L'Institutio Generalis Missalis Romani afferma: “Super ipsum [altare, ndr] vero aut iuxta ipsum duo saltem in omni celebratione, vel etiam quattuor aut sex, praesertim si agitur de Missa dominicali vel festiva de praecepto, vel, si Episcopus dioecesanus celebrat, septem candelabra cum cereis accensis ponantur.” (IGMR, 117)(nota 5).
La prima cosa che notiamo è che l'utilizzo delle candele non è affatto facoltativo, bensì obbligatorio. La seconda, che questi candelabri vanno postio sopra (super) o nei pressi (iuxta) dell'altare. Crediamo di poter deplorare, qui, l'abitudine diffusasi in alcuni luoghi, di interpretare in senso che riteniamo troppo estensivo il termine iuxta. Quest'avverbio indica vicinanza e, del resto, è del tutto evidente l'intimo legame che le rubriche presuppongono intercorrere tra altare e candele: porle ad eccessiva distanza, quindi, rende molto difficoltosa – quando non impossibile – la comprensione di questa relazione. La terza cosa che si nota la specificazione del numero dei candelabri. Devono essere, sempre, almeno due; in occasioni particolari (Santa Messa domenicale o di precetto: in senso estensivo, si può pensare ad ogni celebrazione che presenti qualche elemento di solennità) quattro oppure sei; quando celebra il Vescovo diocesano, sette. Questa disciplina si scosta ben poco, in fondo, dalle rubriche della forma straordinaria (nota 6). Anche una successiva rubrica (IGMR, 307) parla dei candelabri: in essa, tra le altre cose, si stabilisce con chiarezza che altare e candelabri siano disposti “ut totum concinne componatur” (in modo da formare un tutto armonico) – confermando quindi quando sostenuto da noi poco sopra – e che “neque fideles impediantur ab iis [candelabris, ndr] facile conspiciendis, quae super altare aguntur vel deponuntur.” (e [i candelabri] non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare). Quest'ultima affermazione è stata forse da alcuni strumentalizzata, al fine di escludere antichi candelabri, piuttosto grandi e di notevole valore artistico, col pretesto che avrebbero impedito ai fedeli di vedere quanto si compie sull'altare. Ora, l'esempio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice dimostra che è possibile coniugare l'uso di venerabili candelabra con questa prescrizione, semplicemente avendo cura di disporli in maniera tale che essi non ostruiscano la vista dell'assemblea. Se l'altare fosse piccolo, è pur sempre possibile porli immediatamente nei pressi dell'altare (per esempio sul pavimento del presbiterio davanti all'ara/mensa medesima). Accade infatti, talvolta, di vedere candele dozzinali o di forme particolari o comunque ben poco armonizzate coll'arredo liturgico della chiesa nel suo insieme. Per esempio, candele poste in vasi di terracotta scarsamente ornati paiono scarsamente accordarsi con le linee rinascimental-barocche di gran parte dei nostri edifici sacri. Senza contare che, come dicevamo prima, il pauperismo liturgico non è affatto sinonimo – purtroppo taluni paiono averlo considerato tale, invece – di “nobile semplicità” e mal si accorda con l'espressione dell'intima solennità della Sacra Liturgia. Del resto, nella rubrica in esame, motivando l'utilizzo dei candelabri nella celebrazione, si adduce “venerationis et festivae celebrationis causa” (in segno di venerazione e di celebrazione festiva). É evidente che la venerazione verso il Santissimo Sacrificio della Messa viene espressa con molta maggior chiarezza da candele degne e preziose, che certo non sostituiscono la devozione e l'intima partecipazione interiore, ma dovrebbero in qualche modo rappresentare lo zelo per la Casa del Signore (cfr. Sal 68, 10).
Riguardo alla materia delle candele, nelle rubriche non se ne parla. Nel 1974 (cfr. Notitiæ 10 [1974]), la Congregazione per il Culto Divino affermò che l'argomento era di competenza delle Conferenze Episcopali; era comunque da scegliersi un materiale nobile e degno, che permettesse di ottenere una fiamma viva, che non producesse fumo o odori e che non macchiasse. Per significare pienamente il simbolismo della luce e la verità delle cose, poi, si sosteneva che dovessero essere evitate le lampade di luce elettrica (nota 7). Queste caratteristiche, considerando anche la tradizione delle popolazioni europee, sembrano facilmente riscontrabili proprio nella cera d'ape.
(nota 5) “sull’altare, o accanto ad esso, si pongano almeno due candelabri con i ceri accesi, o anche quattro o sei, specialmente se si tratta della Messa domenicale o festiva di precetto; se celebra il Vescovo della diocesi, si usino sette candelabri.” (trad. italiana ufficiale CEI)
(nota 6) In essa si utilizzano due candele per la Messa letta, quattro o sei per quella cantata, sei per quella solenne e sette per quella pontificale.
(nota 7) “[...] valet pro cereis durante Missa accendendis facultas qua gaudent Conferentiæ Episcopales seligendi materias aptas pro sacra supellectile, dummodo sint nobiles ac dignæ iuxta mentem cuiusvis populi et usui sacro apte respondeant. In cereis usui liturgico destinatis conficiendis materias adhigeantur quibus obtineri possit flamma viva, non fumosa nec fætida neque tobaleæ aut stratus maculentur. Insuper ut rei veritas et plenior significatio lucis habeatur, vitandæ sunt lampades vi electrica accensæ.”
2 commenti:
Purtroppo è invalsa l'abitudine di mettere sull'altare due candele appaiate e dall'altra parte i fiori. Ricordatevi che questo modo di fare serve per adornare un altare massonico.
http://www.giusepperosini.it/content.php?page=127&action=42&lang=it
http://www.giusepperosini.it/content.php?page=150&action=CB
http://www.giusepperosini.it/content.php?page=129&action=ce
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