Durante la Santa Messa, oggi, è difficile trovare un momento in cui vi sia una tale varietà di comportamenti come durante la recita (o il canto) del Padre Nostro.
Subito dopo la solenne dossologia che conclude la Preghiera Eucaristica, dopo l'invito del sacerdote, ecco scatenarsi la fantasia di fedeli ed animatori della liturgia: alcuni sono inginocciati, altri seduti, altri ancora (la maggior parte) in piedi. C'è chi tiene le mani giunte (non troppi), chi dietro la schiena, chi incrociate sul petto, chi a penzoloni lungo i fianchi. Da alcuni decenni ha acquistato una certa rilevanza il gesto di tenere le braccia allargate, come del resto quello di prendere la mano del vicino formando una sorta di "catena".
Vien da chiedersi, qui come in altri ambiti: esiste una normativa, un'indicazione da parte della Chiesa?
Vediamo di rispondere.
Per quanto riguarda la forma ordinaria del rito romano - frequentata dalla stragrande maggioranza dei fedeli - l'Ordinamento Generale del Messale Romano (n. 43)(editio typica del 2002) prescrive che i fedeli rimangano in piedi (anche se, come abbiamo evidenziato tempo fa sulla scorta di un pronunciamento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, rimane comunque possibile inginocchiarsi o sedersi).
Per quanto riguarda l'Italia, nel 1983 la Cei ha stabilito (nelle Precisazioni alla II editio typica del Messale)(n. 1) che "Durante il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera."
Non entriamo qui nella disputa relativa alla validità giuridica di questa prescrizione; ci accontentiamo di aver segnalato questa disposizione.
Queste appena elencati sono i pronunciamenti della Chiesa, da cui si deduce che l'atteggiamento più consono è quello di pregare il Padre Nostro rimanendo in piedi.
Riguardo al tenere le braccia allargate, si tratta di un gesto eminentemente sacerdotale, che potrebbe ingenerare confusione nei fedeli se non adeguatamente spiegato: v'è infatti il rischio che essi vadano (almeno inconsciamente) perdendo la distinzione esistente tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (errore da cui già metteva in guardia il venerabile Pio XII nella Mediator Dei; lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1547) sottolinea la differenza essenziale tra questi due sacerdozi).
E' andato invece perdendosi la consuetudine di tenere le mani unite: se è vero che questo gesto non risale ai primordi della liturgia, ma è successivo di diversi secoli, nondimeno vanno tenute a mente le parole di papa Pacelli, mai sconfessate dal Magistero della Chiesa: "Anche i riti liturgici più recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi dei quali l'inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare la santità degli uomini." (Mediator Dei) Sebbene qui si parli più strettamente di riti liturgici, ci pare comunque lecito, agendo per analogia, applicare queste parole anche ai gesti dei fedeli.
Come, infatti, non tener conto del bel significato che sta alla base del tenere le mani giunte? Si tratta di un un voler mettere le nostre mani - strumenti con i quali spesso agiamo - nel grembo del Dio Altissimo: quindi un riporre simbolicamente la nostra vita nel Signore, abbandonandosi a Lui con fiducia. E, del resto, non è forse la Santa Messa un momento adattissimo per esprimere un simile sentimento? In essa, infatti, si rinnova sacramentalmente il Sacrificio del Calvario, cioè l'atto supremo d'amore del Figlio di Dio che s'immola per la salvezza del genere umano, decaduto e traviato. Di fronte dunque a tanta carità, dono di Dio dovuto alla larghezza della Sua misericordia - e non certo ai nostri meriti - , come non fidarsi di Dio - e quindi esprimere ciò anche esteriormente? Certamente vi sono diversi gesti atti ad esternare un simile sentimento, ma è pur vero che quello di giungere le mani, provato da secoli di pratica liturgica, merita di essere riscoperto e valorizzato appieno, nonostante oggi sia da taluni piuttosto negletto.
Nella forma straordinaria del rito romano la situazione normativa è diversa, poiché in genere si preferì affidarsi alle consuetudini locali. Non esiste, quindi, una legge universale valida per tutti.
In genere, le mani vengono tenute unite; in alcuni luoghi si preferisce rimanere in piedi, mentre altrove si rimane in ginocchio. Entrambe le posture hanno una ragion d'essere: la prima è probabilmente più antica e deriva dall'uso paleocristiano, dove restare eretti era considerato un segno di rispetto verso chi è superiore. Quale luogo migliore per fare ciò, dunque, della Santa Messa, in cui la presenza del Signore non è solo di natura morale (come potrebbe avvenire in un semplice incontro di preghiera), ma sostanziale (nella Santissima Eucarestia)?
Ma col tempo si sviluppò anche un'altra postura: quella di rimanere inginocchiati. Essa è presente e frequente nella Sacra Scrittura (quanti episodi nei Sacri Vangeli!) e venne adottata, in parte, giù nel primo millennio cristiano - sebbene abbia avuto un ruolo maggiore nel secondo. Col tempo si approfondì e si rinvigorì la fede nella Presenza Reale del Signore nel Santissimo Sacramento; di fronte alla potenza di Dio e ai Suoi doni straordinari, divenne naturale porsi in ginocchio, sottolineando così la grave miseria dell'uomo peccatore di fronte al Suo Creatore. L'Exsultet pasquale canta "O inæstimabilis dilectio caritatis: ut servum redimeres, Filium tradidisti!" (O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato per il Tuo Figlio!): di fronte a tanta, immeritata carità, l'uomo s'abbassa dinanzi a Dio, che s'è degnato di riscattare le sue creature dal peccato.
Sia il rimanere inginocchiato che il rimanere in piedi, dunque, hanno ragioni a loro favore.
Concludiamo affermando che, ogni qualvolta si parla di aspetti "materiali" della Sacra Liturgia, c'è il rischio d'apparire come aridi rubricisti, interessati solo alle minuzie e non alla disposizione interiore. Non è questo lo spirito con cui discutiamo di atteggiamenti e rubriche: speriamo si sia capito, in questo testo, come non vi sia vero gesto esteriore se questo non è espressione e supporto della necessaria e fondamentale disposizione interiore.
immagini da Corbis
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