segna ha quattro parrocchie – e quindi anche delle proprietà – in questo Paese, oppure quella della Slovenia, in  quanto fino al 2004 l'Arcidiocesi di Zagabria ha chiesto senza successo allo Stato sloveno, e in seguito alla Corte di giustizia europea, la restituzione del castello di Mokrice, posto appena al di là del confine in territorio sloveno, e di sua proprietà fino al 1945 quando era stato confiscato dal regime comunista (fino al 1991 Slovenia e Croazia appartenevano allo stesso Stato).
Omissioni strategiche
L’alone di mistero, le falsità e le omissioni strategiche a proposito dei beni oggetto della contesa fanno pensare che a Parenzo abbiano qualcosa da nascondere, e che proprio per questo motivo abbiano scatenato un polverone con argomentazioni così inverosimili.
L’ex cancelliere Jakovljevic ha millantato l’assoluta unità del clero istriano a sostegno del suo vescovo, fatto che, secondo fonti solitamente bene informate, è da escludersi - tra l’altro, a Pola vi è il seminario e il centro di formazione per la Croazia dei Cammino Neocatecumenale, che è fedelissimo al Papa e fortemente contrariato dal modo di agire del vescovo Milovan.
Fino alla rivelazione della cronistoria degli eventi da parte di Glas Koncila, settimanale dell’Arcidiocesi di Zagabria diffuso in tutta la Croazia e Bosnia-Erzegovina, la diocesi ha taciuto di essere stata in contatto con l’Abbazia fin dall’anno 2000 per trovare un accordo su un’equa divisione dei beni, che dopo un lungo tira e molla fu sottoscritto nel 2006 a seguito della mediazione delle congregazioni vaticane per gli istituti di vita consacrata e dei vescovi, e che tuttavia era rimasto lettera morta.
La richiesta di restituzione dei beni dell’ex abbazia benedettina avanzata dalla Chiesa locale avanzata nel 1997 appare chiaramente illegittima anche perché accompagnata da una dichiarazione mendace della diocesi secondo la quale la parrocchia di Daila rappresentava l’erede e la continuatrice materiale e spirituale dell’ex abbazia benedettina – tale circostanza è tra l’altro una delle motivazioni addotte dal ministro Bosnjakovic per l’emissione del decreto di nullità delle delibere di restituzioni dei beni. Questi ultimi, infatti, già dal 1945 risultano avere nei libri fondiari un legittimo proprietario, appunto l’Abbazia di Praglia, e nel caso in cui poi fosse risultata la non restituibilità dei beni ai benedettini italiani sulla base dei trattati di Osimo e di Roma, questi non potevano essere restituiti neppure alla parrocchia di Daila.
Vale la pena quindi sottolineare il comportamento gravemente scorretto della diocesi, la quale ha fatto richiesta di restituzione di beni che non erano mai stati di sua proprietà e che non le spettavano, e che in seguito, quando per l’intervento della Santa sede si è trovata costretta a cedere una parte di questi beni al legittimo proprietario, ha segnalato la non restituibilità degli stessi ai benedettini di Praglia sulla base delle norme dei trattati internazionali, mostrando così di avere sempre saputo di avere ricevuto i beni in modo illegittimo – se non erano legittimati i benedettini, tanto meno lo erano la diocesi e la parrocchia – e di avere sempre taciuto su questo fatto.
Il "Bosco dei Frati"
Una storia che presenta vari aspetti singolari e fuori dal comune è quella della vendita dell’area chiamata "Bosco dei frati". Dopo avere acquisito questi beni, la diocesi ha venduto quest’area a una società da essa stessa fondata, chiamata Golf-Istra - quindi una “vendita a se stessi”, un trucco contabile che aveva tra l’altro il vantaggio di togliere da subito ai benedettini italiani la disponibilità di una delle porzioni più preziose dei beni oggetto della contesa. La sede di questa ditta era a Zagabria presso lo studio dell’avvocato Branko Skarica, il quale nel 2003 l’ha acquistata, ivi incluso naturalmente il "Bosco dei Frati", per 22 milioni di kune, pari a circa 3 milioni di euro. Quattro anni dopo il comune di Verteneglio, nel cui territorio si trova il "Bosco dei Frati", ha deciso la trasformazione dell’area da terreno a uso agricolo ad area destinata, guarda caso, a ospitare un campo da golf nonché strutture ricettive e alberghiere di lusso a esso collegate. Naturalmente dopo questa decisione il prezzo della Golf-Istra è lievitato a dismisura, e l’avvocato Skarica l’ha rivenduta alla società Makro 5 di Buie per 91,5 milioni di kune, pari a poco più di 12 milioni di euro, più di quattro volte il valore originario.
Il reverendo Jakovljevic nega che con la fondazione della ditta Golf-Istra si sia inteso destinare i terreni del "Bosco dei Frati" appunto a un campo da golf. Lasciamo quindi volentieri al Procuratore Generale della Repubblica di Croazia, Bajic, che ha già iniziato a interessarsi di questo caso, l’arduo compito di verificare se la trasformazione della destinazione d’uso dei terreni del "Bosco dei Frati" in un campo da golf che coincide con la ragione sociale della ditta fondata dalla diocesi istriana alcuni anni prima, con il conseguente quadruplicamento del valore della ditta medesima, siano frutto di rivelazioni mistiche, fortunate congiunzioni astrali o di accordi sottobanco, ivi incluso un processo di “oliatura” dei processi decisionali del Comune di Verteneglio. Allo stesso modo, attendiamo di sapere se la strana coincidenza tra la prima sede della Golf-Istra (lo studio dell’avvocato Skarica) e l’acquirente, in seguito rivenditore della ditta a un prezzo quattro volte superiore (ancora l’avvocato Skarica), sia dovuto al fatidico bacio della dea bendata in favore di questo avvocato o a un meccanismo con il quale le due parti hanno potuto ottenere, attraverso una (nuova) vendita fittizia, illeciti vantaggi di natura fiscale o di altro tipo. 
In una lettera agli altri vescovi croati, Mons. Milovan scrive che con il decreto del Ministero della giustizia la questione oggetto del contenzioso sia conclusa, e si augura che “tutti accetteranno la decisione della Repubblica di Croazia e che in questo modo abbia termine questa disputa che ha provocato un grande danno all'intera Chiesa”. Non sappiamo se il vescovo di Parenzo vive in un universo parallelo, senza contatto con la realtà, o finga di non capire. Come abbiamo scritto, il decreto governativo è ben lungi dall’essere esecutivo, e probabilmente non lo diventerà mai. Per la diocesi istriana è meglio così. In caso contrario, la nullità di tutti i contratti stipulati porterebbe, tanto per citare solamente il caso della ditta Macro 5, a citazioni per danni per decine di milioni di euro, più l’obbligo di restituire i 12 milioni di euro che essa ha speso per l’acquisto della Golf Istra. In tal caso sussisterebbe il rischio concreto che la diocesi finisca in bancarotta, mentre l’applicazione della decisione della Santa Sede sarebbe stata quasi indolore in quanto non avrebbe minimamente mutato lo status quo dei terreni già venduti o dati in locazione - proprio per la porzione di beni non restituibili l'accordo prevedeva infatti il pagamento ai benedettini di circa cinque milioni di euro.
Il "simbolo dell’istituzione"
«Non cederemo mai l’abbazia, poiché essa è il simbolo dell'istituzione» ha affermato solennemente Jakovljevic. Parole profetiche, poiché essa è certamente il simbolo di un’istituzione, la Chiesa locale di Parenzo, divenuta modello dell’affarismo che sempre più spesso contagia l’ambiente ecclesiale.
La verifica delle particelle catastali che la diocesi deve restituire ai benedettini ha riservato più di una sorpresa. Anzitutto è apparso evidente che, al contrario di quanto affermato in un primo tempo da Parenzo, l’abbazia non solo non è destinata a essere restituita ai religiosi italiani, ma anche che il “simbolo dell’istituzione” è di proprietà della società a responsabilità limitata Benedikt d.o.o. Con un'informazione volutamente imprecisa e fuorviante, il vescovo Milovan afferma che soci della ditta sono la Diocesi austriaca di Linz nonché ovviamente la diocesi locale e la parrocchia di Daila. In realtà il socio austriaco non è la "diocesi" di Linz, bensì una sua fondazione, la Bischöfliche Stiftung St. Severin che dal 2010 è stata fusa con un’altra fondazione diocesana per dare vita alla Diözesane Immobilienstiftung, la fondazione immobiliare (!) della diocesi austriaca, nel cui Statuto, si afferma che tra l’altro che tra le sue attività vi è “la promozione e l’esecuzione di opere edilizie di ogni genere” (§2 paragrafo 4 comma b) in Austria e all’estero. Quale sia la quota di partecipazione della fondazione austriaca non è dato a sapersi – un mistero che serve forse a nascondere che la quota di maggioranza è in mano agli austriaci, anche loro stranieri? L’attività prevalente con la quale la Benedikt d.o.o. è stata registrata è quella alberghiera e turistica, tuttavia questo “simbolo dell’istituzione” si occupa anche di altri affari, che riteniamo non propriamente “pastorali”, quali la costruzione di appartamenti da dare in locazione, la frutticoltura, la produzione di bevande, attività sportive, ricreative e turistiche e servizi di cambio valute, l’edilizia, la locazione di navi e l’intermediazione per l’ottenimento di passaporti e visti. Non vorremmo che un’indagine più approfondita facesse venire alla luce, come nel caso della Diocesi di Maribor, intrecci finanziari e attività ancora meno ortodosse. Ci limitiamo a osservare che l’attività principale della società, quella alberghiera e turistica, può fare pensare che l’obiettivo finale sia stato quello di trasformare l’abbazia e i terreni circostanti in un albergo di lusso – progetti che, come è accaduto anche per il campo da golf nel "Bosco dei Frati", dopo la decisione della Santa Sede in favore dei benedettini italiani sono probabilmente andati in fumo.
Il silenzio dei vescovi croati
Stupisce profondamente e amareggia che nessun vescovo croato, ad eccezione del cardinal Bozanic, in queste settimane abbia speso una sola parola in difesa del Santo Padre, oggetto dei violentissimi attacchi dei media croati di cui abbiamo parlato in precedenza, e non rappresenta certo una giustificazione il fatto che i vescovi si siano auto-imposti il silenzio sulla vicenda di Daila, poiché la difesa della persona e della figura del Papa travalica le legittime differenze di opinioni che nell’episcopato possono sussistere sulla vicenda.
L’episcopato croato, un tempo tra i più fedeli al Papa e alla Santa Sede, ha in questo modo intrapreso a passi spediti il cammino che lo porterà presto o tardi a cadere nel precipizio nel quale già da molto tempo si trovano gli episcopati dei vicini Paesi mitteleuropei - Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Olanda e altri ancora - per i quali, salvo qualche eccezione, l’unione con il Papa e la Santa Sede sono ormai solamente formali.
La propaganda dei mass-media, avviata e guidata da Parenzo, ha intaccato la fiducia e l’amore del clero e dei fedeli verso il Papa e la Santa Sede, che nel corso dei secoli ha rappresentato una parte integrante dell’amore del popolo croato verso la propria Patria. E’ tremenda la responsabilità del vescovo di Parenzo e del suo ex-cancelliere per il fatto di essere riusciti là dove avevano fallito, tra gli altri, Fozio all’epoca della separazione tra la Chiesa romana e quella bizantina, e più recentemente il maresciallo Tito, e ciò solamente per coprire interessi economici e giochi finanziari poco evangelici.
Presso il popolino questa vicenda ha inoltre risvegliato e accresciuto sentimenti di ostilità nei confronti degli italiani, e siamo sorpresi nel constatare l’assenza di reazioni dell’onorevole Furio Radin, deputato della minoranza italiana presso il parlamento di Zagabria, e della Comunità Nazionale Italiana alle accuse infamanti e inverosimili lanciate contro il popolo italiano da Javkovljevic e avallate dal vescovo Milovan, che anche di questo popolo, nella porzione residente in Istria, dovrebbero essere pastori e non lupi.
Questa vicenda, che al di fuori dei confini croati non è stata compresa in tutta la sua gravità, ha forse mostrato la necessità che la Santa Sede riveda i suoi modelli di comunicazione, non più adatti a questi tempi. Come hanno notato alcuni osservatori, Jakovljevic «ha interloquito con i mass-media con estrema abilità, in modo chiaro e conciso, …  presentando i punti principali della posizione della diocesi su questo caso estremamente complesso. … Il suo modo di presentarsi e di parlare ha destato sorpresa, poiché la Chiesa di solito parla “tra le righe”». A questo abile comunicatore la Chiesa ufficiale ha risposto con due stringati comunicati del Vaticano, una dichiarazione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale croata, che tra l’altro non corrisponde al pensiero della maggioranza dei vescovi stessi, due omelie del cardinal Bozanic e un articolo di Glas Koncila. Troppo poco per sperare di contrastare la propaganda mediatica scatenata dalla diocesi istriana.
Umanamente parlando, i frutti della visita del Papa in Croazia di due mesi e mezzo fa sembrano distrutti. Ma il Signore è sempre accanto al suo popolo, e ha assicurato: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv. 12, 24). Il chicco di speranza gettato da Benedetto XVI nei cuori delle famiglie e di tutto il popolo croato darà sicuramente molto frutto, ma perché ciò accada bisogna pregare. L’appello fatto dal card. Bozanic al santuario di Marija Bistrica ai fedeli croati il 15 agosto vale per tutti: «Desidero invitarvi … a pregare per la Chiesa, per la nostra unità e comunione, e preghiamo soprattutto per il Santo Padre che in questi giorni è stato fatto oggetto di attacchi proditori e di incredibili manifestazioni di odio, di cui si è macchiata una parte dell’opinione pubblica croata. Siamo chiamati a riparare alle offese fatte anzitutto a Dio, ma anche alla Chiesa e al Santo Padre …».

testo de "la Bussola Quotidinana", immagine Corbis

3 commenti:

Anonimo ha detto...

I croati sono dei selvaggi senza Dio, dediti solo al brigantaggio come lo erano i loro antenati, e i loro preti e vescovi sono veri pastori in queste scellerate azioni. Cosa aspetta la Santa Sede a dstituire e scomunicare il vescovo di Parenzo-Pola ... !? E 'sta gente vuole entrare in Europa ? Ma regaliamola ai Turchi che come mentalità sono più simili a loro che a noi !

Anonimo ha detto...

Quand'ero giovane andavo con la famiglia in vacanza nell'allora Jugoslavia, in slovenia sull'altopiano della Bainsizza. A luglio si celebrava una festa nazionale Jugoslava e le forze armate, composte dalle varie "etnie" si presentavano di villaggio in villaggio per "fraternizzare". I padroni di casa, buoni contadini sloveni ci consigliavano di restare in casa quel giorno ed essi stessi portavano in un luogo - a me sempre rimasto sconosciuto - i pochi oggetti di valore che avevano. La motivazione ... "ci sono in giro i croati" e lo dicevano con un lampo di terrore negli occhi. Ecco quanto !

Anonimo ha detto...

Parce mihi Domine, quia dalmata sum, diceva l'iracondo San Girolamo ... e se lo diceva lui !

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