Paolo VI non lo voleva più definire con l'antiquato termine di "corte", ma a quanto pare, l'entourage del Papa, con gli intrighi e i sospetti, sembra giunto dalla Versailles di Luigi XV. A discapito di Papa Benedetto e dei cattolici, che se ne stanno a guardare, ammutoliti. Non ci resta che... pregare.
di Paolo Rodari (per Il Foglio)
Il comitato permanente dell’Istituto Toniolo, la “cassaforte” dell’Università Cattolica e dell’ospedale Gemelli, si riunisce domani per sancire l’entrata del cardinale Angelo Scola tra i suoi membri. L’arcivescovo di Milano prende il posto del notaio Giuseppe Camadini, storico rappresentante del cattolicesimo bresciano e della sua “finanza bianca”, recentemente dimessosi assieme all’economista Alberto Quadrio Curzio. L’entrata ufficiale di Scola è significativa non soltanto perché porterà presto il nuovo arcivescovo di Milano ad assumere la presidenza dell’Istituto al posto del cardinale Dionigi Tettamanzi, ma anche perché affossa definitivamente le aspirazioni del Vaticano che intendeva portare alla presidenza del Toniolo un suo uomo di fiducia, l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick.
Il piano del Vaticano era ambizioso: conquistare il Toniolo e insieme l’ospedale Gemelli, unendo in un unico polo d’eccellenza anche il San Raffaele, il Bambin Gesù e la Casa Sollievo di San Giovanni Rotondo. Al progetto stavano lavorando, con la supervisione del segretario di stato Tarcisio Bertone, il manager Giuseppe Profiti, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e l’industriale Vittorio Malacalza, colui che più di altri avrebbe dovuto impegnarsi economicamente. Tra i primi a sfilarsi c’è stato Malacalza il quale, a poche ore dalla morte di don Luigi Verzé, disse a chi gli chiedeva se la cordata era ancora decisa a restare dentro il San Raffaele: “Forse non ne saremo degni”. Il più lesto a cogliere il cambiamento di rotta è stato Flick il quale, svanita la possibilità di entrare nel Toniolo, è riuscito a divenire presidente del cda del San Raffaele legandosi a stretto giro con l’altra cordata, quella dell’imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli che coi suoi 405 milioni di euro si è aggiudicato l’ospedale.
Quanto accaduto all’interno del Toniolo e del San Raffaele non è altro che la coda di una battaglia più ampia che si sta giocando tra le pieghe del mondo cattolico e dello stesso Vaticano. Una battaglia per il potere. Le mire di Bertone sulla stanza dei bottoni ambrosiana sono state stoppate non soltanto dai pareri negativi di Scola e del presidente dei vescovi italiani Angelo Bagnasco, ma anche da una nota scritta fatta pervenire in appartamento papale dal cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Aif, la nuova authority incaricata di controllare l’attività finanziaria di tutti gli enti del Vaticano, sentito il parere dell’amico porporato bresciano Giovanni Battista Re, ex capo dei Vescovi. Il parere dei quattro porporati è pesato parecchio e alla fine ha convinto il Papa il quale, tra l’altro, vedeva nell’operazione anche un intoppo giuridico: lo Ior non può, per statuto, impegnarsi in un’operazione del genere.
Bertone e i suoi fidati imprenditori da una parte, Scola, Bagnasco e il mondo legato alla finanza ambrosiana cosiddetta “bianca” dall’altra. Il Papa nel mezzo a cercare quelle soluzioni più giuste ed eque per tutti. E un ruolo significativo che viene giocato anche dal segretario particolare del Papa, monsignor Georg Gänswein, che quasi quotidianamente ha dovuto raccogliere notizie, sentire pareri, fare da filtro con il Pontefice. Diverse le lettere arrivate sul suo tavolo contro Bertone, non tutte anonime. Ieri, all’interno del programma d’inchiesta “Gli intoccabili”, in onda su La7, è stato il giornalista Gianluigi Nuzzi a svelare una lettera di qualche mese fa scritta dall’attuale nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò. Il presule, allora numero due del Governatorato, non cita il San Raffaele e nemmeno il Toniolo ma parlando di “corruzione” all’interno del Vaticano chiama in causa, seppur indirettamente, il segretario di stato, reo, quantomeno, di un omesso controllo su coloro che all’interno della Santa Sede rubano gonfiando i costi degli appalti. Le finanze del governatorato, prima del suo arrivo, erano un buco nero, nel 2009 perdevano 8 milioni di euro: in Vaticano venivano fatte lavorare sempre le stesse ditte, che gonfiavano i costi per l’edilizia e l’impiantistica. Su tutti viene citato un caso: il presepe montato nel Natale del 2009 in piazza San Pietro, costato alle casse della Santa Sede 550 mila euro.
Viganò cita i cardinali Velasio De Paolis, Paolo Sardi e Angelo Comastri come persone da lui informate. Dice che della “corruzione” ha parlato con Bertone senza però ricevere l’aiuto che sperava. E dice al Papa di essere preoccupato: Bertone gli aveva promesso la guida del governatorato una volta che l’allora presidente, il cardinale Giovanni Lajolo, fosse andato in pensione, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Perché Viganò non viene promosso nel posto che gli è stato promesso? A suo dire per un solo motivo: per bloccare l’opera di pulizia iniziata dentro il Vaticano. Una tesi sostenuta anche da altri cardinali di curia, tra questi l’ex nunzio a Washington Agostino Cacciavillan, uomo del cardinale decano Angelo Sodano. Cacciavillan si è speso personalmente sconsigliando al Papa l’allontanamento di Viganò.
Difficile dire quali conseguenze il Papa deciderà di trarre da tutta questa vicenda. Per molti tutto questo fango potrebbe pregiudicare la posizione di Bertone in sella alla segreteria di stato vaticana, tenuto conto anche del fatto che il prossimo dicembre egli compirà 78 anni, la stessa età che aveva il suo predecessore Angelo Sodano quando il Papa accettò le sue dimissioni. In realtà le dimissioni di Bertone sembrano lontane: è improbabile che Benedetto XVI decida di privarsi di colui che un anno dopo l’elezione al soglio di Pietro ha scelto quale suo uomo di fiducia anche in virtù di un conclave in cui il cardinale di origini piemontesi ha giocato un ruolo decisivo. Già lo scorso agosto un “corvo” aveva provato a fare lo scalpo a Bertone. Sul tavolo del segretario di stato vaticano arrivò una missiva anonima che si apriva con una minacciosa citazione di don Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, la congregazione a cui appartiene Bertone: “Grandi funerali a corte!”. Con queste parole il santo torinese preannunciava lutti a Vittorio Emanuele II nel caso il regno piemontese avesse continuato con le politiche di confisca dei beni della chiesa.
L’anonimo estensore della missiva mostrava di essere informato sulle vicende della curia, tanto che accusava Bertone di non saper decidere e di scegliere i collaboratori sulla base delle sue simpatie personali. Faceva riferimento alla decisione presa di trasferire Viganò, allontanandolo dal Vaticano. Ma l’estensore della lettera ometteva un particolare non secondario: lo spostamento di Viganò dal Vaticano a Washington non è stata una decisione unilaterale di Bertone. E’ stata una nomina firmata dal Papa. E’ lui ad aver voluto la promozione di Viganò. E’ lui ad aver scelto Bertone, nonostante già nei primi mesi successivi al suo arrivo in segreteria di stato in molti dicessero: “Non ha la stoffa per fare il segretario di stato. Troppo poco diplomatico”.
2 commenti:
Per carità. Che affari. Bertone perde la testa, Viganò perde ogni possibilità, trionfa Bagnasco.
Non esattamente...
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