Questo pomeriggio Benedetto XVI arriva ad Aquileia, culla dell’evangelizzazione del Nord-Est, e a Venezia, dove rimarrà fino alla sera di domenica. Il viaggio papale coinciderà con la chiusura della visita pastorale alla diocesi del patriarca di Venezia, Angelo Scola.
È la terza volta in quarant’anni che un Papa visita la Serenissima. L’ultima fu nel 1985, con Wojtyla. Mentre in quella precedente, avvenuta il 16 settembre 1972, Paolo VI, in piazza San Marco, davanti alla folla, si tolse la stola papale per metterla sulle spalle del patriarca di Venezia Albino Luciani. Solo dopo la morte di Montini si seppe che proprio quella mattina, prima di partire per il Veneto, il Pontefice bresciano aveva pensato alla sua fine vergando una nota aggiuntiva al testamento. Nell’agosto 1978, il giorno dopo l’elezione, quell’inatteso dono della stola sarebbe stato ricordato da Papa Luciani nel primo discorso ai fedeli, ai quali avrebbe confidato che quel pubblico gesto del predecessore lo aveva fatto arrossire.
Saranno in molti, in questi due giorni, a scrutare i gesti di Benedetto XVI per cogliere segnali di attenzione e benevolenza, dato che Scola appare come uno dei nomi accreditati per assumere l’eredità del cardinale Dionigi Tettamanzi alla guida della diocesi di Milano. Papa Ratzinger ha voluto che la discussione sulla «provvista» per la diocesi ambrosiana – così si chiama tecnicamente la designazione di un nuovo vescovo – avvenga dopo la visita nel Nordest: la Congregazione dei vescovi si pronuncerà nelle prossime settimane, nulla è deciso, tutto è ancora possibile, anche se è ormai evidente che la candidatura del patriarca di Venezia per la sede episcopale più importante d’Europa, e tra le prime del mondo, non è soltanto una boutade mediatica.
Ratzinger del resto conosce Scola da quasi quarant’anni, da quando, cioè, il futuro Papa era arcivescovo di Monaco, e il patriarca un giovane teologo: entrambi inseriti nel gruppo internazionale dei collaboratori della rivista «Communio», nata su posizioni «centriste» in alternativa alla progressista «Concilium».
Non è un mistero che, nonostante la conoscenza e la stima di lunga data con il nuovo Papa, dopo l’elezione di Benedetto XVI Scola abbia visto sfumare possibili incarichi di ulteriore responsabilità: in particolare, all’inizio del 2007, la successione a Ruini come presidente della Cei. Allora fu il neo-Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a convincere il Papa che sarebbe stato meglio nominare alla guida dell’episcopato italiano un prelato non cardinale e meno protagonista sulla scena pubblica di quanto lo fosse stato il presidente uscente. Il progetto era quello di portare in Segreteria di Stato la cabina di regia dei rapporti con la politica italiana, tradizionalmente affidati alla Conferenza episcopale. Bertone bloccò Scola, e dalla mediazione con Ruini si arrivò infine alla designazione dell’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, in quel momento non ancora cardinale.
Il patriarca di Venezia non divenne dunque presidente della Cei, né Vicario del Papa o Prefetto di qualche congregazione romana, come da qualcuno ventilato. L’essere rimasto nel capoluogo lagunare – peraltro l’unica diocesi ad aver dato tre Papi alla cristianità nell’ultimo secolo, il primo dei quali, Pio X, è già santo, il secondo, Giovanni XXIII, è beato mentre del terzo, Giovanni Paolo I, è in corso il processo di beatificazione – ha rafforzato Scola, che in questi anni da Venezia, oltre a realizzare un polo accademico di livello internazionale, il «Marcianum», ha continuato a collaborare con Ratzinger: è suo, ad esempio, il suggerimento di istituire un Pontificio consiglio dedicato alla nuova evangelizzazione, un’idea che Benedetto ha realizzato l’anno scorso.
di Andrea Tornielli, da La Stampa
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