[…] Per capire come debba essere vissuta un’esistenza eucaristica ci viene incontro il simbolo del pellicano, un uccello che vive in Europa orientale, in Asia sud-occidentale e in Africa, e al quale si attribuisce un importante significato allegorico. S. Tommaso utilizzò l’allegoria del pellicano per descrivere l’efficacia del sacrificio di Cristo: “Pie pellicane, Jesu Domine” (o Pio pellicano, Nostro Signore); Dante la cita in riferimento all’episodio dell’ultima cena in cui l’apostolo Giovanni reclinò il capo sul petto di Gesù: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Paradiso, XXV, 112-114). Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il petto per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca ha indotto alla credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire i pulcini col proprio sangue, fino a diventare “emblema di carità”. Pertanto, il pellicano è assurto a simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.
Il pellicano, dunque, nutre i suoi figli con il proprio corpo. Questa allegoria, allora, sta ad indicare che la vera esistenza eucaristica, nell’esercizio dell’amore di Dio e del prossimo, consiste nel dare se stessi, la propria esperienza, il proprio corpo. Si può certamente dare qualcosa di noi, delle nostre sostanze, dei nostri beni, del nostro superfluo, e questa generosità è una grande manifestazione di amore. Si può, però, dare tutto se stessi, secondo la logica evangelica dell’obolo della vedova (cf. Mc 12,44), e questa forma di generosità è la manifestazione suprema dell’amore […]
Dal Blog di Matias Augé (Mons. Ignazio Sanna, Celebriamo la vita. Lettera pastorale della Chiesa di Dio che è in Oristano)
immagine da Flickr
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