Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

I doni all'Altare: "vengono portati pane, vino e acqua"


La consuetudine di portare all'altare dei doni è molto antica e risale ai primordi della Chiesa. Nei Vangeli (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20) e in san Paolo (1 Cor 11,23-25) si legge che Nostro Signore Gesù Cristo, nell'Ultima Cena, utilizzò pane (ἄρτος in greco) e vino (γένημα ἄμπελος in greco: lett. “frutto della vite”). Per eseguire dunque il divino comandamento (τοῦτο ποιεῖτε εἰς τὴν ἐμὴν ἀνάμνησιν, “fate questo in memoria di me”: 1 Cor 11,24) la Chiesa, fedele al suo Signore, necessitava (e tuttora necessita) di pane e vino. Una delle prime testimonianze è della metà del II secolo: si tratta del noto e schematico resoconto della struttura della Santa Messa dell'epoca che fornisce san Giustino martire (Apologia I, 67, in PG 6,430), ove si legge che, prima dell'Eucarestia, “vengono portati pane, vino e acqua”. E' ragionevole pensare che quest'offerta venga portata dai fedeli: questo è chiaro nella testimonianza di san Cipriano di Cartagine (210-258). Tra la fine del I millennio e l'inizio del II, la processione offertoriale da parte dei fedeli nella liturgia romana va' progressivamente perdendo d'importanza, anche perché dal IX secolo è sempre più diffuso l'utilizzo del pane azzimo, il quale viene preparato con grande cura, specialmente dai monaci, rendendone più difficile l'offerta da parte dei fedeli, che in precedenza utilizzavano, in genere, pane piuttosto comune. Nel Basso Medioevo questa pratica finirà con lo scomparire e la presentazione del pane e del vino diventerà compito affidato ai chierici, anche se questa loro azione viene fatta sempre e comunque anche a nome dell'assemblea (cfr. ad es., nell'offertorio della forma straordinaria, le parole “Súscipe, sancta Trínitas hanc oblatiónem, quam Tibi offérimus...” cioè “Accetta, santa Trinità, quest'oblazione, che Ti offriamo...” o, ancora più chiaramente, “Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium...” cioè “Pregate, fratelli: affinché il mio e vostro sacrificio...”). Con la riforma liturgica si è giudicato opportuno ripristinare il segno tangibile della processione dei doni. Doni che, per l'appunto, sono il pane e il vino, umili prodotti terreni che, per la potenza e la benevolenza dell'Altissimo, diventeranno, alla Consacrazione, il Corpo e il Sangue di Cristo.
Possiamo quindi chiederci: qual è il senso di questa presentazione di doni? Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1350): “La presentazione dei doni (l'offertorio): vengono recati poi all'altare, talvolta in processione, il pane e il vino che saranno offerti dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico, nel quale diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. È il gesto stesso di Cristo nell'ultima Cena, « quando prese il pane e il calice ». « Soltanto la Chiesa può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con rendimento di grazie ciò che proviene dalla sua creazione ». La presentazione dei doni all'altare assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di Cristo. È Lui che, nel proprio sacrificio, porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici.”
Il Santo Padre, poi, nell'Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis (n. 47) ha ribadito che “In questo gesto umile e semplice si manifesta, in realtà, un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all'altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre. In questa prospettiva portiamo all'altare anche tutta la sofferenza e il dolore del mondo, nella certezza che tutto è prezioso agli occhi di Dio. Questo gesto, per essere vissuto nel suo autentico significato, non ha bisogno di essere enfatizzato con complicazioni inopportune. Esso permette di valorizzare l'originaria partecipazione che Dio chiede all'uomo per portare a compimento l'opera divina in lui e dare in tal modo senso pieno al lavoro umano, che attraverso la Celebrazione eucaristica viene unito al sacrificio redentore di Cristo.”
Stabilito questo, si può aggiungere che, anticamente, alla processione dei doni vennero aggiungendosi anche altre offerte. Generalmente si trattava di prodotti della terra (primizie, fiori, olio), animali (uccelli), arredi liturgici (ceri) anche preziosi, denaro (specie nel II millennio). Bisogna subito liberare il campo da un possibile equivoco: questi doni non erano in alcun modo necessari alla celebrazione, nel senso che la loro assenza non inficiava la validità della stessa. Infatti, il Santissimo Sacrificio dell'Altare è l'immolazione incruenta di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, che offre sé stesso al Padre come offerta pura, santa, immacolata, perfetta. Il sacrificio che ci dà salvezza è solamente quello di Cristo: gli altri doni non sono dunque da interpretarsi come necessari per l'efficacia del Sacramento, né come assurde offerte distinte, quasi una moderna offerta pagana.
Al contrario, il senso di questi doni è quello di mostrare la partecipazione esteriore dei fedeli all'oblazione, è di mostrare come, nell'imminenza della Consacrazione, essi siano capaci di donare, di attuare il comandamento della carità, che è strettamente legato all'Eucarestia.
Si può qui chiaramente comprendere come al gesto della partecipazione all'oblazione debba corrispondere la partecipazione interiore - la quale è ben più grave e necessaria. Ha affermato Pio XII (Mediator Dei): “Tutto il complesso del culto che la Chiesa rende a Dio deve essere interno ed esterno. […] Ma l'elemento essenziale del culto deve essere quello interno: è necessario, difatti, vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi, affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti; ciò che essa non si stanca mai di ripetere ogni qualvolta prescrive un atto esterno di culto.” Sarebbe dunque sbagliato accontentarsi di preparare dei doni per la processione offertoriale, se poi ad essi non corrisponde una dovuta disposizione interiore. Se, anzi, l'elemento esterno finisse coll'essere a detrimento della partecipazione interna, sarebbe forse necessario evitarlo e puntare piuttosto ad elevare l'animo dei fedeli verso il Mistero che viene celebrato (con catechesi, sussidi, etc.).
Passiamo ora alla normativa: l'ordinamento generale del Messale Romano (n. 73) stabilisce che, oltre al pane e al vino, “Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.”
L'Istruzione Redemptionis Sacramentum ha ribadito che (n 70) “Le offerte che i fedeli sono soliti presentare durante la santa Messa per la Liturgia eucaristica non si riducono necessariamente al pane e al vino per la celebrazione dell’Eucaristia, ma possono comprendere anche altri doni che vengono portati dai fedeli sotto forma di denaro o altri beni utili per la carità verso i poveri. I doni esteriori devono, tuttavia, essere sempre espressione visibile di quel vero dono che il Signore aspetta da noi: un cuore contrito e l’amore di Dio e del prossimo, per mezzo del quale siamo conformati al sacrificio di Cristo che offrì se stesso per noi. Nell’Eucaristia, infatti, risplende in sommo grado il mistero di quella carità che Gesù Cristo ha rivelato nell’Ultima Cena lavando i piedi dei discepoli. Tuttavia, a salvaguardia della dignità della sacra Liturgia occorre che le offerte esteriori siano presentate in modo adeguato. Pertanto, il denaro, come pure le altre offerte per i poveri, siano collocati in un luogo adatto, ma fuori della mensa eucaristica. Ad eccezione del denaro e, nel caso, in ragione del segno, di una minima parte degli altri doni, è preferibile che tali offerte vengano presentate al di fuori della celebrazione della Messa.”
Particolarmente importante è notare che le offerte dei fedeli sono per la carità verso i poveri o verso la Chiesa. Da questo punto di vista, penso sia facilmente comprendere se certe offerte un po' particolari rispondano alla legge e alla mens della Madre Chiesa. Aggiungiamo che la presentazione dei doni non è affatto un momento di cui taluni fedeli possano appropriarsi o in cui – Dio non voglia! - essi facciano mostra del proprio protagonismo. Esigenza inderogabile del cristiano è infatti l'umiltà ed essa va' esercitata ancora di più nella sacra liturgia, dove il fedele ha la possibilità di avere una partecipazione straordinaria al Santo Sacrificio senza per questo mettere in mostra la propria persona. Anzi, umiliando se stesso, egli si nasconde e lascia che rifulga tanto più splendidamente la luce di Cristo, Vittima perfetta e nostro Redentore. Come può, infatti, la liturgia vivere di protagonismi? Al centro di essa è il Dio Altissimo, non la modesta creatura.
Oltre a ciò, bisogna pure considerare che la sobrietà della liturgia romana mal si concilia con certe inutili complicazioni; e ricordiamoci pure che queste espressioni di protagonismo liturgico possono facilmente sminuire e inficiare il clima di preghiera e di raccoglimento che, in vista della Consacrazione, dovrebbe anzi essere mantenuto e favorito. Come, del resto, non si può escludere che taluni fedeli possano essere sfavorevolmente colpiti da questi protagonismi, né che chi li compie possa finire col cadere in una forma di errato orgoglio.
Da quanto detto sinora, è semplice concludere come dovrebbe essere una corretta presentazione dei doni da parte dei fedeli: all'insegna della sobrietà e della nobile semplicità, come si addice alla liturgia romana. Quindi, oltre al pane ed al vino, si possono portare alcune offerte per i poveri e per la Chiesa. E' decisamente opportuno evitare, per le ragioni spiegate sopra, di dar vita a protagonismi, così come di portare doni strani o che ben poco possono avere a che vedere con le esigenze della fraterna carità. Penso sia opportuno anche presentare i doni in maniera anonima: la carità cristiana è infatti fatta nel nascondimento e i doni presentati dovrebbero essere intesi come offerte dell'assemblea in generale, più che di parti o gruppi della stessa.

Bibliografia:
J. A. Jungmann S.J., Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, Torino, Marietti, 1953 (II ed.). In particolare vol. II, pp. 7-24.

immagine daylife

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Redazione, voi scrivete bene, ma sapete quante cavolate si vedono alle Messe? L'altro giorno alla Messa Solenne a San Leopoldo Mandic in Padova, presieduta dal CARDINAL KASPER. dopo il pane il vino e l'acqua è stato presentato:

-un pannello fotovoltaico

-un set di cancelleria

-una pagnottona

-una grande tortona alla crema con immagine di San Leopoldo in puro zucchero

Secondo me c'è qualcosa che non va...

Anonimo ha detto...

L'ideona del pannello fotovoltaico non l'avevo ancora mai sentita... lo dirà alle catechiste della mia parrocchia...

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